Eni nelle istituzioni europee è di casa: i lasciapassare per fare lobbying “in-house”, e cioè dentro all’Europarlamento, sono ben sei, più che per qualsiasi altra compagnia analoga. Rispetto alle imprese italiane, Eni è medaglia d’argento per il numero di incontri registrati - 49 - tenuti dal 2014 con i commissari europei, il loro staff di gabinetto e i direttori generali.

Le lobby del gas di cui la compagnia fa parte, e nelle quali ha un peso rilevante, intrattengono con esponenti della Commissione circa un incontro a settimana (129 in totale dal 2018); per l’attività lobbistica dichiarano di aver speso 100 milioni dal 2014. 

«Doveva essere coperto»

L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, è sempre stato stato ricevuto dai vertici di Bruxelles nonostante sia sottoprocesso per corruzione internazionale da anni. Ma Eni, società controllata dal ministero del Tesoro italiano, ha un peso politico che non pare scalfito dalle vicende giudiziarie dei suoi vertici.

 Nel 2018 ha incontrato Elzbieta Bienkowska, all’epoca commissaria al Mercato interno. Nel 2019, quando Ursula von der Leyen è diventata presidente dell’esecutivo Ue, ha segnato la sua presenza con un telegramma di congratulazioni; e ha aperto così il canale di comunicazioni.

Nello stesso anno, mentre il vicepresidente Frans Timmermans lavorava al Green Deal europeo, Descalzi cercava di incontrarlo. E più di recente, nel giugno 2020, hai nterloquto con la commissaria all’Energia Kadri Simson.

Tutti questi dati sono stati raccolti da Global Witness, associazione che si batte contro corruzione e abusi di potere. Barnaby Pace, che ne fa parte, racconta che «abbiamo utilizzato il nostro diritto di accesso agli atti, previsto dall’Ue, e all’inizio ci sono arrivati documenti dove si leggeva il nome di Descalzi; poi ci è stato detto che si erano dimenticati di secretarlo e che non potevamo usare l’informazione. Ma ci sembra nell’interesse pubblico che si sappia che una persona accusata di aver corrotto dei pubblici ufficiali incontri i commissari». 

Una muraglia difensiva

Il lavoro di Global Witness ha prodotto un dossier, Polluting the process, e una richiesta all’Europa: creare un firewall, una barriera  perché «incontrare aziende che lavorano sui combustibili fossili mentre si dovrebbe combattere il cambiamento climatico è come incontrare la lobby del tabacco mentre si lavora per la salute pubblica», dice Pace.

Le associazioni ambientaliste concordano; appoggia la proposta Greenpeace, ad esempio. La Commissione che la transizione energetica va guidata e che è giusto dialogare con gli attori coinvolti, ma di quale dialogo si tratta?

Dell’incontro di giugno con la commissaria all’Energia sappiamo ad esempio che la parola “gas” rimane il fulcro delle politiche energetiche di Eni; «the choice for gas», la scelta del gas, si incentra «sulla nostra base tecnologica». Luca Iacoboni, responsabile clima ed energia di Greenpeace, dice che «la strategia dell’azienda continua a essere di bruciare gas e petrolio, non di investire seriamente nelle rinnovabili».

Il piano di investimenti 2021-2024 prevede che Eni abbatta solo il 25 per cento delle proprie emissioni di CO2 entro il 2030. «Obiettivi piccoli e di lungo periodo», commenta Iacoboni. Questi da qui al 2030 «sono anni decisivi» e Eni aumenta l’estrazione di gas e petrolio. Rystad Energy ha calcolato che nel prossimo decennio Eni investirà 33 miliardi di euro in nuovi giacimenti di petrolio e gas. 

Eni alla Farnesina

Perciò, proprio alla luce di quello che Greenpeace chiama “greenwashing”, perché «Eni insiste sul gas e invece dovrebbe puntare sulle rinnovabili e sulla decarbonizzazione al più presto», va letta la attività lobbistica che è intensa non solo a livello europeo - nei mesi in cui l’Unione impegna soldi e intenzioni nei piani green - ma anche a livello italiano.

Proprio questo mese l’associazione Re:Common ha portato alla luce un protocollo d’intesa stipulato - senza che fosse reso noto - nel 2008 tra il ministero degli Esteri ed Eni. All’epoca, al governo c’è Silvio Berlusconi, e gli interessi energetici sono ad esempio con la Libia di Muammar Gheddafi e – sul fronte del gas – con Gazprom dell’”amico” Vladimir Putin.

Anche se tempi e governi sono cambiati, nessun governo ha ancora messo in discussione l’accordo, che consente al colosso energetico di mettere propri uomini di stanza alla Farnesina per un periodo illimitato per permettere un raccordo tra azione diplomatica e interessi dell’azienda.

A sua volta il ministero distacca un membro del suo corpo diplomatico presso l’azienda. Quell’accordo compie ormai 13 anni. Quest’anno l’Italia copresiederà Cop26 e ospiterà il G20. Con che spirito affronterà il tema degli investimenti pubblici nei combustibili fossili?

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