«Sotto sequestro giudiziario per inosservanza alle norme sulla prevenzione degli infortuni e igiene sul lavoro», recita il verbale affisso sul cancello del cimitero Flaminio a Roma. I carabinieri hanno sequestrato i locali di deposito urne e deposito ossario, sancendo con l'apposizione dei sigilli, il fallimento nella gestione della cremazione delle salme.

Dopo il sequestro, le agenzie di onoranze funebri hanno ricevuto due comunicazioni dall'ispettorato Flaminio. «Siamo in fase di raggiungimento del limite massimo settimanale di 300 salme con destinazione cremazione, pertanto nella giornata dell’11 febbraio al raggiungimento di tale quota, non saranno più accettate salme con destinazione cremazione», dice la prima comunicazione prima di aggiungere che sarà possibile «conferire le salme» inviando un'email, salme che si aggiungono alle centinaia già in attesa di cremazione.

La seconda comunicazione che arriva dalla direzione del cimitero peggiora il quadro, per quanto possibile: «Dal 12 febbraio 2021 per sopraggiunti motivi tecnico organizzativi sono sospese le tumulazioni, inumazioni e affidi urne cinerarie sino a nuove comunicazioni».

«La politica apra gli occhi»

L'Ama, l'azienda municipale che si occupa principalmente di raccolta dei rifiuti, ha in gestione i servizi cimiteriali, ma ci sono centinaia di salme in attesa di essere cremate che vengono caricate sui camion e spostate in magazzini e depositi del cimitero.

La gestione del settore è al collasso da tempo. La burocrazia, che nella capitale diventa elefantiaca, si intreccia con l'assenza di un adeguato numero di forni crematori. Il Covid-19 e il picco di morti, soprattutto lo scorso autunno, hanno solo peggiorato la situazione, ma dal 2017, quando l'assessora all'ambiente Pinuccia Montanari firma una memoria, la giunta Raggi è a conoscenza della necessità di aumentare il numero di forni crematori e potenziare il servizio.

«Io sono avvilito, sono sinceramente sconfortato, le persone soffrono prima di spegnersi, ci vuole rispetto per i corpi dei morti che restano, in depositi, capannoni per intere settimane prima di essere cremati», dice Lorenzo Taffo che amministra un'agenzia funebre della capitale, e insiste per leggere un messaggio che ha inviato a un politico cittadino.

«Perché la politica non apre gli occhi, parlate di dottori infermieri ospedali e con i morti vi riempite solo la bocca non sapendo che la giusta dignità la dovete riservare per prima a loro e alle loro famiglie ma soprattutto a noi operatori funebri, quelli veri, per le sofferenze che stiamo vivendo», scrive Lorenzo Taffo nella sua missiva, rimasta senza risposta.

La situazione è così da tempo e ora con il Covid, nella stagione autunnale, è peggiorata. «Voglio urlare che così non si può lavorare, ma soprattutto non si può morire, con salme che restano per settimane in magazzini e vanno in decomposizione. È possibile che tra la cremazione e la consegna dell'urna alla famiglia, a Roma, passi un mese per adempimenti burocratici? E perché i privati devono per forza rivolgersi all'Ama per cremare un corpo?», conclude Taffo che da tempo denuncia il sistema al collasso.

Una procedura unica in tutta Italia

Taffo non è l’unico a denunciare la carenza del sistema romano. Anche Giovanni Caciolli, segretario nazionale di Federcofit, racconta da tempo una situazione insostenibile. Secondo i dati della Federazione del comparto funerario italiano, il paragone tra la Capitale e le altre città era impietoso già prima della pandemia quando a Milano i tempi per la cremazione erano di tre quattro giorni mentre a Roma se ne dovevano aspettare almeno quindici.

Il motivo dei ritardi è prima di tutto dovuto a una procedura unica in Italia che non permette a chi vuole far cremare il defunto di avere il via libera dal comune nel momento in cui viene approvato il suo trasferimento. Dopo avere sbrigato all’ufficio comunale le pratiche per spostare il cadavere dalla dimora, il cittadino deve infatti rivolgersi ad Ama che, dopo avere analizzato le richieste, le rimanda al comune per il via libera definitivo. «Il tutto per una durata media di 15 giorni», spiega Caciolli. Un sistema complesso che, però, spiegava il comune a Domani qualche settimana fa, è solo un normale appalto che non crea «doppie procedure».

Colpa dei vasi

Il problema non è solo la procedura, ma anche la mancanza di impianti. «Le cremazioni sono infatti in crescita costante e il comune non è riuscito a trovare un vero rimedio», racconta Natale di Cola, segretario della Cgil del Lazio. Per far fronte a questo aumento, nel 2017, la giunta comunale ha approvato una memoria in cui prevedeva di ampliare a dieci i sei impianti crematori attualmente in funzione nel cimitero Flaminio e un nuovo tempio crematorio nel cimitero Laurentino. Ma i risultati ancora non si vedono.

Il comune dice di avere già predisposto una determina dirigenziale con la quale si impegnano i fondi per la progettazione di tre nuove linee del forno crematorio che si trova all’interno del cimitero Flaminio. Per quanto riguarda, invece, il cimitero Laurentino, qualche settimana fa il comune ha fatto sapere che si era deciso in passato di fare un nuovo forno crematorio, ma l’idea è stata abbandonata perché non si è trovato lo spazio necessario: nel terreno libero del Laurentino, infatti, è stata rinvenuta una vasca in tufo di epoca romana e la Soprintendenza ai Beni culturali ha vincolato due ettari. Ecco, quindi, che in preda all’emergenza Covid-19, Ama ha dovuto noleggiare a gennaio dieci container refrigerati dove mettere le salme “in eccedenza”.

Una scelta emergenziale che non ha risolto i problemi alla base visto che, nel frattempo, tra vasche di tufo e container refrigerati, i tempi di cremazione si sono allungati «fino a oltre un mese» racconta Caciolli mentre, denuncia Di Cola, le salme in attesa di cremazione sono diventate 1500.

L’intervento della procura

Di fronte a questa situazione spiega Caciolli, «abbiamo anche provato a spostare le nostre operazioni in altre città». Ma anche questo non è così semplice. Fino al 30 dicembre, Roma ha fatto pagare, anche qui unico comune in Italia, una tassa di 253 euro per coloro che scelgono un altro comune per la cremazione. Se questa imposta è stata eliminata non si hanno invece notizie di una rimozione della tassa da 177 euro valida per tutti i defunti che vengono trasportati fuori dal comune. “Imprigionate” nei cimiteri capitolini le salme hanno iniziato a decomporsi in una situazione precaria dal punto di vista igienico visto che non possono essere trattate secondo le normali procedure anti Covid e per porre fine a uno scempio indegno commesso dalla burocrazia, è dovuta intervenire la magistratura.

La procura di Roma, con il pubblico ministero Antonella Nespola, non ha solo disposto il sequestro dei depositi, ma ha avviato un'indagine condotta dai carabinieri della compagnia di Roma Cassia, supportati dai reparti specializzati, che ha portato al sequestro di un'area adibita a discarica abusiva, e a una verifica sugli scarichi delle cremazioni.

Contatta da Domani, Ama fa sapere di già avere allestito una nuova sala adeguatamente attrezzata per il deposito delle urne per continuare l’operatività dell’impianto.  Inoltre, l’azienda  «ha potenziato e incrementato al massimo possibile la produttività dell’impianto, garantendo l’operativa al cento per cento anche della sesta linea esistente del forno crematorio e portando i 1.315 posti per salme/resti mortali precedentemente disponibili nella camera mortuaria del Flaminio-Prima Porta a oltre 2.160 posti (+65 per cento)». Infine, nell’ambito del nuovo “Piano assunzioni”, approvato dalla Giunta di Roma Capitale lo scorso 24 luglio, è già in atto l’iter di selezione per la figura di venti operatori cimiteriali.

© Riproduzione riservata