Centinaia di milioni di euro di soldi pubblici spesi da costruttori privati quasi senza alcun controllo da parte di regione e comune. Quasi mezzo miliardo che negli ultimi vent’anni avrebbe dovuto garantire case a un prezzo adeguato a persone e famiglie con un reddito medio. A tanto ammonta il finanziamento che negli ultimi venti anni è stato erogato nella Capitale per l’edilizia agevolata, un modo per permettere a chi ha un reddito non elevato di affittare o comprare un'abitazione a Roma, con prezzi alle stelle e un’emergenza abitativa costante.

Mezzo miliardo a cui vanno aggiunte le spese di imprese o cooperative edilizie: i contributi erogati dalla Regione hanno coperto solo una piccola parte dei costi. Una pratica lodevole, se tutto fosse andato per il verso giusto. Così non è stato, e un ruolo fondamentale l’hanno giocato le amministrazioni di ogni colore che si sono succedute negli ultimi due decenni.

Il risultato dei piani di zona sono decine di palazzi mai finiti di costruire, in quartieri dove mancano strade, marciapiedi, illuminazione, fogne. E inquilini costretti ad anni di battaglie - e spese - legali per provare a far riconoscere i propri diritti. La colpa però non è solo di quei costruttori che hanno intascato i soldi di tutti senza rispettare i patti, ma anche della politica, che ha vigilato molto poco sul rispetto delle convenzioni da parte dei palazzinari, che spesso hanno potuto fare il bello e il cattivo tempo.

Il muro di gomma

«L’uso distorto dei finanziamenti pubblici da parte dei costruttori non ha sempre permesso di avere alloggi a prezzi agevolati». A parlare sono Monica Polidori e Gianmarco Montis: all’inizio degli 2000 hanno comprato due appartamenti nel piano di zona di Monte Stallonara a un prezzo di oltre 2mila euro al metro quadrato, quando in realtà la legge avrebbe previsto un costo inferiore di almeno un terzo.

Le palazzine del piano di zona di Monte Stallonara sono state costruite sui terreni dove era presente una ex cava, in prossimità della discarica di Malagrotta. Oggi è in corso un’inchiesta della magistratura, che ha effettuato dei carotaggi: si sospetta che i palazzi siano sorti su una ex discarica abusiva. Non solo: dal 2000 a oggi, non sono ancora state realizzate le opere di urbanizzazione primaria.

«Abbiamo incontrato tutte le giunte degli ultimi 10 anni: nessuno ha mai risolto la situazione. Solo l’ultima amministrazione ha fatto qualcosina, ma non la “rivoluzione” che avevano promesso», raccontano. Polidori e Montis, come molti altri, hanno investito tutti i propri risparmi per la casa: «Sapevamo fosse un progetto in cui c’era anche un contributo pubblico e che i prezzi erano calmierati e coerenti con il nostro reddito».

Quello che non sapevano è che avrebbero pagato molto di più di quanto previsto dalla legge per degli appartamenti che non rispettavano gli standard promessi dai costruttori. La storia degli abitanti di Monte Stallonara accomuna tantissime persone che hanno comprato o affittato un appartamento di questo tipo. Per comprendere il problema, bisogna capire il meccanismo che regge i piani di zona, una pratica di edilizia agevolata in cui collaborano pubblico e privato.

La regione, attraverso dei fondi messi a disposizione governo, partecipa alle spese con un contributo alla costruzione; il comune dà in concessione un terreno per 99 anni, il privato costruisce gli alloggi, che poi vengono venduti o affittati a un prezzo calmierato, e si impegna a realizzare le opere di urbanizzazione.

Al centro di tutto c’è una convenzione tra costruttori e comune, che prevede tempi di consegna, standard realizzativi, e sanzioni per il privato nel caso in cui i punti dell’accordo non venissero rispettati. A garantire un prezzo adeguato per le persone in determinate fasce di reddito sono due parametri: il limite massimo di costo e il prezzo massimo di cessione.

«Quando i costruttori hanno presentato le tabelle al comune - se l’hanno fatto - il prezzo finale degli alloggi era di gran lunga più alto rispetto a quanto stabilito. Questo ha inciso sui costi di cessione», spiegano Polidori e Montis. Il mancato rispetto delle convenzioni da parte dei costruttori delle sanzioni, da una consistente multa alla revoca della concessione con cui il comune potrebbe rientrare in possesso dei terreni, e quindi degli immobili.

«Nonostante da subito sia stata evidente la commissione di illegittimità da parte di molti costruttori, chi doveva vigilare non ha mosso un dito», afferma l’avvocato Vincenzo Perticaro, legale esperto in piani di zona. Lo scorso dicembre ha presentato un esposto alla Corte dei Conti, per chiedere di vigilare sul possibile danno erariale scaturito dall’omesso controllo di comune e regione: «Tra mancate sanzioni e revoche di concessioni, i danni potrebbero essere superiori ai due miliardi di euro», spiega. Quello ai magistrati contabili è solo l’ultimo di una lunga serie di esposti e diffide, presentati in comune e in procura, «ma quasi sempre si sono scontrati contro un muro di gomma».

La prossima bomba sociale

Il mancato controllo ha creato situazioni paradossali. Come quella delle 43 famiglie di uomini e donne delle forze dell’ordine che lavorano nella lotta contro la criminalità organizzata, che dai primi anni 2000 vivono in alcune palazzine del piano di zona di Tor Vergata. «Noi tra un anno e mezzo andiamo per stracci», racconta il tenente M. Con la sua famiglia è tra gli inquilini delle palazzine di edilizia agevolata e messe a disposizione della prefettura. «Combattiamo tutti le mafie, dobbiamo lavorare in modo occulto e non possiamo esporci per denunciare la nostra situazione: per la delicatezza del nostro incarico e perché rischieremmo di essere trasferiti per incompatibilità territoriale», si sfoga il tenente prima di ripercorrere tutta la vicenda «in cui le istituzioni, comune, regione, ministeri e prefettura, ci hanno lasciati da soli».

Dopo la costruzione degli immobili, la prefettura fa un bando per cento immobili in locazione per 22 anni, con dei prezzi calmierati «ma solo in teoria, quando siamo entrati io pagavo 725mila lire di canone di locazione a fronte di 1 milione e 800mila lire di stipendio che percepivo. Abbiamo visto che le graduatorie andavano ad esaurimento, perché gli immobili erano troppo costosi. Solo chi era disperato ha accettato queste case, che avevano un prezzo poco più basso rispetto a quelli di mercato: io pagavo 1 milione di lire in un’altra zona, ho accettato per poter risparmiare 300mila lire».

I costi erano così alti perché i costruttori non hanno decurtato, dal prezzo massimo di cessione, i contributi a fondo perduto della regione.

«Nel 2014 abbiamo fatto una perizia di parte, in cui veniva stabilito che avremmo avuto diritto al ristoro di somme indebitamente versate tra i 12 e i 24mila euro a immobile. Abbiamo comunicato al costruttore che avremmo applicato da noi le tabelle del comune perché ritenevamo che ci dovessero ridare ciò che era stato indebitamente versato. La società ci ha risposto che il nostro calcolo era sbagliato», spiega il tenente.

Gli inquilini hanno così deciso di autoridursi l’affitto: «Anche il Tar ci ha dato ragione. La società ha prima fatto appello al Consiglio di Stato, poi ha rinunciato visto che i contratti di locazione tra un anno e mezzo scadono. Speriamo che la situazione si risolva presto: non è semplice fare il nostro lavoro, rientrare a casa e non sapere dove e come vivremo tra qualche mese».

I documenti che non si trovano

Ciò che più fa arrabbiare gli inquilini è il disinteresse delle istituzioni. «Comune e regione dovevano vigilare, perché non l’hanno fatto?», si chiedono retoricamente. La risposta è scontata, in una città come Roma dove i buoni rapporti con i costruttori possono segnare le fortune di una candidatura o di una amministrazione. A costruire il piano di zona di Tor Vergata è stata una società del gruppo immobiliare Maggini, uno dei più importanti della Capitale.

Elisabetta, la figlia di Agostino, fondatore del gruppo, lavora da tempo con il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. «Nel corso degli anni le società proprietarie degli immobili sono cambiate, ma sono rimaste in mano ad Anna Maria Maggini, sorella di Agostino, zia di Elisabetta. E hanno svincolato gli immobili: una parte è stata venduta a persone non delle forze dell’ordine, un’altra è finita alla signora Maggini e ai suoi figli», racconta il tenente.

Dai documenti consultati risulta che la signora Maggini abbia 10 immobili in quelle palazzine e i figli altri 7. «Alla fine il costruttore prende i soldi per tirare su gli appartamenti e poi aspetta che noi andiamo via per rivenderli o gestirli come vuole. Il sospetto è che quando scadrà il nostro contratto, ci realizzeranno un residence per gli studenti», dice l’agente M.

I Maggini infatti, nelle ultime settimane, hanno iniziato a mandare lettere di sfratto. Domani ha chiesto un commento ai costruttori, che però hanno declinato la richiesta. «Il vincolo locatizio di 22 anni imposto a suo tempo dal ministero dei lavori pubblici sta per scadere e gli appartamenti torneranno in mano ai costruttori», prosegue il tenente. «Senza una decisione politica del governo o a un rinnovo delle condizioni del piano di zona da parte di comune e regione, 43 famiglie di servitori dello Stato rimarranno senza casa».

L’attesa però non è solo verso le mosse della politica. Il tenente M. e gli altri inquilini guardano con interesse alle vicende di un altro piano di zona, quello di Boccea. È stato nominato un commissario, il viceprefetto Aldo Aldi, con il compito di stabilire se i costruttori abbiano rispettato la convenzione. Il commissario Aldi ha chiesto i documenti del piano di zona sia al comune, sia al costruttore. Lo scorso 5 marzo ha però dovuto comunicare che «a distanza di 30 giorni dall’insediamento la predetta documentazione non è pervenuta», e quindi non ha potuto proseguire con gli accertamenti. Il fatto avrebbe indispettito molto gli uomini della prefettura, che ora starebbero valutando le contromosse per tutelare gli inquilini: sia il vicecommissario Aldi, ma anche il comune di Roma, hanno chiesto tutta la documentazione ai costruttori, per valutare possibili sanzioni.

Il regno degli imbrogli

«Il comune di Roma è spesso vincolato a delle convenzioni scritte dagli avvocati dei costruttori, e tra clausole e cavilli è molto difficile arrivare a una sanzione o alla revoca di una convenzione», riflette l’urbanista Paolo Berdini, ex assessore nel primo anno e mezzo di giunta Raggi. «Quello dei piani di zona è stato il regno degli imbrogli, il prezzo massimo di cessione è un buco nero: in molti sono rimasti fregati».

Quando era assessore all’urbanistica nei primi mesi di giunta Raggi, Berdini ha disposto la revoca di alcune concessioni. «Ma è successo molto di rado prima di allora: e pensare che la revoca sarebbe stata uno strumento valido per tutelare i cittadini che ci avevano comprato casa, ma anche un investimento di centinaia di milioni di euro».

Lo scorso 12 marzo, il comune ha revocato altri immobili costruiti nei piani di zona di Borghesiana-Pantano e La Storta. Quelle palazzine erano state costruite dalla Lega San Paolo, «una cooperativa che conosciamo bene», racconta una fonte nel palazzo della Regione. Il vicepresidente del consiglio d’amministrazione della cooperativa, Pasquale Altieri, è il suocero di Gianluca Quadrana, consigliere regionale eletto nella lista civica “Zingaretti presidente” nelle ultime due tornate elettorali.

Nel 2016 una consigliera regionale del Movimento 5 Stelle, Valentina Corrado, oggi assessore al turismo, aveva fatto un’interrogazione parlamentare chiedendosi se non ci fosse un conflitto di interessi che non permettesse alla regione di vigilare adeguatamente sui piani di zona concessi alla cooperativa del suocero di Quadrana.

Purtroppo, fino ad oggi, è stato fatto molto poco da parte di comune e regione per vigilare su un investimento che avrebbe potuto aiutare seriamente migliaia di famiglie. «Alla fine il costruttore prende i soldi per fare appartamenti, ma spesso li gestisce senza controlli», dice il tenente, sintetizzando la rabbia di molti inquilini. «Ma così l’emergenza abitativa tu l’hai tamponata, non risolta. Il costruttore si arricchisce e a noi non ci hai dato niente».

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