Otto anni fa il naufragio di Lampedusa: 368 persone annegate ad un passo dalla salvezza, a mezzo miglio dal porto. Intrappolate nella stiva di un barcone risucchiato sul fondo del mare a 40 metri di profondità. Il mare ha restituito corpi per 15 giorni consecutivi.

«Per la prima volta ci venne sbattuto in faccia attraverso le immagini della televisione, quel dramma che fino a quel momento era invisibile», dice Giusi Nicolini, allora sindaca dell’isola. Il 3 ottobre ha segnato uno spartiacque da cui poi nacque “Mare Nostrum”, la più grande operazione di salvataggio in mare.

Ma la verità su cosa è davvero successo quella notte, il perché di quel naufragio, è ancora solo parziale. L’inchiesta per omissione di soccorso ha individuato solo una delle due barche che avrebbero potuto soccorrere i naufraghi, ma non l’hanno fatto.

«Due barche si sono avvicinate, la prima ci ha puntato un faro accecante contro, mentre la seconda ci ha girato intorno», racconta Adhanon Rezene Haile, uno dei superstiti che ora vive a Stoccolma. «Le due barche sono arrivate insieme. La prima si è fermata e ci ha illuminato. La seconda ci è venuta vicino e ci ha girato intorno», ricorda anche Amanuel Sium, che era con Adhanon su quel barcone. Lo stesso ricordano tutti gli altri: quel faro che li ha accecati e gli ha impedito di vedere segni di riconoscimento.

Una era sicuramente un peschereccio di Mazara del Vallo, secondo l’inchiesta condotta dal pm Andrea Maggioni della procura di Agrigento che ha portato in tribunale l’equipaggio e lo ha fatto condannare in primo grado. La seconda barca non è mai stata identificata.

I superstiti chiedono verità e giustizia in un appello collettivo che hanno rivolto a Spotlight, il programma di inchiesta di Rainews 24. Il loro racconto, assieme a documenti e testimonianze inedite andranno in onda venerdì primo ottobre alle 21.30 su RaiNews, in una puntata intitolata: “3 ottobre. Il naufragio di Lampedusa ancora senza verità”.

Valerio Cataldi e Raffaella Cosentino, autori dell’inchiesta, cercano di illuminare il buio di quella notte senza luna, in cui il mare era calmo e non ci fu pietà per quegli uomini, donne e bambini annegati, quando qualcuno fece finta di non vedere e non sentire le grida di aiuto.

Nelle prime ore del mattino del 3 ottobre 2013, l’imbarcazione, lunga 18 metri e larga 6, con più di 500 eritrei a bordo, arrivò a mezzo miglio dalle coste dell’isola. Il motore in panne e l’acqua che iniziava ad allagare il livello più basso. Per ore in condizioni di stabilità precaria, con le persone, in fuga dalle torture del regime eritreo e dei carcerieri in Libia, stipate nella stiva e sul ponte.

Tutti i superstiti ricordano quei fari accecanti, quelle barche dalla linea così simile raccontate anche dallo scafista, il tunisino Khaled Ben Salem, il solo a dire che una di quelle due barche era di colore blu. Due barche che non li aiutarono e non chiamarono la guardia costiera per soccorrerli.

Le testimonianze, rese subito dopo il naufragio agli inquirenti, sono rimaste per anni agli atti dell’indagine per omissione di soccorso. Ma il processo si è aperto con grande ritardo ed è giunto a una sentenza di primo grado solo lo scorso dicembre. Il peschereccio Aristeus di Mazara del Vallo, è stato incastrato dal tracciato registrato dal sistema AIS (automatic identification system) che è installato sui pescherecci e, attraverso il satellite, invia continuamente la rotta, la velocità e l’identificazione delle navi.

Lo dice con chiarezza la perizia del consulente della procura, l’ammiraglio Vittorio Alessandro, che individua l’area in cui era il barcone dei profughi prima di affondare.

Il tracciato dell’Aristeus è l’unico, tra le imbarcazioni con AIS transitate quella notte davanti a Lampedusa, a entrare nell’area del naufragio, a rallentare e a fermarsi per un’ora, tra le 3 e le 4 del mattino.

Le telecamere di Spotlight hanno incontrato per la prima volta il comandante dell’Aristeus, Matteo Gancitano, oggi settantenne e ancora al lavoro, che ha negato tutto con grande determinazione nonostante la condanna per omissione di soccorso a 6 anni, quattro anni ai sei membri dell’equipaggio. Nelle motivazioni della sentenza si legge che avrebbero visto il barcone ed evitato di chiamare i soccorsi perché dovevano scaricare il pesce in porto e riprendere il mare per una nuova battuta di pesca.

Per la prima volta però nella trasmissione emerge una conferma da parte di una fonte che ha voluto restare anonima, sul fatto che fosse proprio l’Aristeus una delle due barche italiane che quella notte ignorò le richieste di aiuto dei migranti prima che fosse troppo tardi.

Ancora senza nome la seconda barca avvistata dagli eritrei. Sicuramente non era tracciata con il satellitare. Negli anni si è anche parlato di una motovedetta istituzionale. Il magistrato Andrea Maggioni smentisce questa ipotesi. L’avvocato Gaetano Pasqualino dell’associazione Progetto Diritti Onlus spiega che però i tracciati della guardia di finanza e dei carabinieri non ci sono e che le ipotesi sono tutte ancora aperte.

Spotlight riapre la ricerca della verità rilanciando l’appello di superstiti e familiari delle vittime. Un grido di aiuto doppiato dalle voci straordinarie di Francesco Pannofino e Francesco Venditti e dagli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia  - Scuola Nazionale di Cinema di Roma Daniele Gatti e Beniamino Presutti.

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