Ai quasi 90mila imprenditori della logistica il governo uscente lascia un'eredità amara: un conto da pagare di circa 200 milioni di euro. Per effetto di un decreto approvato ad autunno dell'anno passato e di cui pochi si erano accorti, dal 2021 quelle migliaia di aziende devono non solo continuare a sborsare quattrini per lo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti (cartone, plastica, metallo ecc.) così come avevano sempre fatto, ma devono pure pagare, e questa è la novità, anche la Tari ai comuni, una tassa calcolata sulla base della metratura occupata dai capannoni, i piazzali, gli uffici. In pratica gli imprenditori devono pagare due volte per lo stesso servizio. Una prima volta per ottenerlo davvero, una seconda volta perché la legge impone un pagamento suppletivo. Per le imprese è una mazzata notevole.

36 milioni di metri quadri

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano i capannoni, le aree di stoccaggio e simili in Italia occupano una superficie di 36 milioni di metri quadrati. Da quest’anno su queste aree le imprese devono pagare 5 euro a metro quadro di Tari che salgono a 15 euro se gli spazi sono occupati da uffici. Per fare un esempio: un’azienda con un magazzino di circa 100mila metri quadrati dovrà fronteggiare un aggravio di spesa di circa 500mila euro di tassa. Poi per liberarsi nel senso fisico dei rifiuti speciali prodotti, la stessa azienda dovrà sobbarcarsi un ulteriore costo, un tot a metro cubo di rifiuto, questa volta non a favore dei comuni che i rifiuti speciali quasi mai sono in grado di smaltire (soprattutto i comuni più grandi), ma a vantaggio delle imprese specializzate, di solito aziende private.

È come se a un normale cittadino fosse richiesto il pagamento della tassa sui rifiuti (l’umido, la plastica, la carta, il vetro) e poi il comune non solo non fosse in grado di riutilizzarli correttamente (succede spesso, purtroppo), ma non fosse capace neppure di organizzare la raccolta dei rifiuti stessi. La questione dello smaltimento dei rifiuti speciali prodotti dalle imprese della logistica tiene banco da anni e finora era stata risolta alla carlona, sulla scorta del buon senso in una sorta di trattativa informale tra i comuni da una parte e le singole imprese dall'altra. Per evitare di finire ogni volta davanti a un Tar sapendo che il giudizio sarebbe stato incerto perché mancava una normativa nazionale di riferimento, i due soggetti si accordavano su una cifra e la chiudevano lì. Entrambi, imprese e comuni, avevano però sempre invocato una legge chiara che regolamentasse la materia e consentisse a tutti di superare la logica del suk.

La legge stangata

La legge è arrivata con il decreto di settembre dell’anno passato: un provvedimento che ha il merito di affrontare la questione, ma con un taglio draconiano che avvantaggia i comuni e penalizza le imprese. In base alla nuova norma i rifiuti prodotti dalle aziende della logistica vengono assimilati tout court a rifiuti urbani anche se non lo sono e in quanto tali sottoposti alla Tari calcolata su tutta la superficie occupata dall'impresa. Concepito in questo modo lo smaltimento dei rifiuti speciali diventa allo stesso tempo una gabella e una stangata. La soluzione adottata appare sorprendente per almeno due motivi. Il primo: il settore viene colpito con un aggravio di costi proprio nel momento in cui lo stesso governo dimissionario stava opportunamente pensando di aiutare in funzione anti-Covid le imprese piccole e grandi di tutti i settori con sgravi fiscali, rinvio della cartelle esattoriali, ristori. In pratica il governo tratta la logistica come un comparto di serie B o una vacca da mungere. Secondo motivo di sorpresa: il colpo investe un settore invece fondamentale, che complessivamente muove un giro d'affari assolutamente non secondario dell'economia nazionale con una quota dell'11 per cento circa del prodotto interno lordo (Pil). Soprattutto in tempo di Covid la logistica ha dato il suo contributo per impedire che alla crisi sanitaria si sommasse quella dei rifornimenti e delle consegne a imprese, negozi e supermercati.

Negli altri paesi europei la faccenda dei rifiuti prodotti continua a essere regolata con criteri più razionali, consentendo alle aziende di pagare in base al servizio richiesto e ottenuto (pay per use). I rappresentanti nazionali della logistica sono abbastanza sconcertati. Accusa Carlo Mearelli, ex presidente dell'organizzazione di categoria, la confindustriale Assologistica, e vice presidente della federazione europea dei dirigenti delle imprese di trasporto: «Alcune imprese da quest'anno dovranno sopportare per i rifiuti un costo addirittura cinque volte più alto che in passato. Sono soldi regalati ai comuni nonostante i comuni nella maggior parte dei casi i nostri rifiuti neanche li sfiorino, quattrini che devono essere corrisposti per un servizio non svolto, senza correlazione tra i rifiuti prodotti e lo smaltimento degli stessi». Commenta Alessio Totaro, consulente legale di Assologistica: «Prima del decreto di settembre la questione dei rifiuti era kafkiana ora è anche peggio». Difficile scorgere una logica nella decisione del governo di imporre di fatto un costo doppio per i rifiuti alle imprese della logistica. Escluso che la politica abbia voluto deliberatamente e senza motivo colpire un settore produttivo, una spiegazione plausibile è che abbia inteso garantire entrate sicure ai comuni facendole pagare alle aziende.

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