Lo chiamavano il distretto del bebè. Nella provincia bergamasca, a Telgate e Grumello del Monte - non più di 12mila abitanti in due paesi - si concentravano una dozzina di noti brand di carrozzine e passeggini. In 10 anni si sono ridotte a un manipolo.

“Cam il mondo del bambino”, «sta attraversando il momento più difficile della sua storia» ammette tristemente Monica Rho, seconda generazione degli imprenditori fondatori e responsabile marketing: «Molti concorrenti storici hanno chiuso, anche nelle ultime settimane, vorremo continuare il sogno di una vita, dovremo ristrutturare e riorganizzare». Per Cam lavorano in 380 tra dipendenti e indotto. Fatturato e produzione sono in calo da 5 anni, l’utile dell’ultimo bilancio disponibile ammonta a 723mila euro circa contro i quasi 3 milioni del 2019. «Quello che lascia noi aziende senza speranza è la totale assenza di iniziative da parte del governo in tema di natalità», continua Rho: «E la Ue non protegge il settore. L’assenza di dazi lascia il mercato alla concorrenza sleale cinese e c’è anche quella di stati europei dove il costo della vita e della burocrazia sono più bassi che in Italia».

Il futuro è incerto, in paese si spera che questa e altre realtà rimaste non vadano gambe all’aria. Qui tutti ricordano il noto brand “Brevi Milano”, dichiarato fallito già tre anni fa: l’area da 34mila metri quadrati dove si assemblavano i seggioloni per le pappe, oggi è un polo logistico.

Calo demografico

Un’altra azienda della zona è “OkBaby”, specializzata in articoli in gomma plastica come quelli per il bagnetto. Quarantacinque anni di conduzione famigliare, l’utile ha iniziato a calare nel 2022 e nel 2023 i conti sono in rosso. Anche la responsabile delle vendite Elena Erli racconta a Domani che chi ci tiene a mantenere la produzione in Italia sconta - «è dura» - il calo demografico e l’assenza di incentivi. «La politica italiana offre bonus minimi per sostenere la demografia, soprattutto se paragonati con quelli promossi all’estero: i bambini nei primi anni costano parecchio ai genitori. Noi siamo senza tutele da parte delle istituzioni, ma abbiamo deciso di non delocalizzare e mantenere standard qualitativi alti, perché si tratta di prodotti per i neonati e devono essere sicuri. La concorrenza dei prodotti dell’Est Europa è fortissima, però: passa anche per le catene della grande distribuzione»: A “OkBaby” negli anni si è chiuso qualche reparto, «eravamo in 45 e ora siamo una ventina soltanto, per fortuna ci sono stati alcuni pensionamenti, ma questa crisi sta coinvolgendo famiglie intere che abitano in questa zona».

Pure “Foppapedretti” ha sede qui, ma ha un bilancio in salute. La proprietà fa vanto di aver innovato, c’è chi però sostiene siano i prodotti per la casa a dare ossigeno ai conti. Dagli uffici preferiscono non rispondere quando chiediamo quanto pesi il mercato del bambino sul totale, e se ci siano stati cali.

Zero sostegno dal governo

Mentre il governo Meloni lancia pacchetti di sostegno alla natalità con bonus nascite, quoziente famigliare e congedi, il crollo demografico colpisce con la scure l’industria che crede ancora nel made in Italy e il variegato settore che creava lavoro mettendo a punto prodotti per la prima infanzia. Entro il 2040, secondo Bankitalia, il calo delle nascite si tradurrà in un meno 13 per cento sul pil. Persino il settore prima florido dei vestiti junior italiano, subisce: Confindustria moda ha visto nero sugli ultimi dati disponibili, certificando la maggior flessione per tutine e body per i neonati: il meno 6,6 per cento è il risultato più basso nel settore tessile.

Anche il gruppo Artsana - Chicco, Boppy, Fiocchi di Riso e altri marchi noti - soffre: il colosso comasco del bambino è presente in oltre 20 Paesi, vanta 6mila addetti, ma i ricavi nel 2023 sono diminuiti e le perdite sono quasi triplicate anno su anno, passando da 37,3 a 111,2 milioni di euro. Dal 2016 Artsana Group è partecipato al 40 per cento dalla famiglia Catelli e al 60 per cento dalla società di private equity Investindustrial.

A mezz’ora di macchina da Telgate e Grumello c’è poi la crisi di Peg Perego, storica azienda con la sede principale ad Arcore, in Brianza. Adriana Geppert della Cgil locale ricorda che la situazione si trascina dal 2018, quando i dipendenti erano 600 e ora sono 256. Piani di risanamento, riorganizzazioni su base volontaria, ammortizzatori sociali che però sono agli sgoccioli. «Possiamo arrivare a settembre, se va bene, con la cassa integrazione in proroga per crisi: Peg Perego è una delle poche multinazionali rimaste italiane, poi però che cosa accadrà?».

A fine marzo la forza lavoro sarà al minimo nello stabilimento di San Donà, provincia di Venezia. Riccardo Montagner di Fim Cisl testimonia che gli incontri con la proprietà - è stato attivato un tavolo in Regione Veneto - sono sempre stati trasparenti e in effetti la famiglia Perego ha parlato chiaro: «Non si fanno più i bambini come una volta e la concorrenza cinese è sempre più spietata con costi di produzione del 50 per cento più bassi dei nostri», hanno sempre sostenuto.

Per il sindacalista ora è tempo di lavorare a soluzioni: «Siamo preoccupati per lo spostamento di due linee dal Veneto alla Brianza e sebbene ci abbiano assicurato che un nuovo passeggino sia in rampa di lancio non abbiamo la certezza non sarà un nuovo flop. Abbiamo l’obiettivo della massima occupazione per le 58 persone che hanno scelto di restare e dare fiducia all’azienda».

A fine mese ne usciranno con gli incentivi all’esodo su base volontaria quasi altrettante. «I lavoratori hanno bisogno di fatti e non solo di buoni propositi», aggiunge Loris Gaiotto di Fiom Venezia, che ricorda a Domani di aver proposto all’azienda una riconversione: «Deambulatori per gli anziani e passeggini per cani sono prodotti che avrebbero potuto risollevare i bilanci e salvare il lavoro di molti, ma la proprietà non ha mai voluto saperne nonostante ne produca già ma per conto terzi. L’altro paradosso è che per dare visibilità al marchio si vanno a comprare passeggini fatti in Cina e cinesi sono anche i piumini per il trasporto dei bimbi».

Business anziani

In un Paese che invecchia, sono in effetti i pannoloni a sorpassare i pannolini. Lo certifica la Fater, del gruppo Angelini, che commercializza i marchi Pampers e Lines in Italia: nell’ultimo report di sostenibilità si legge che mentre il mercato dei pannolini per bambini è in flessione - anche se è cresciuto in termini di valore - i prodotti assorbenti per l’incontinenza degli adulti sono invece «uno dei pilastri fondamentali» per crescere: un mercato che vale circa 380 milioni di euro ed è «in aumento costante negli ultimi anni, sospinto soprattutto dalla dinamica democratica di crescita delle persone over 55».

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