Una delle cifre giornalistiche di Repubblica è la mitopoiesi dei miliardari. Secie se innovatori, disruptive, breakthrough. Elon Musk si presta perfettamente allo scopo, con quel suo capitalismo così volatile e il profilo da cosplayer di Tony Stark. 
Dal 24 agosto, a un ritmo quasi quotidiano (solo un filo rallentato nei festivi), Repubblica sta somministrando brevissime pillole-video sulla vita e le opere di Musk. L'impresa è motivata dalla venuta di Musk in Italia il prossimo 24 settembre: sarà a colloquio con John Elkann, erede della dinastia Agnelli, nonché editore del quotidiano. Insomma una trentina di parabole sul secondo uomo più ricco del mondo.

Tanto per avere un termine di paragone, il Vangelo di Matteo si accontenta di ventisei parabole, ritenendo a quel punto di aver offerto ai lettori un quadro sufficientemente esaustivo dei pensieri di Gesù di Nazareth. 
È una marchetta? Lo è senz'altro; fin dal didascalicissimo titolo: Essere Elon Musk. Ma questa raccolta di parabole dice comunque moltissimo su come il secondo quotidiano italiano rappresenta certe forme del capitalismo contemporaneo. Vale la pena glossarne un paio.

Musk e Zio Paperone

In un episodio di Essere Elon Musk si azzarda un parallelo fra il primo videogioco programmato da Musk – Blastar: plagio piuttosto palese di Space Invaders – e l'incipit di un altro celeberrimo miliardario: «Quel videogioco scritto a 12 anni è per Musk come la Numero Uno di Zio Paperone. Elon vende il codice di Blastar per 500 dollari a una rivista di appassionati di computer.

Di fatto, è il suo primo affare». Ma lo è?
«L'Ultimo del Clan de' Paperoni» (1995) è quanto di più simile a una versione ufficiale della storia del primo decino (in un universo programmaticamente noncanonico come quello dei paperi). Secondo Don Rosa, Paperone guadagnò il suo primo decino il giorno del suo decimo compleanno, in Scozia nel 1877, lustrando per mezz'ora le scarpe a tale Burt Scavafossi. E fin qui tutto bene. Chiarissima l'analogia con Musk: è il durissimo lavoro che ti fa la scorza da miliardario (in entrambi i casi, lavoro infantile – la scuola è una perdita di tempo!).
Solo che:

  1. a regalare a Paperone i mezzi di produzione – i.e., il kit da lustrascarpe – è stato il padre, Fergus de' Paperoni;
  2. e, ancor più notevolmente, la stessa Numero Uno è stata prestata da Fergus de' Paperoni a Burt Scavafossi, affinché si spacciasse come primo cliente di Paperone, e non lo lasciasse esposto alle tremende intemperie del mercato. Un teatrino.

Insomma, dietro ogni Numero Uno c'è un complicato kit di salvagenti, paracaduti, ammortizzatori, e privilegi di ogni natura. (Lo vedi Repubblica, come sono profonde le analogie pop appena ti esplodono in mano?)

Mitologia dell’evasione fiscale

Ugualmente istruttivo è il racconto degli anni universitari di Elon Musk. Anni in cui Musk e il suo coinquilino, dal favoloso nome di Adeodato Gregory Ressi di Cervia (non scherzo), trasformano la loro casa in affitto, appena fuori dal campus della University of Pennsylvania, in un nightclub: «Trasformano in un locale una casa composta da dieci stanze. C'è l'open bar, si pagano cinque dollari per entrare, e a ogni festa partecipano fino a cinquecento studenti». Seguono domande. 
Musk e il suo coinquilino vivono in due in una casa di dieci stanze? E se no, che ne pensano gli altri cinque, sei, sette, o otto inquilini del loro progetto imprenditoriale? Cinquecento persone a botta e al locatore non arriva una voce, una mezza parola, un qualche sospettino, una curiosità su che fine hanno fatto i suoi mobili?
Ma interrogarsi sulla veridicità di una parabola equivale a fraintenderla. Chiediamoci piuttosto: che ci mostra?
Il fiuto per gli affari di Elon? Mah, per quello sarebbe bastato il racconto della sua Numero Uno (cfr. supra). La socialità quasi animale di Elon? Manco per idea, anzi ci informano che: «Mentre gli altri si ubriacano, Elon resta sobrio. (...) Non si ubriacava mai. Non faceva nulla. Zero. Niente di niente». E allora?

Aver trasformato la casa dove sei in affitto in un nightclub. Se ci pensate, il senso della parabola non può che essere uno. Ovvero, evidenziare una caratteristica cruciale dell'anima di Elon Musk, una soft skill cardinale della sua vita successiva, un superpotere che lo accomuna alla sua generazione di miliardari, un incantesimo di cui è maestro inarrivabile, un'arte sofisticatissima, e pur sempre un'autentica passione: non pagare le tasse.

Essere Elon Musk è in onda (quasi) ogni giorno su Repubblica. Nei prossimi giorni si parlerà soprattutto di quanto sarà meraviglioso trasferirci tutti su Marte.


Questo articolo fa parte della serie Cose da maschi, che diventerà anche una nuova newsletter di Domani. È un inventario degli oggetti che definiscono (o destabilizzano) la differenza più difficile da immaginare come uno spettro, invece che una dualità: quella tra maschile e femminile. È un osservatorio sulla metà del cielo che ci è sempre parsa nota, dominante, standard, e intende rimapparne le costellazioni visitando sia pianeti familiari che sistemi remoti, mai raggiunti prima dai telescopi.

Per capire cosa siano l’identità di genere, il patriarcato, persino il femminismo oggi bisogna interrogare la maschilità invece di darla per scontata.

Dalle armi e automobili di plastica che mettiamo in mano ai bimbi, agli smalti e collane dei cantanti che seguono su TikTok quando non li guardiamo, il catalogo delle cose ancora (o non più) maschili di quest’età fluida e immateriale racconta le fragilità di supereroi e leader carismatici, il potere di idoli mingherlini e soft boys, le aspirazioni e i sogni di chi lotta perché quella dei maschi diventi una tribù inclusiva e consapevole della propria mitologia.

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