Aggiornamento 6 marzo: «Sono soddisfatto per aver aiutato Benzid e affermato il principio della prevalenza della tutela dello stato di salute fisico e mentale della persona rispetto ad ogni eventuale diritto antagonista», dice a  Domani l’avvocato Pasqualino Gaetano. Il 6 marzo Benzid ha lasciato il Cpr di Milo, a Trapani. Lo hanno deciso sia la corte d’appello di Palermo sia il giudice di pace di Trapani.


Un nuovo caso Sylla. È questo il timore che ha per Benzid il suo avvocato, Gaetano Pasqualino, già difensore del fratello di Ousmane Sylla, il ragazzo guineano che si è tolto la vita un anno fa nel centro per i rimpatri di Ponte Galeria, alle porte di Roma.

Benzid - il nome è di fantasia - viene dalla Tunisia ed è ancora più giovane di Ousmane: non ha neppure 19 anni e già ha tentato molte volte di farsi del male e togliersi la vita. Arriva in Italia subito dopo Natale, nel 2023, ancora minorenne. Viene sistemato in una struttura per minori non accompagnati a Castelvetrano, ma dopo un po’ si allontana. Secondo il suo avvocato, anche per «assenza di adeguata assistenza legale»: agli atti non risulta che sia mai stata avanzata istanza di permesso di soggiorno per minore età, cui pure il ragazzo aveva diritto ancor più in qualità di minorenne in viaggio da solo, senza famiglia.

«Disorientato e depresso», Benzid fa perdere le sue tracce per essere poi trovato dalle forze dell’ordine durante una di quelle operazioni che qui appaiono come veri e propri «rastrellamenti». Lavora in nero nei campi siciliani e nel frattempo ha compiuto 18 anni. L’età «giusta» per essere portato nel Cpr di Trapani-Milo: è senza documenti ed è pure tunisino – paese con cui l’Italia ha accordi per i rimpatri.

L’allarme dello psicologo

Benzid è rinchiuso da novembre. Dopo neanche un mese è lo psicologo del Cpr a decretare il «deterioramento» delle sue condizioni fisiche e psicologiche. «Inizia ad assumere una condotta autolesiva ingerendo più volte dello shampoo», si legge in una relazione di gennaio. È «confuso e disorientato», parla continuamente, quasi senza respirare, dicendo cose apparentemente senza senso. Non sembra ascoltare. È agitato e non riesce a dormire «nonostante la terapia medica assunta».

«Data la sua giovane età e la fragilità che lo caratterizza, ritengo che il soggetto non disponga delle risorse e della forza emotiva per reggere situazioni stressogene e al contesto di reclusione presso il Cpr di Milo». 

Qui non può stare, insomma, dice lo psicologo del centro. Qui il rischio che si ammazzi c’è, ed è molto alto. Il centro per i rimpatri di Trapani «è un non luogo, uno spazio angusto e inumano», denuncia la deputata siciliana del Partito Democratico Giovanna Iacono. A gennaio 2024 è stato chiuso per i danni provocati da un incendio appiccato durante una rivolta, per poi aprire a ottobre. «Se il sistema della detenzione amministrativa è già di per sé orrore, a Milo questo orrore appare in tutta la sua drammaticità», dice ancora Iacono.

È «idoneo» Benzid a stare lì dentro? Un posto che, come tutti i Cpr, viene descritto come «peggiore del carcere», dove si entra non perché si è commesso un reato ma perché non si hanno i documenti giusti. L’unica idoneità contemplata - qui come in altri Cpr - è sancita da un foglio che attesta che il giovane non ha malattie infettive: niente Covid-19, insomma, dunque può essere rinchiuso qui fino al rimpatrio, e comunque fino a un massimo di un anno e mezzo. L’idoneità psicologica non entra in gioco.

Il colloquio

È la Corte di Appello di Palermo, in seguito all’istanza di revoca della misura del trattenimento, a chiedere al Centro di Salute Mentale dell’Asp di Trapani di verificare le condizioni psichiche del neomaggiorenne. Detto, fatto: con un «brevissimo colloquio video» il medico attesta «l’assenza di una patologia psichiatrica». Per ora. Certo, dice il medico che televisita, a questo ragazzo andrebbe trovata una collocazione più idonea per «limitare il disagio».

E il ragazzo resta dentro, mentre all’autolesionismo si aggiunge la violenza altrui: a inizio gennaio finisce al Pronto Soccorso a Trapani per un trauma cranico per aggressioni subite. Una settimana dopo ci ritorna per aver ingoiato viti e bulloni.

Non dorme, ha paura di vedere altri trattenuti «fare la corda», fare del male a se stessi o aggredire lui. Si fa la pipì addosso. «Ha più volte manifestato intenti suicidari e attualmente risulta fortemente debilitato e risultano evidenti sul suo corpo gli esiti degli atti di autolesionismo», spiega l’avvocato Pasqualino. «L’applicazione della misura del trattenimento presso il Cpr, del quale si chiede la revoca o la modifica, si palesa incompatibile con l’attuale stato di salute», scrive il legale nell’ennesima richiesta di liberazione del ragazzo: la nuova decisione è prevista per il 6 marzo.

I precedenti

Facendo i nomi di chi, prima di Benzid, è “morto di Cpr”. A cominciare da Moussa Balde, un ragazzo di 23 anni che, dopo essere stato vittima di un pestaggio a Ventimiglia da parte di persone italiane, è finito al Cpr di Torino perché trovato senza documenti e qui si è impiccato. O Abdel Latif, tunisino anche lui, di 26 anni: è morto nel reparto psichiatrico dell'ospedale San Camillo di Roma, portato lì dal Cpr di Ponte Galeria.

E poi Ousmane Sylla: anche lui era passato dal Cpr di Trapani. In un altro Cpr, ancora Ponte Galeria, ha poi deciso di impiccarsi poco più di un anno fa. Nessuno di loro era pazzo, secondo le carte e probabilmente neanche nella realtà, scrive Gaetano Pasqualino.

Nessuno aveva «patologia psichica strictu sensu», come scrive la Asp di Trapani per Benzid. «In tutti i casi sopra citati, i migranti detenuti presso il Cpr non mostravano in maniera evidente segni di una patologia psichica strictu sensu, tuttavia la permanenza nel Cpr ha determinato in loro il desiderio di fuggire nell’unico modo possibile». Togliendosi la vita.


 

© Riproduzione riservata