La Resistenza ha avuto tra i suoi partecipanti anche numerosi meridionali. Non solo: la Resistenza è avvenuta anche in terre meridionali. Queste frasi possono sembrare a chi legge, se non è proprio uno che bazzica quotidianamente il dibattito scientifico, pacifiche, scontate. Perché non dovrebbe essere così? In realtà, dietro di esse non c’è nulla di ovvio, ma il risultato di una vera e propria querelle storiografica, fatta di anni di studio e scavi d’archivio, polemiche e retoriche a volte strumentali, meccanismi di inclusione ed esclusione non sempre pienamente ascrivibili alla scientificità.

LE VARIE ANIME DELLA RESISTENZA

La storiografia è oggi concorde nel ritenere che la lotta di Liberazione fu un fenomeno plurale, fatto, cioè, di più anime. Fu, innanzitutto, Resistenza armata, condotta dalle formazioni partigiane che combatterono tedeschi e fascisti con organizzazione di tipo militare e mentalità politico-strategica. Resistenza fu, però, anche quella di chi aiutò soldati sbandati, ex prigionieri alleati ed ebrei perseguitati: fu la Resistenza “civile”. Anche l’aiuto disarmato ai partigiani, il rifiuto di lavorare per gli occupanti, la distribuzione di stampa clandestina rientrano in questa categoria.

Resistenza fu, ancora, quella degli operai che, nelle fabbriche, attuarono sabotaggi, ostacolarono la produzione e scioperarono, subendo violenze e deportazioni dalle quali molti non tornarono.

Poi, Resistenza fu quella dei militari che, dopo l’armistizio, si opposero alle richieste tedesche di resa, scegliendo di combattere per non cedere, prima ancora che le loro armi o il loro “onore”, le proprie persone. Questa fu la Resistenza dei militari, che ebbe la sua versione più meditata e “politica” nei campi di internamento, dove molti si ostinarono a rifiutare ogni forma di collaborazione con la Repubblica sociale e il Terzo Reich.

ANCHE NEL MERIDIONE

Tutte queste “anime” della Resistenza non furono appannaggio di alcune parti d’Italia o di alcuni cittadini del paese. Furono, invece, sulla base dei diversi tempi dell’occupazione e della liberazione, fenomeni “nazionali”. Ciò vuol dire che si verificarono anche nel Meridione e coinvolsero anche i meridionali. Come provano fonti diverse – carte d’archivio sempre più numerose, testimonianze orali, tracce materiali – innanzitutto le genti del Sud provarono a liberare le proprie terre.
Ciò avvenne non solo a Napoli, ma a Bari, Matera, Lanciano, Bosco Martese, in diversi comuni del salernitano, a Nola, Castellammare di Stabia, Acerra e altrove. Quei primi episodi di Resistenza videro uniti nel combattimento i civili del posto e i militari che ci si trovavano per la guerra, in una simbolica ricomposizione del disastro dell’8 settembre. Questa compresenza sarebbe stata una caratteristica di tutta la lotta di Liberazione.

Nella gran parte dei casi si trattò di tentativi sfortunati, Resistenze fallite ma non per questo mancate, come del resto avveniva, nello stesso contesto temporale, più a nord (penso alla Roma di Porta San Paolo e della Montagnola, alla battaglia di Piombino, agli scontri in Piemonte e Lombardia dell’autunno 1943).

Insomma, la battaglia di Napoli, che finì bene, rappresentò un’eccezione solo nei suoi esiti ma, al Sud, non fu l’unica. E, a proposito di Napoli, la cui insurrezione è stata talvolta ridotta a una scaramuccia di scugnizzi, vanno forse ricordate due cose: è vero che gli Alleati erano alle porte della città, ma là restarono fino alla ritirata dei tedeschi; è vero anche che i tedeschi se ne stavano andando, ma l’avrebbero fatto portando con sé migliaia di napoletani e qualche centinaio di ebrei, nonché riducendo la città in macerie. L’insurrezione impedì che tutto ciò avvenisse, e non è poco.

RESISTENZA ALLA SPOLIAZIONE

Al Sud, più che all’occupazione, che fu molto breve, si resistette alla pratica di spoliazione e distruzione dei territori e di ciò che li componeva, a partire dagli esseri umani. I tedeschi, in risalita verso Roma, consideravano il Mezzogiorno terra di rapina, da depredare di risorse e uomini e, per il resto, ridurre in “terra bruciata”. Nei confronti delle popolazioni, la strategia fu quella dell’eliminazione, anche preventiva, di qualsiasi forma di dissenso o reazione. Il risultato è nei numeri: ben 2.622 furono i morti “inermi” – cioè non in combattimento – del passaggio tedesco a Sud, massacrati in rappresaglie, operazioni di rastrellamento di manodopera o di ritirata, strategie di controllo del territorio e di punizione di atti anche puramente istintivi, come la difesa da uno stupro o da un arresto.     

La prima Resistenza delle terre meridionali fu, dunque, anche, una lotta per la sopravvivenza, non diversa da quella che, negli stessi tempi, si combatteva al centro-nord. Anche le Quattro giornate di Napoli scaturirono dalla necessità della popolazione di proteggersi dalle distruzioni e dalle razzie, innanzitutto quella degli uomini. La città resistette per tutto il mese di settembre e i tedeschi la punirono facendone uno dei capoluoghi italiani maggiormente colpiti dalle stragi, terza solo dopo Roma e Bologna, ma in un arco di tempo estremamente più breve.

LA BREVE LOTTA DEL SUD

Nelle aree in cui la permanenza tedesca durò più a lungo, come nella Campania settentrionale, in Molise e soprattutto in Abruzzo, si ebbe il modo di organizzare formazioni partigiane, che, già a livello embrionale, contenevano in sé le stesse possibilità di svilupparsi dei raggruppamenti che si formavano al Nord. L’esperienza bellica della gran parte di esse – tra loro, però, la grande Brigata Maiella – fu cronologicamente ridotta ma significativa. Ciò vuol dire che la possibilità di una Resistenza matura, politicamente pronta ad assumere su di sé la responsabilità del paese che sarebbe venuto dopo, fu questione di tempi più che di luoghi.

Anche la “breve” lotta del Sud fu assistita da innumerevoli atti di Resistenza civile, e molti furono, ovviamente, i meridionali tra gli internati nei lager. Tanti, poi, furono quelli che l’armistizio colse al centro-nord e che presero parte alla Resistenza. Difesero quelle terre come se fossero le proprie, perché in fondo lo erano. La lotta in montagna fu anche occasione per conoscersi e «farsi nazione». Lo avrebbe scritto Beppe Fenoglio, ne Il partigiano Johnny, che «mai il nord aveva tanto amato il sud e viceversa» come in quei mesi di lotta, tutti a difendere la stessa “piccola” patria.

Sebbene ogni tanto, magari all’uscita di un nuovo libro, l’opinione pubblica sembri “scoprire” la Resistenza del Mezzogiorno, noi studiosi di nuova generazione beneficiamo di una solida tradizione storiografica. Sono decenni che protagonisti e studiosi parlano, scrivono e non di rado si affannano a raccontare la partecipazione delle genti del Sud ai passaggi fondamentali della storia nazionale, come la Resistenza o il Risorgimento. Tale partecipazione alla storia fu, ovviamente, ciò che poté essere. Anche la Resistenza settentrionale all’inizio fu disorganizzata, “arrangiata”, tesa alla salvezza di chi la combatteva e alla sopravvivenza degli spazi fisici e umani in cui si muoveva.

OCCHI NUOVI PER IL SUD

Credo sia giusto, a questo punto, smettere di fare due cose: guardare il sud con gli occhi del nord, attribuendo meriti e demeriti a quelli che sono innanzitutto dati storici. È vero, ad esempio, che la Resistenza fu scelta obbligata dei meridionali al nord (che però avrebbero potuto pure scegliere Salò), ma fu così anche per tanti settentrionali renitenti ai bandi di arruolamento della Rsi. Ancora: non è negativo – eppure tanti, innanzitutto meridionali, la vedono ancora così – che alcune motivazioni siano state prepolitiche, alcune proteste spontanee, o che vi abbiano preso parte ampi strati popolari, che la stanchezza della guerra sia stata una delle ragioni della scelta, e così via. Furono motivazioni validissime per la Resistenza di chiunque e dovunque.

Seconda cosa: smettiamo di fare del Sud una “scoperta”. Il fatto che abbia avuto la sua parte nella Resistenza, o nella storia tutta, non è miracoloso né straordinario, ma ovvio. Non poteva essere altrimenti. Averlo sottovalutato per anni è stato un errore o, meglio ancora, una «stupidaggine», come mi disse Vittorio Foa ormai diversi anni fa.

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