È facile da immaginare come sarebbe andata a finire questa vicenda trent’anni prima, oppure oggi, ma in un universo parallelo senza i social. Talento del calcio venuto dalla miseria perde la testa per il successo e i soldi, brucia tutto e finisce male. Già visto, stop, passiamo oltre.

Questa invece è una storia del nostro tempo. Adriano Leite Ribeiro, il brasiliano già centravanti dell’Inter e della Seleção, ha avuto due grandi fortune nella vita o, come direbbe lui, con le dita puntate al cielo, due attenzioni speciali da parte del Padreterno.

La dote principale, lo straordinario talento con i piedi, l’ha usata male e per troppo poco tempo. L’altra invece è la grazia massima della nostra epoca, essere in linea con i desideri e i sogni del popolo del telefonino, che ormai equivale all’umanità intera.

Hai un bel sorriso, sei simpatico, appari sincero, hai una storiaccia dalla quale sei (o sembri) venuto fuori, un po’ ti perseguitano, sei arrivato ma guardi sempre avanti, ti diverti. Risultato, hai sette milioni e mezzo di follower di Instagram senza alcun motivo apparente. Piovono contratti e proposte, la vita torna a sorridere.

E così dopo aver dato voce a «eserciti di imbecilli» (Umberto Eco, 2015) e selezionato esemplari di «famosi per essere famosi», ecco un caso più raro di partogenesi delle reti, e per questo intrigante: il perdente di successo. Ovvero Adriano l’Imperatore. In Brasile semplicemente O Imperador, addirittura un gradino nobiliare sopra Pelé, che era O Rei.

Il padre

Adriano ha praticamente fatto fuori la sua carriera nel 2004, quando un forte trauma personale, l’improvvisa morte del padre per un infarto, fece crollare il calciatore nella depressione e nell’alcol. Era all’Inter, aveva soltanto 22 anni.

Grazie all’infinita pazienza e generosità dell’allora presidente Massimo Moratti, gli anni successivi a Milano gli garantirono altri ricchi stipendi e gloria a intermittenza, ma sul fisico imponente del ragazzo arrivato dalla favela di Vila Cruzeiro, a Rio de Janeiro, è rimasto attaccato da allora un marchio: quello dell’ex futuro miglior giocatore del mondo.

Ne sono convinti ancora in tanti, qui in Brasile: dopo la generazione di Ronaldo e Ronaldinho, l’unico attaccante di classe assoluta è stato Adriano. O meglio, avrebbe dovuto essere Adriano. Non per nulla, dice sempre la teoria, il Brasile non vince un titolo mondiale dal 2002.

O Imperador era il predestinato a vestire la maglia numero 9 per almeno tre, forse quattro Mondiali. E invece no. Birra a fiumi, ragazze, baldorie e casini assortiti hanno segnato il decennio successivo. Come in attesa dello schianto finale. Poi qualcosa è successo, sono arrivati gli smartphone, i selfie, Instagram e la possibilità di ribaltare, a suo dire, la verità ufficiale. Parlando direttamente ao povo, al suo popolo.

Gli odiati giornalisti

Come tutti i personaggi del genere, Adriano odia i giornalisti. In particolare il nostro odia i giornalisti italiani, a suo parere i più crudeli, perché nel paese che l’ha reso ricco «circolano solo menzogne su di me»: drogato, puttaniere, amico di trafficanti.

Non ha del tutto torto, tanto che quasi tutti da noi pensano che Adriano sia finito malissimo, e non è vero. Il perdente di successo invece è un populista doc, non vuole intermediazioni tra sé e la gente, solo la gente lo capisce. «Io volevo solo l’allegria del mio popolo», disse in lacrime davanti alle telecamere David Luiz, sciagurato difensore del 7 a 1 in casa contro la Germania, semifinale del Mondiale 2014. Da allora un meme Internet per l’eternità.

«Ecco, la differenza è che Adriano non produce meme, lui stesso lo è». L’ottima definizione ce la manda per audio una studentessa brasiliana che vive a New York, Ana Karoline Sales. Andava all’asilo quando Adriano giocava a pallone, non ne ricorda un solo gol, ma il suo like alle foto dell’idolo è puntuale.

«È tornato al successo perché è un personaggio di un certo immaginario collettivo brasiliano: si spara i soldi, non fa niente tutto il giorno, cambia fidanzata ogni mese, ma allo stesso è romantico, ha momenti di tristezza assoluta, piange, ama la nonna. Rappresenta la semplicità dei nostri piaceri massimi, senza fronzoli: amore, amici, samba e una birretta sempre molto gelata».

Qualcuno si domanderà a questo punto cosa pubblica Adriano sul suo profilo Instagram. Niente di che è la risposta, basta controllare su @adrianoimperador. Ma riassumendo: ci sono i selfie sul divano (ora mi guardo un bel film), quelli con i figli (ne ha tre da tre donne diverse delle quali si sono perdute le tracce) o con decine di fratelli, cugini e zii che mantiene.

I suoi modi di dire nonsense che diventano contagiosi. Ci sono foto di piatti, la cucina italiana è sempre nel suo cuore, e dei pochissimi amici dei quali si fida. Tra cui Renata Battaglia, la geniale manager, prima ufficio stampa-muro per tenere alla larga i giornalisti, poi la prima a capire il potenziale dei social per ricostruire finanziariamente un caso praticamente disperato.

La fuga dall’Italia

Fino a tre anni fa la situazione di Adriano era piuttosto complicata. Negli anni dell'oblio aveva fatto esattamente tutto quello che aveva spiegato in lacrime a Moratti abbandonando Milano, con la rinuncia a un ingaggio, dice lui, da sette milioni di euro all’anno «per tornare allegro nella mia città, nella favela dove sono nato, con i miei amici e familiari».

Nelle poche interviste concesse lo ha sempre ripetuto: ho preferito la felicità al successo e alla carriera, non me ne sono pentito, ho pagato un prezzo alto per tornare alla mia essenza. All’origine di tutto il trauma della morte del padre e la solitudine con saudade a Milano (in realtà l’Inter gli gestiva vagonate di parenti in visita, Moratti aveva addirittura noleggiato un pullman).

Comunque sia il ritorno a Rio era da precipizio, la carriera finita, con la sola eccezione di sei mesi nel 2009, quando aiutò il Flamengo, la sua squadra del cuore, a vincere il campionato brasiliano.

Potrà prendersela con la stampa, ma è stato lui a farsi fotografare con i suoi amici narcos della favela e un kalashnikov in mano, a sbattere con la macchina nelle notti carioca, a ferire per sbaglio un’amica con la pistola e tanti altri pasticci evitabili, più i naturali bagordi con feste infinite e carissime, nelle quali non era sufficiente perquisire gli invitati e sequestrare i telefonini con i gorilla della reception per non finire sui giornali.

Poi all’improvviso la noiosa pace domestica di Instagram, tutt’al più ogni settimana un compleanno di un parente. Unica turbolenza le fidanzate a raffica, con le foto sovieticamente cancellate quando cadono in disgrazia, e delle quali il più delle volte è stato vittima.

Essere “ex di Adriano” è tuttora una professione sui social, di un buon grappolo di bionde “studentesse” e “modelle”, tutte con qualche centinaio di migliaia di followers ottenuti come buonuscita dalla relazione, da monetizzare.

E come avevano previsto i più saggi nel suo circolo (tutte donne ovviamente: la mamma, la nonna e la sua manager) smettendo di fare casino in giro i risultati sarebbero arrivati. Dove per risultati si intende una cosa sola, il denaro.

Quello necessario a mantenere una tribù di parenti e madri di figli, tra un tenore di vita tuttora elevato, dopo aver venduto case, barche e altro che non sappiamo.

L’intuizione dello sponsor

La prima a capire il potenziale dell’ex maledetto diventato meme positivo è stata la Adidas. Un buon contratto da ambasciatore della marca in Brasile, rinnovato ogni due anni. La casa sponsorizza il Flamengo, la squadra con più tifosi al mondo, i quali non dimenticano lo scudetto vinto con O Imperador.

Non se ne conosce il valore, ma è facile immaginare che sia zeppo di clausole. Se sgarri si chiude. Va bene tutto, ma Adriano non è il suo concittadino Ronaldo, seduto su un patrimonio di centinaia di milioni di euro, il quale è stato il primo calciatore della storia ad avere un contratto vitalizio (Nike), inattaccabile.

Anche Ronaldo ne ha combinate fuori dai campi, basta fare un giro su Google inserendo la parola trans o sinonimi, ma siamo su un altro livello. Poi c’è una nuova società di scommesse sportive, la Betpix365, che ha scelto Adriano come uomo immagine. Qualcosa è arrivato anche da Amazon e Dazn, per spot tv.

Infine, ed era inevitabile, i diritti per la storia della sua vita. La Viacom ha già girato un documentario in tre episodi, che dovrebbe uscire a febbraio del prossimo anno sulla piattaforma Paramount, e ha in mente una fiction.

Materiale ce n’è, ma Adriano che in tutto questo non ha nemmeno 40 anni deve fare in fretta per garantirsi i prossimi, e farsi venire in mente qualcos’altro da fare da grande. Come ti innalza al cielo, la rete ti distrugge in un attimo. In entrambi i casi senza motivo.

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