Un impasse politico sta bloccando le nuove e rivoluzionarie tutele che dovevano salvare gli utenti dagli abusi del telemarketing.

Parlamento, governi e authority lavorano dal 2017 per affrontare il problema e l’11 gennaio 2018 sono state fissate finalmente le nuove regole per le chiamate pubblicitarie. Ma serve ancora un regolamento attuativo, sul quale i lavori parlamentari sono andati a rilento; e la cosa più grave è che adesso rischiano di ripartire da zero, rimandando per altri anni ancora le nuove tutele.

È un vero peccato perché stiamo parlando della difesa contro un problema quotidiano che assilla gli italiani. Telefonate pubblicitarie, diventate ancora più martellanti con il Covid-19, da call center che propongono servizi telefonici, contratti per l’energia elettrica o altro. Spesso i chiamanti si spacciano per diretti rappresentanti di questo o quell’operatore e agiscono in molti casi in strutture improvvisate, come denunciato nell’ultima relazione annuale del Garante per la privacy.

Il problema del consenso

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L’utente è indifeso contro l’abuso telefonico. Non sa come vietare le chiamate. Può solo chiedere di inserire il proprio numero nell’apposito registro delle opposizioni al telemarketing, l’elenco di chi si oppone alla ricezione di telefonate e corrispondenza cartacea con finalità commerciali.

Lo strumento, però, attualmente ha molti limiti: le aziende possono chiamare tutti i numeri presenti negli elenchi telefonici, se non inseriti nel registro, e in generale tutti quelli di cui hanno ottenuto il consenso marketing, anche quelli presenti nel registro.

Il nuovo regolamento serve appunto a renderlo finalmente efficace appieno. In sostanza, grazie alle nuove misure, il registro accoglierà in automatico tutti i numeri non presenti negli elenchi telefonici, quindi quasi tutti i cellulari. L’utente potrà anche chiedere di inserirvi qualsiasi numero e – novità più dirompente – la presenza di un numero nel registro significa il divieto assoluto di chiamarlo a scopi pubblicitari, con qualche eccezione che l’utente potrà regolare.

Il problema principale è che ora non c’è uno strumento unificato per negare il consenso. Una volta dato, magari accettando per distrazione una clausola in un contratto, è finita. Sembra non esserci modo per tornare indietro: la condanna alle telefonate importune è assicurata.

Il nuovo registro, da tempo invocato dalle associazioni di consumatori, dovrebbe risolvere proprio questo ostacolo. Inserire il numero nel registro – con una richiesta via web o a un numero verde – annullerà in automatico tutti i consensi dati in precedenza e si potrà inserire più volte il numero, per annullare i consensi dati in un secondo momento.

La legge già superata

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Qui però sorgono i problemi: il nuovo registro doveva partire già a dicembre 2020, secondo quanto previsto dal decreto attuativo approvato a gennaio 2020 in via preliminare.

L’iter dei pareri ha allungato i lavori: commissioni parlamentari, ministeri competenti, Garante per la privacy, Consiglio di stato, Autorità garante delle comunicazioni (Agcom).

E ora l’impasse: tutto fermo, perché con i pareri ci si è accorti di una lacuna della norma primaria, come riferito nei giorni scorsi da Mirella Liuzzi del M5s, già sottosegretaria al ministero dello Sviluppo economico.

Secondo la legge del 2018, infatti, il nuovo registro blocca solo le chiamate “umane”, non quelle con voci registrate (robocall), per altro sempre più diffuse.

Il problema è emerso grazie a una interpellanza urgente del M5s sui ritardi delle nuove regole. La sottosegretaria allo Sviluppo economico, Anna Ascani, rispondendo alla Camera, ha spiegato che in particolare l’impasse è dovuto a una divergenza di opinioni su come procedere, alla luce della lacuna. L’Agcom ritiene che il regolamento attuativo dovrebbe comunque includere nel divieto anche le robocall. Il Garante per la privacy lo sconsiglia perché sarebbe una previsione illecita, non suffragata dalla norma primaria e facilmente impugnabile dalle società di telemarketing.

Tre strade

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Secondo fonti vicine al ministero già a luglio è fallita una conciliazione tra le opposte vedute e ora il problema è nelle mani del Consiglio dei ministri.

Sono tre le ipotesi su cui il governo sta lavorando. Andare avanti con quanto previsto dalla norma primaria e quindi per ora lasciando campo libero alle robocall; redigere un regolamento più restrittivo, rischiando, come vuole Agcom; oppure – come chiede il M5s – presentare un emendamento alla norma primaria per includere anche le robocall.

Quest’ultima ipotesi, però, fa rabbrividire i consumatori e anche alcuni tecnici che si occupano della questione negli uffici del ministero: significherebbe partire da zero; anni di lavoro buttati o quasi.

Concorda Marco Pierani, di Altroconsumo: «Meglio fare subito il decreto attuativo e correggere dopo le lacune evidenziate dal Garante per la privacy; altrimenti perderemo ancora anni».

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