Nel mondo della finanza pochissimi concordano con le parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, quando dice che l’Italia non è «l’anello debole» della zona euro. Nove economisti su dieci, in un sondaggio del Financial Times, hanno identificato il nostro come il paese della zona euro «più a rischio di una svendita dei propri titoli di stato».

E stavolta il catalizzatore è il forte rialzo dei tassi deciso dalla Bce per contrastare l’inflazione ai massimi da quaranta anni. Luce rossa accesa quindi per il governo di destra guidato da Giorgia Meloni sul debito pubblico, il maggiore dell’Unione europea con 2.672 miliardi a fine dicembre 2022, il 145 per cento del Pil pari a 45mila euro per ogni italiano, compresi neonati e ultracentenari. 

Risuona un doppio allarme inflazione/speculazione, anche perché il mercato prezza già i tassi di interesse Bce a un picco del 4,0 per cento entro maggio – oggi sono al 3,0 per cento  – mentre in America i Fed Funds indicano 5,4 per cento. In parallelo la Banca centrale europea ha dato inizio a marzo al Quantitative tightening (Qt) o “inasprimento quantitativo”, operazione simmetrica che sostituisce il programma espansivo di Quantitative easing (Qe) varato nel 2015 quando a capo della Bce era Mario Draghi.

Eurotower con il Qe ha inondato di liquidità i mercati rastrellando obbligazioni e gonfiando il proprio bilancio fino a 5,1 trilioni di titoli sovrani e altri bond. Una strategia volta a superare stagnazione e deflazione che ebbe il plauso generale, peccato che il riversamento di quella enorme massa di denaro sia finita per incentivare anche investimenti sugli asset globali più a rischio cioè borsa, immobiliare, Ipo e criptovalute (non a caso tutte bolle scoppiate o in fase di sgonfiamento).

Gli oneri quadruplicati

Il fatto che il Qt soppianterà il Qe è un cambiamento radicale. In concreto, il portafoglio titoli dell’istituto guidato da Christine Lagarde comincerà a smagrirsi a un ritmo “misurato e prevedibile” e la Bce non reinvestirà i titoli in scadenza, con un calo previsto di 15 miliardi al mese. Spiccioli tuttavia, rispetto ai 5mila miliardi in portafoglio.

Tommaso Monacelli, professore di Economia alla Bocconi, sostiene che «le conseguenze più importanti si avranno sul mercato obbligazionario e sugli spread tra i bond dei paesi del sud, Italia in primo luogo, rispetto a quelli del nord. Il rischio è un periodo di volatilità elevata». 

Pesano gli oneri finanziari, i tassi che lo stato offre per piazzare i propri titoli. Il rendimento del Btp a 10 anni quota oggi 4,50 per cento, quasi il quadruplo rispetto a un anno fa, con il bund tedesco al 2,68 per cento (spread quindi di 182 punti).

«Indipendentemente dal fatto che l’incremento dei tassi sia causato da una variazione della politica monetaria o da una riduzione del prezzo dei titoli per effetto del Qt – sostiene Alberto Pozzolo, professore di Economia al dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre – nel confronto con altri paesi dell’area euro con minore debito, l’Italia si troverà ad avere margini di manovra inferiori per finanziare la spesa pubblica». Più brutalmente: lo spazio fiscale per le riforme e le promesse elettorali del governo Meloni è pari a zero, se tutti i soldi vanno a finanziare il debito.

Secondo il Def approvato lo scorso aprile dal governo Draghi, nel triennio 2023-2025 l’Italia avrebbe dovuto pagare 186 miliardi in interessi, ma nell’ultima legge di Bilancio firmata dal governo Meloni la cifra è cresciuta di 84,1 miliardi a un totale di 270: un’impennata di +45,2 per cento.

Per non fare default, quest’anno il Tesoro dovrà emettere nuovi titoli a medio-lungo termine fra i 310 e i 350 miliardi (dipende dal Pnrr) rispetto ai 278 dell’anno scorso. Considerando poi i Bot e altri titoli a breve, il livello delle emissioni si attesta alla vertiginosa cifra di oltre mezzo trilione di euro, per l’esattezza 510 miliardi, 86 in più rispetto ai 424 del 2022. E qui salta agli occhi l’impatto esercitato finora dalla politica monetaria Ue: grazie al Qe Roma è stata letteralmente “salvata”, visto che la Bce ha “in pancia” 773 miliardi di titoli di stato italiani.

Per la terza economia in Europa bisogna capire se l’indebitamento e il finanziamento del debito siano sostenibili. Fin qui va dato atto alla “draghiana” Meloni e al titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, di aver imboccato un sentiero di relativa disciplina fiscale.

«La situazione pare gestibile», sostiene Pozzolo. «Con la maturità media del debito piuttosto elevata, l’incremento dei tassi ha impatto soltanto sulle nuove emissioni. Le attuali condizioni poi sono migliori di quelle del 2011-2012 (caduta del governo Berlusconi). Inoltre i fondi del Pnrr hanno un rating superiore e quindi costi relativamente bassi».

Nonostante ciò la diffidenza delle banche globali – sempre pronte a shortare l’Italia – rimane alta, il che va di pari passo con la richiesta di “attenzioni” da parte di Roma. I politici del “team di attacco” della maggioranza governativa come Matteo Salvini e Guido Crosetto hanno già criticato platealmente Lagarde sul rialzo dei tassi.

Battaglia interna

Ma ci sono voci critiche anche a Francoforte: Fabio Panetta, membro italiano nel Comitato esecutivo Bce, ha evocato «il rischio di una restrizione eccessiva» (con citazione da Lucio Battisti): «non guidiamo a fari spenti nella notte».

Infine per il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, Francoforte dovrebbe adottare un approccio "graduale" dato che l’inflazione sta già decelerando. Un braccio di ferro – ovvio – con i colleghi del nord Europa, i “falchi-frugali” Joachim Nagel numero uno della Bundesbank e Klaas Knot governatore dell’Istituto olandese (ambedue vorrebbero tassi più alti e un Qt di 26 miliardi al mese).

In questo scenario da lunedì 6 a giovedì 9 marzo parte la prima emissione di titoli di stato del 2023: il nuovo Btp Italia indicizzato all’inflazione e pensato per i piccoli investitori. Riusciranno a sostituirsi alla mano mancante della Bce? Gli hedge funds più aggressivi, a New York e Londra, aspettano e fanno i calcoli.

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