Dalla sua formulazione a oggi, il concetto di “luogo di memoria” ha vissuto una rilevante trasformazione di significato, nata dall’uso e dalle esigenze del presente. Quello che era un paradigma storiografico ha preso corpo tangibile – ed esperibile – nell’uso pubblico, mettendo il luce il profondo legame tra la memoria di eventi violenti e il luogo dove sono accaduti.

LIEU DE MÉMOIRE

Coniato nei primi anni Ottanta dallo storico Pierre Nora come chiave per analizzare la storia nazionale francese, lieu de mémoire inizialmente non indica di necessità una presenza territoriale né un fatto traumatico, ma è invece inteso in tutte le sfaccettature del termine latino lŏcus: dall’oggetto più materiale e concreto fino a quello più astratto e concettuale. Sono così luoghi della memoria musei, archivi, monumenti, ma anche personaggi, date, trattati, avvenimenti, simboli, ecc.

Negli anni Novanta, mentre la fortuna critica in ambito storiografico porta a sviluppare progetti analoghi a quello francese in Italia e Germania, in parallelo si diffonde un’altra accezione dell’espressione, adottata nella gestione del patrimonio culturale e nelle retoriche pubbliche.

Alla definizione iniziale che vede il luogo di memoria come elemento significativo che il lavoro del tempo o la volontà degli uomini hanno trasformato in un simbolo per la comunità, si è affiancato un senso più circoscritto: un punto del territorio (un edificio, una struttura, un paesaggio) segnato da eventi violenti, in particolare dovuti al secondo conflitto mondiale, o ad altri fatti tragici successivi. È la condensazione di una memoria traumatica a far percepire il peso del luogo: un «paesaggio contaminato», riprendendo l’espressione dello scrittore austriaco Martin Pollack. Solo in alcuni casi i due significati coincidono, come per i luoghi fisici divenuti anche luoghi di senso per l’intera nazione, oggetto a volte di costruzioni commemorative.

IN ITALIA

Riguardo al caso italiano, alla fine degli anni Novanta lo storico Mario Isnenghi ha curato tre volumi dedicati ai luoghi della memoria dell’Italia Unita, evidenziando eventi, date, personaggi, simboli. Una parte preponderante delle voci si focalizza sul periodo che va dall’ascesa del fascismo alla guerra, la Resistenza, la Liberazione. Sono, ad esempio, luoghi della memoria italiani la marcia su Roma, la guerra di Spagna, le leggi razziali, Predappio, Mussolini, Matteotti, il 10 giugno (1940, l’entrata in guerra dell’Italia), la guerra di Grecia, la ritirata di Russia, il 25 luglio (1943, la caduta del fascismo e la deposizione del duce), l’8 settembre (1943, giorno della comunicazione pubblica dell’armistizio firmato dal governo Badoglio), la Repubblica sociale italiana, la Resistenza, piazzale Loreto.

Predappio, Emilia Romagna. La cappella dove è sepolto Benito Mussolini: Petra Kaminsky/picture-alliance/dpa/AP Images

PIAZZALE LORETO

In questa rassegna, gli unici luoghi tangibili sono, significativamente, legati alla figura del duce: il luogo della nascita e quello dell’esposizione del cadavere. Se il paese natale di Mussolini era stato oggetto di una costruzione cultuale voluta dal duce stesso e rimane a tutt’oggi meta di pellegrinaggi di nostalgici del regime, piazzale Loreto a Milano raccoglie una doppia memoria. Questo luogo fu scelto – non senza divisioni – il 29 aprile 1945 per esporre i corpi del duce e di alcuni gerarchi a causa del peso che aveva assunto nella memoria locale la fucilazione e l’esposizione dei corpi di 15 partigiani avvenuta qui il 10 agosto 1944. È in loro ricordo che nel primo anniversario viene eretto un monumento.

Per questa stratificazione di memorie, piazzale Loreto si può considerare un esempio anche della seconda accezione dell’espressione, quella che comprende i luoghi investiti dalla violenza del fascismo, del nazismo e poi dalle stragi dell’Italia repubblicana: dalle fosse ardeatine alla risiera di San Sabba, da Monte Sole al campo di Fossoli, da piazza Fontana a Milano alla Stazione di Bologna. Vicende diverse tra loro, accomunate dalla concentrazione della violenza in un luogo fisico definito. Luoghi del trauma, prima che della memoria: la loro trasformazione in monumenti ha tempistiche e modalità differenti, legate anche alla progressiva presa di coscienza di cosa vi era avvenuto. Una consapevolezza spesso arrivata solo dopo una lunga e complicata stagione processuale, giunta fino a oggi.

LE FOSSE ARDEATINE

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Le fosse ardeatine sono un esempio significativo della duplice valenza di “luogo della memoria”. Subito dopo la liberazione di Roma nel giugno 1944, una commissione italiana e alleata assunse l’impegno di costruire un ricordo del massacro nel luogo stesso dove questo era avvenuto pochi mesi prima. Segnando una profonda differenza rispetto ai monumenti del passato, qui il punto esatto dell’eccidio, il monumento commemorativo e le sepolture delle vittime coincidono, in un nodo inscindibile. L’assetto definitivo si deve al lavoro congiunto dei due gruppi vincitori ex aequo del concorso tenutosi nel 1945, guidati dagli architetti Mario Fiorentino e Giuseppe Perugini. Non più monumento ieratico al centro di una piazza, le fosse ardeatine sono un luogo periferico (scelto dai nazisti proprio per questa sua caratteristica) dove si articola un percorso memoriale: il visitatore attraversa i cunicoli delle cave di pozzolana, vede le voragini – i grandi oculi da cui appaiono il cielo e gli alberi – lasciate dalle esplosioni effettuate dai soldati tedeschi per occultare i corpi e le prove del crimine, quindi si trova di fronte al sacello – vero luogo del massacro – protetto da cancellate disegnate da Mirko Basaldella, per poi accedere all’immensa aula ipogeica dove sono raccolte le spoglie delle 335 vittime. Percorrendo il luogo il visitatore compie un rituale commemorativo, ma anche un’esperienza rammemorativa e percettiva personale, silenziosa, in cui le retoriche pubbliche tacciono.

Il MEMORIALE DI BOLOGNA

Ma un luogo della memoria del trauma subito da una comunità può nascere anche senza progetto, guidato dall’istinto. Un esempio particolarmente rappresentativo riguarda Bologna, dove il 21 aprile 1945, fin dalle prime ore seguite alla liberazione, i cittadini iniziarono a costruire spontaneamente quello che diventerà il sacrario per le vittime della violenza nazista e fascista. Sul muro del Palazzo del Comune, dove avvenivano le fucilazioni e dove ancora si vedevano i segni dei proiettili, i bolognesi accorsero per affiggere le fotografie dei loro cari – tirate fuori dai portafogli, tolte dai documenti o dalle cornici, o prese così com’erano dalle pareti delle proprie case – insieme a fiori, una croce, una bandiera italiana listata a lutto.

Un altare popolare che, alcuni anni dopo, lo scrittore francese Jean Giono descriverà come «il monumento ai caduti più straordinario che ci sia. Orribile ma perfetto». Un mosaico di volti che «ci appaiono com’erano agli occhi di chi li amava: il grande e paffuto uomo coi baffi a manubrio, il bel tenebroso con la cravatta impeccabile [...]. Mi sono venute le lacrime agli occhi davanti a un nome che una madre aveva accompagnato [...] con la fotografia di un biondino in braghini corti e colletto alla marinara. Aveva voluto custodirlo nel ricordo a quell'età. Mi sono avvicinato all'immagine, sia per mascherare la mia emozione, sia per imprimermi nella memoria i tratti di quel bambino. Era ancora più terribile di quanto pensassi. Si trattava della foto di un comunicando, pieno di meraviglia».

Alla fine degli anni ‘50 questo muro del ricordo fu trasformato in monumento permanente, le immagini fissate dalla fotoceramica, diventando un segno importante per la storia cittadina e tuttavia perdendo la forza dell'urgenza. Nel 2012 sono emerse alcune fotografie scattate a Bologna il 21 aprile 1945 da un giovane soldato statunitense, Edward Reep: di quel giorno si erano tramandate immagini di festa, ora improvvisamente affioravano altri sguardi, gravati da rabbia, dolore e dignità, che avevano trovato forma in quel memoriale spontaneo.

IL VALORE DEI LUOGHI

Nati istintivamente o progettati minuziosamente, frutto della volontà degli uomini o del lavoro del tempo, che valore hanno i luoghi della memoria per il presente? Evocati spesso dalla retorica dei “mai più”, purtroppo non hanno il potere di dare ricette facili per evitare il ripetersi degli eventi. Possono invece invitare a fermarci, a pensare, a sentire dolorosamente. Perché attraversare un luogo della memoria – della violenza, del trauma – solleva domande, più che dare confortevoli risposte. Domande, dubbi, che non sono scissi dalle emozioni: è su questo nodo che i luoghi della memoria inducono a lavorare, per cercare di capire il passato e per – come indicava il teologo, politico ed ex partigiano don Giuseppe Dossetti – vigilare sul presente.

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