E Vivendi? Che fa Vivendi? Voterà mica per Merlyn, il fondo attivista sceso in campo con l’esplicito intento di sbarrare la strada a Pietro Labriola e ai suoi piani per il rilancio di Tim assediata dai debiti? Già, Labriola, proprio lui, l’amministratore delegato che da un mese si danna l’anima per capire se c’è una regia ostile dietro alla picchiata delle quotazioni del 7 marzo scorso: meno 25 per cento in poche ore.

Un crollo che pare quasi una sentenza, se non fosse che una ben nutrita pattuglia di speculatori da tempo scommette al ribasso sui titoli del gruppo di tlc. E un altro investitore attivista come Giuseppe Bivona, quello della battaglia legale su Mps, con quali obiettivi si sarà buttato nella mischia?

Dopo quasi trent’anni vissuti pericolosamente, tra scalate e ribaltoni, attorno a Tim si affollano ancora fantasmi, voci e sospetti. L’assemblea dei soci, in programma il prossimo 23 aprile, è stata descritta come una sorta di resa dei conti, la partita che deciderà del futuro di una società che si appresta a cambiare pelle vendendo la rete, il proprio asset principale, nel tentativo di far fronte ai debiti e concentrarsi sui servizi.

Con chi sta il governo

I francesi di Vivendi, con il loro 23,7 per cento, sono di gran lunga il primo azionista del gruppo telefonico, ma non hanno amministratori in cda e neppure vogliono averne, visto che hanno presentato candidati solo per il collegio sindacale. Se appoggiassero una delle liste in lizza, il loro voto farebbe la differenza, ma da Parigi non trapela nulla.

Il governo di Roma, invece, ha già detto la sua. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, due giorni fa ha dichiarato che lo scorporo della rete proposto da Labriola è cosa buona e giusta. È quindi scontato che la Cassa depositi e prestiti si schiererà con il suo 10 per cento, a favore della cosiddetta lista del cda, quella che propone la riconferma dell’amministratore delegato in carica.

Merlyn ci prova. «Speriamo di convincere Vivendi a darci fiducia», ha dichiarato qualche giorno fa in un’intervista Umberto Paolucci, il candidato presidente di Tim che guida la lista presentata dal fondo con uffici a Londra e sede legale in Lussemburgo. Ambizione comprensibile, quella del manager, uomo di grande esperienza, per 25 anni a capo di Microsoft in Italia.

Altrettanto comprensibile, però, è la reazione prudente del gruppo transalpino, che finora ha evitato di prendere posizione. Anche perché, meno di sei mesi fa, il fondo Merlyn era partito lancia in resta contro Labriola con un programma diverso, per non dire opposto a quello presentato adesso, alla vigilia dell’assemblea. «La rete non si vende e si preserva nella sua interezza», metteva all’epoca le mani avanti Stefano Siragusa, ideatore del piano TimValue per conto di Merlyn.

Lo stesso Siragusa che ora si candida all’incarico di amministratore delegato nella lista del fondo. E questa volta il piano industriale, nome in codice TValue, prevede espressamente la cessione della rete. I motivi dell’inversione di rotta non sono chiari.

Vecchia conoscenza

Di certo Siragusa conosce bene Tim, di cui è stato manager di punta, con i gradi di vicedirettore generale fino a dicembre del 2022. Il suo ingresso nelle fila del gruppo risale a marzo del 2018, proprio quando il fondo Elliot cominciò una scalata che nel giro di poche settimane lo porto al comando di Tim, con Luigi Gubitosi nuovo amministratore delegato.

È noto nel mondo finanziario, così come negli ambienti politici romani, anche il rapporto che lega Siragusa con il mediatore d’affari Luigi Bisignani, che da tempo dimostra grande interesse per le vicende delle telecomunicazioni italiane.

Caso vuole che la rotta di Siragusa avesse incrociato quella di Elliot già sul finire del 2015. Il manager ora candidato alla guida di Tim era amministratore delegato di Ansaldo Sts, all’epoca controllata da Finmeccanica, che aveva appena siglato un accordo per cederla ai giapponesi di Hitachi Rail. Elliot contestava l’operazione e il prezzo d’opa offerto ai soci di minoranza, ritenuto troppo basso.

Siragusa rimase in sella ancora qualche mese. A maggio 2016 lasciò Ansaldo Sts nel pieno della battaglia tra Finmeccanica-Hitachi e il fondo attivista. Tempo un paio di anni e il manager torna alla ribalta in Tim, quando si riapre la partita per il controllo del gruppo telefonico, con Elliot schierato contro Vivendi.

Storie di calcio

Di lì a poco Elliot finirà invischiato in un’altra vicenda, una storia di calcio e business in cui avrà una parte in commedia proprio Merlyn, il fondo che ha arruolato Siragusa. La partita si giocava attorno al destino del Lille, squadra che rischiava il tracollo per via di un indebitamento di 120 milioni di euro.

Prima del crack però interviene Elliot, il principale creditore, che con una complicata transazione finanziaria in pratica si fa garante della cessione a un nuovo proprietario, cioè Merlyn. L’operazione ha molto in comune con quella che portò il Milan da Elliot all’attuale azionista di maggioranza, l’americano Gerry Cardinale.

Anche in quest’ultimo caso, però, non si può non notare una suggestiva coincidenza. Alla presidenza del club rossonero troviamo Paolo Scaroni, manager di lungo corso a lungo a capo di Eni e ora al vertice di Enel. Scaroni, sbarcato nel consiglio di amministrazione del Milan già nel 2017, viene promosso presidente quando Elliot prende il controllo, nell’estate del 2018.

E non perde il posto neppure nel 2022, quando il fondo cede il passo a Cardinale. Un’operazione su cui ora ha aperto un’inchiesta la procura di Milano. Secondo i pm ci sono «fondati sospetti sull’effettiva proprietà del Milan», che sarebbe ancora di fatto controllato dal fondo venditore, cioè Elliot.

Gli stessi sospetti portarono l ‘Uefa a promuovere accertamenti sulla vendita del Lille a Merlyn, realizzata con le garanzie di Elliot. La vicenda non ebbe seguito e nell’estate del 2021 la squadra francese mise in vendita il portiere Mike Maignan, che passò al Milan, presieduto da Scaroni e controllato da Elliot. Ma questa è un’altra storia.

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