Non si è ancora depositata al suolo la povere sollevata (dalla Cgil) sul pasticcio delle aliquote Irpef, che il sindacato di Maurizio Landini trova un’altra falla figlia del pressapochismo del ministero dell’Economia e delle Finanze guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti in tandem con Maurizio Leo, fiscalista in quota Fratelli d’Italia.

Così, mentre proprio la Lega cerca di infilare un emendamento nel decreto P.a. all’esame alla Camera per aggiustare il tiro sull’Irpef – ed evitare un accollo ai lavoratori dipendenti da 4,3 miliardi di euro sugli acconti di quest’anno – ecco che all’orizzonte compaiono 44.200 esodati.

44.200 esodati

La parola esodati è quella che nel 2016 ha fatto tremare l’allora ministra del Lavoro, Elsa Fornero. I tecnici, nella sofferta riforma delle pensioni che porta il nome dell’economista piemontese, avevano sottostimato e dimenticato tutti coloro che, avendo già firmato (mesi e anni addietro) un accordo di prepensionamento o mobilità volontaria, non avrebbero più avuto i requisiti per andare in pensione con le nuove norme.

Si parlava, all’epoca, di 196mila persone. Sono state necessarie parecchie clausole di salvaguardia per traghettarli in pensione. Allora Matteo Salvini aveva fatto fuoco e fiamme contro Fornero, per la questione degli esodati e, in generale, per la rigidità di quella riforma. Chissà se il leader della Lega farà fuoco e fiamme anche stavolta verso il ministero guidato da Giorgetti che, senza un impegno scritto a non posticipare di tre mesi la data di ingresso in pensione, rischia di lasciare nel limbo – non più al lavoro e non ancora in pensione – 44.200 italiani.

A gennaio di quest’anno il ministro Giorgetti, riparando a un altro pasticcio – l’ennesimo – aveva chiarito che dal 2027 non ci sarà alcun innalzamento dell’età pensionabile, come invece era stato comunicato all’Inps dalla Ragioneria distato in base agli adeguamenti automatici all’aspettativa di vita previsti dalla riforma Fornero. Assicura il ministro che si continuerà ad andare in pensione di vecchiaia a 67 anni e i contributi richiesti per la pensione anticipata sono 42 anni e 10 mesi (41 e 10 mesi per le donne). Ma manca un decreto.

L’ultima volta che Giorgetti ha parlato degli adeguamenti all’aspettativa di vita era il 15 gennaio e sosteneva di essere in attesa dei documenti tecnici, dei dati definitivi che l’Istat «presumo darà a marzo. Io ho dato indicazione alla Ragioneria di aspettare coi decreti direttoriali perché la politica, giustamente, avrà tutto il tempo per fare le proprie riflessioni e sterilizzare eventualmente questo aumento». Manca pochissimo ad aprile e, per ora, nulla sta bloccando l’incremento di tre mesi che scatterà nel 2027. Tra l’altro si stima che la sterilizzazione costerebbe, nel biennio 2027-2028, quattro miliardi di euro. Ma la questione è complessa, visto che il blocco non sarebbe strutturale e si ripresenterebbe nel 2029.

Serve un decreto

Senza il decreto, comunque, e sulla base delle attuali proiezioni demografiche, nel 2027 è previsto l’incremento di tre mesi, che porterà l’eta per la pensione di vecchiaia a 67 anni e 3 mesi e i requisiti per la pensione anticipata a 43 anni e un mese per gli uomini e 42 e 1 mese per le donne.

Per chi ha ancora tanti e troppi anni di lavoro, si tratta di un argomento poco interessante, ma chi è a un passo dal traguardo si è precipitato ai Caf dei sindacati con angoscia. E i più angosciati – che si sono rivolti ai patronati – sono per l’appunto coloro che stanno scivolando verso la pensione con in mano un accordo firmato dal proprio ex datore di lavoro.

«Ci sono 44.200 persone che hanno aderito negli ultimi anni a misure di uscita anticipata e che, per effetto dell’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici alla speranza di vita, rischiano di ritrovarsi dal primo gennaio 2027 senza reddito e senza contribuzione. Nuovi esodati», spiega Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil, snocciolando i numeri dell’ultima analisi dell’Osservatorio previdenza della confederazione. Cigna continua: «Se il governo non interverrà, 19.200 lavoratori in sospensione e 4.000 con contratto di espansione si ritroveranno con un vuoto di tre mesi senza assegno, senza contributi, senza tutele. Parliamo di persone che hanno lasciato il lavoro nel pieno rispetto delle regole, firmando accordi con aziende e fondi, basati su date certe di accesso alla pensione. A questi si aggiungono altri 21.000 lavoratori usciti con i Fondi di solidarietà bilaterali, per i quali, seppur con impatti diversi, si configura un vuoto di copertura previdenziale».

Ma il problema non si esaurisce con il 2027, riguarda anche gli anni successivi, e più in generale l’impianto stesso del sistema previdenziale. «Gli effetti dell’adeguamento alla speranza di vita – dichiara infatti la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione – pesano già oggi sulle nuove generazioni, costrette a posticipare sempre di più l’età della pensione e a fare i conti con assegni sempre più bassi, a causa della progressiva riduzione dei coefficienti di trasformazione. Un meccanismo che rischia di minare la fiducia dei giovani nel sistema pubblico e di accentuare disuguaglianze già profonde».

Sfiducia nella pensione

A conferma di queste preoccupazioni, i dati dell’Osservatorio statistico Inps dicono che il 53,5 per cento delle pensioni vigenti al primo gennaio 2025 ha un importo inferiore a 750 euro. Percentuale che sale al 64,1 per cento tra le donne. Di queste, 4,1 milioni di pensioni (pari al 43,1 per cento) beneficiano di integrazioni al reddito legate alla soglia minima. «È inaccettabile – sostiene la segretaria confederale della Cgil – che più della metà delle pensioni sia sotto la soglia della dignità. Lo ribadiamo al governo, che aveva promesso il superamento della legge Fornero ma nei fatti è riuscito solo a peggiorarla azzerando ogni forma di flessibilità in uscita e tagliando la rivalutazione: serve una riforma vera, che garantisca pensioni adeguate e dignitose, soprattutto per le donne e i giovani che spesso hanno carriere discontinue o lavori precari».

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