I soci di Stellantis possono festeggiare: il gruppo presieduto da John Elkann ha chiuso il 2022 con un utile netto di 16,8 miliardi di euro contro i 13,4 del 2021; il risultato operativo (ovvero prima di interessi e tasse) è arrivato a 20 miliardi. Il gruppo pagherà dividendi per complessivi 4,2 miliardi di euro e ha annunciato che riacquisterà azioni sul mercato per altri 1,5 miliardi, premiando così i soci per un totale di quasi 6 miliardi.

Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, sembra dunque avere una bacchetta ancor più magica di quella di Sergio Marchionne. Qual è il suo segreto? Alla base dei risultati sono principalmente due fattori: l’aumento dei prezzi di vendita e la riduzione dei costi.

La crisi degli approvvigionamenti scaricata sui prezzi

Il primo fattore emerge chiaramente da due cifre: il fatturato di Stellantis è cresciuto del 18 per cento a quasi 180 miliardi di euro nonostante le vendite di auto siano calate del due per cento. L’aumento di oltre 27 miliardi deriva per 10 miliardi dall’effetto valute, ovvero dal calo dell’euro rispetto al dollaro, e per 12 miliardi dall’aumento dei prezzi di vendita, saliti fino a un massimo del 20 per cento.

Il motivo? Le difficoltà di approvvigionamento di componenti, in particolare elettronici, hanno frenato la produzione e pesato sui costi, ma il problema si è trasformato in un vantaggio. La scarsità di veicoli disponibili a fronte di una domanda ancora elevata dopo le chiusure per il Covid nel 2020 ha determinato un forte squilibrio e ha permesso tutti di vendere le auto a prezzi molto più alti, come sa bene chi ha dovuto acquistarne una in questi ultimi due anni; nel caso di Stellantis l’effetto prezzi sugli utili è stato positivo per 12 miliardi, più che compensando i 9 miliardi di costi addizionali.

L’altro fattore: il taglio dei costi

L’altro fattore decisivo per l’aumento dei profitti Stellantis è stato l’aumento di quelle che pudicamente definite “sinergie”, ovvero il taglio dei costi. I risparmi hanno superato i 7 miliardi di euro, due miliardi più degli obiettivi, con due anni di anticipo; un risparmio sui costi che – per quanto riguarda la riorganizzazione del gruppo in Europa - è costato circa un miliardo di euro; questa cifra comprende per esempio gli incentivi alle dimissioni erogati dall’azienda.

I tagli comprendono sia i risparmi sugli acquisti che una riduzione del personale di entità ancora non nota (il bilancio dettagliato 2022 verrà pubblicato a giorni); nel 2021 la forza lavoro era stata ridotta di circa 10 mila unità, di cui circa 4 mila in Italia; a metà del 2022 l’azienda ha firmato un accordo con i sindacati italiani per 1.820 uscite fra prepensionamenti e dimissioni incentivate.

I profitti del gruppo restano sbilanciati verso l’altra sponda dell’Atlantico: quasi 14 miliardi di utile operativo in Nordamerica (con un margine percentuale del 16%, degno di un produttore di auto di lusso), 6,3 miliardi in Europa e 2 in Sudamerica.

Anche i dipendenti di Stellantis hanno beneficiato dei profitti record, sia pure in misura diversa: quelli americani riceveranno l’equivalente di circa 14mila euro a testa; quelli francesi tra 4.300 e 6.190 euro; quelli italiani un premio medio di 1.879 euro. I circa 2 miliardi di euro distribuiti ai dipendenti sono pari al 12% circa dell’utile netto, in calo dal 14% di un anno fa e dal 23% del 2021.

Stellantis non è stato l’unico costruttore europeo a fare il pieno di utili nel 2022. Mercedes ha guadagnato l’anno scorso 20 miliardi di euro netti; Volkswagen ha incassato utili operativi per 22,5 miliardi; perfino Renault, passata negli anni scorsi attraverso una profonda crisi, ha più che raddoppiato il risultato operativo a oltre 2 miliardi di euro (ma ha chiuso in rosso, pagando i costi della cessione della filiale russa Avtovaz).

Il nodo della transizione elettrica

Uno dei punti più delicati della strategia di Stellantis è la transizione verso le auto elettriche. Le vendite di veicoli a batterie del gruppo sono cresciute del 41% a 288mila nel 2022, e in Europa hanno raggiunto le 230mila unità (dati Jato Dynamics), poche migliaia meno di Tesla; la quota di Stellantis nel mercato europeo delle auto elettriche, 14,6%, resta però inferiore al 18,2% che il gruppo controlla nel mercato complessivo. Il gruppo è in ritardo con l’elettrificazione della gamma, anche se promette una forte accelerazione di qui al 2030, quando punta a vendere 5 milioni di veicoli a batterie.

Un altro grande gruppo in ritardo sull’elettrico è Toyota, la cui quota in Europa nelle vetture a batterie è praticamente zero; forse è per questo che i due colossi sono i più attivi nel criticare la scelta europea di vietare la vendita di auto a benzina e diesel dal 2035.

Tavares attribuisce all’auto elettrica anche la responsabilità dei tagli all’organico. Un esempio: a dicembre Stellantis aveva annunciato la chiusura dello stabilimento americano di Belvidere, con la perdita di 1.200 posti; rispondendo mercoledì a una domanda in merito, il manager ha detto in sostanza: poiché le auto elettriche costano di più, e ci hanno imposto una transizione accelerata, per rimanere competitivi dobbiamo tagliare.

In realtà i tagli e le ricerche di economie risalgono a quando l’obbligo della conversione all’elettrico era di là da venire; l’intero settore soffre di una sovracapacità produttiva da decenni. Lo stesso Tavares, quando dirigeva Peugeot (che si è fusa due anni fa con Fca in Stellantis), tagliò 40mila posti tra il 2013 e il 2019. Stellantis non è l’unica a tagliare; la Ford, che negli ultimi anni ha drasticamente ridotto la presenza in Europa, ha per esempio appena annunciato 3.800 tagli in Germania e Regno Unito;

Dopo lo shock del Covid nel 2020, gli ultimi due anni hanno in realtà consentito a tutti di fare il pieno di utili. Come andrà il 2023? I vertici di Stellantis sono stati prudenti, promettendo un margine di profitto “a due cifre” (ovvero sopra il 10 per cento) contro il 13 per cento dell’anno appena chiuso. Le pressioni sui costi delle materie prime e i problemi con forniture e logistica dovrebbero diminuire, ma i prezzi di vendita dovrebbero subire una maggiore pressione perché le aziende sono in grado di produrre più auto; per dirla con Tavares, è in corso un riequilibrio tra domanda e offerta. Nella seconda metà dell’anno, poi, molto dipenderà dalla “tenuta” delle economie a fronte dell’impennata di inflazione e tassi di interesse.

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