Dopo giornate focalizzate sui nomi per la presidenza della Repubblica, l’attenzione si sposta sulle modalità con cui il capo dello stato interpreterà il proprio ruolo nel corso del secondo mandato. Le parole di Sergio Mattarella subito dopo l’esito delle elezioni davano già una chiara indicazione, con l’espresso riferimento alla «grave emergenza» in corso «sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale». In occasione del secondo giuramento, il capo dello stato ha esplicitato le urgenze del paese, parlando di «un’Italia che offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro […] che sappia superare il declino demografico, che sia «consapevole della responsabilità nei confronti delle future generazioni»; di «marginalità femminile»; di morti sul lavoro; di dignità e di molto altro. Secondo qualcuno il presidente ha tracciato un “programma” di lavoro, delineando gli obiettivi da perseguire. Ma il capo dello stato può incidere su temi di competenza di governo e parlamento, dettando una “agenda”?

I poteri costituzionali

Indicazioni circa le modalità di azione del presidente della Repubblica, nell’ambito dei poteri che gli sono conferiti dalla Costituzione, possono rinvenirsi in una sentenza della Corte costituzionale del 2013 (n. 1). Il presidente «è stato collocato dalla Costituzione al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche». Tuttavia, egli dispone di «competenze che incidono su ognuno dei citati poteri, allo scopo di salvaguardare, ad un tempo, sia la loro separazione che il loro equilibrio».

Il presidente non ha il potere di adottare decisioni nel merito di specifiche materie,  tanto meno può dettare “agende”, ma dispone comunque di «strumenti per indurre gli altri poteri costituzionali a svolgere correttamente le proprie funzioni, da cui devono scaturire le relative decisioni di merito». Pertanto, il capo dello stato può «indirizzare gli appropriati impulsi ai titolari degli organi che devono assumere decisioni di merito, senza mai sostituirsi a questi, ma avviando e assecondando il loro funzionamento».

Per svolgere tale ruolo, «il presidente deve tessere costantemente una rete di raccordi allo scopo di armonizzare eventuali posizioni in conflitto ed asprezze polemiche, indicare ai vari titolari di organi costituzionali i principi in base ai quali possono e devono essere ricercate soluzioni il più possibile condivise dei diversi problemi che via via si pongono».

Per fare ciò, è necessario che «il presidente affianchi continuamente ai propri poteri formali, che si estrinsecano nell’emanazione di atti determinati e puntuali, espressamente previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che è stato definito il “potere di persuasione”, essenzialmente composto di attività informali, che possono precedere o seguire l’adozione, da parte propria o di altri organi costituzionali, di specifici provvedimenti, sia per valutare, in via preventiva, la loro opportunità istituzionale, sia per saggiarne, in via successiva, l’impatto sul sistema delle relazioni tra i poteri dello Stato. Le attività informali sono pertanto inestricabilmente connesse a quelle formali».

Il ruolo del presidente

Filippo Monteforte/Pool photo via AP

Nella prospettiva tracciata dalla sentenza della Consulta, appare palese che la funzione del capo dello stato è tutt’altro che puramente formale e quasi notarile, specie in un momento di debolezza di altre istituzioni - con la crisi di legittimazione dei partiti e della classe politica nei riguardi della comunità sociale - secondo la nota teoria dei “poteri a fisarmonica”, affermata dall’attuale presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato.

In altre parole, i poteri della presidenza «possono esercitarsi in maniera flessibile ed elastica» e vanno valutati «in collegamento con poteri e compiti del parlamento e dei partiti» (Gianfranco Pasquino). Dunque, al di là del ruolo di garanzia, il capo dello stato oggi rappresenta un punto di riferimento sia dell’esecutivo che della maggioranza parlamentare, nonché dei cittadini.

Il suo potere di esternazione è diventato anche un canale di comunicazione con questi ultimi, dato che nell’esercizio di tale potere egli mette in rilievo le loro istanze. Ciò ha assunto una particolare importanza in concomitanza dell’incapacità dei partiti di saper rispondere alle esigenze provenienti dalla società.

Dunque, i poteri di impulso, di persuasione e di moderazione del capo dello stato lo rendono un attore importante della vita del paese. Ma il presidente non è “parte” delle decisioni politiche, né delle relative dinamiche.

L’indirizzo politico

Foto Angelo Carconi/Pool Ansa/LaPresse03-02-2022 Roma - ItaliaPoliticaIl rieletto presidente della Repubblica Sergio Mattarella arriva al palazzo del QuirinaleNella foto: Sergio MattarellaPhoto Angelo Carconi/Pool Ansa/LaPresse03-02-2022 Rome - ItalyPoliticsRe-elected President of the Republic Sergio Mattarella receives the military honor upon his arrival at the Quirinale palace during the inauguration ceremony following his swearing-in at the Lower House of parliament, in Rome, Italy, 03 February 2022.

Sembra una forzatura voler far assurgere le parole di Mattarella a programma politico. Il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale al di sopra di qualunque parte, quindi di ogni “partito”, e delle contingenze “politiche” del paese.

Egli «non esercita funzioni di governo in senso proprio ed è estraneo al circuito della rappresentanza (e della connessa responsabilità) politica» (Alessandro Morelli), come peraltro affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 200 del 2006.

Dunque, nonostante una controversa dottrina costituzionale gli abbia riconosciuto il compito di concorrere alla salvaguardia dell'indirizzo politico-costituzionale, controllando l'indirizzo politico di maggioranza che compete a camere e governo (Paolo Barile), il suo ruolo è più chiaramente definito nella relazione al progetto della Costituzione.

Il presidente «rappresenta e impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato, al di sopra delle fuggevoli maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica». Questo ruolo può risentire del contesto politico-istituzionale in cui viene esercitato, oltre che della specifica personalità del presidente pro tempore, ma di certo non è tale da renderlo attore politico.

Parimenti, appare una forzatura voler vincolare il parlamento all’attuazione del “programma” tracciato dal capo dello stato. Nel suo discorso di insediamento, quest’ultimo ha richiamato l’attenzione delle istituzioni preposte e dello stesso dibattito pubblico sui temi nazionali più rilevanti, perseguendo il fine di “unificazione” del Paese che il sistema costituzionale attribuisce alla figura presidenziale.

In occasione del giuramento Mattarella ha richiamato il «bisogno di costante inveramento della democrazia». E, come ha scritto su queste pagine Nadia Urbinati, «inverare la democrazia significa mettere al centro il parlamento». Dopo l’anomalia della rielezione, quel parlamento incapace pure di trovare un accordo sul nome del capo dello stato - tanto da doversi rivolgere a quello precedente - esca dall’immobilismo in cui versa da troppi anni ed elabori un proprio elenco di priorità sulle quali intervenire, con piena assunzione di responsabilità, senza la necessità di ricorrere al rassicurante mantello del presidente.

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