Che cos’è una famiglia se non un gruppo di persone che si raccoglie intorno a un tavolo e mangia insieme? E quante sono le nostalgie che attingono al ricordo di un piatto di pasta, di un brodo fumante, di un dolce come premio? Sono domande a cui risponde il materiale raccolto e digitalizzato dalla Fondazione Home Movies-Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna: oltre 500 pellicole amatoriali e private degli italiani girate tra gli anni Venti e gli anni Ottanta del secolo scorso.

Dalle ritualità sociali alle tavole imbandite, dalla campagna all’industria passando per la grande trasformazione della filiera agroalimentare, il cibo è il protagonista delle memorie in pellicola degli italiani, che si riprendono mentre lo preparano, lo gustano, lo condividono. Ma queste immagini rivelano in maniera eclatante anche qualcos’altro: il lavoro delle donne, storicamente invisibilizzato. Dietro ogni pranzo di famiglia ci sono ore di preparazione, mani che impastano, pentole sul fuoco, gesti tramandati di generazione in generazione seguendo una genealogia solo femminile. Un lavoro di cura totalizzante eppure raramente riconosciuto.

Ritorno dalla campagna

Siamo nel 1961, a Villamagna, un paese che oggi conta 251 abitanti e allora chissà. Vediamo una lunga tavolata all’aperto, fuori da una cascina. Donne avvolte in vestitini a fiori si avvicendano indaffarate per imbandire la tavola, trasportano bollenti pentoloni ricolmi di brodo, schivando i bambini che con la loro bassa statura giocano e scorrazzano intorno al tavolo. Gli uomini prendono posto e avvicinano la testa al piatto, il cucchiaio che raggiunge la bocca in un gesto simultaneo, un esercito di affamati dal lavoro agricolo finalmente si rifocilla.

Facciamo un salto di 12 anni: è il 1973 e Lucio Battisti pubblica l’album Il nostro caro angelo. C’è una canzone poco conosciuta, si intitola La canzone della terra e fa così: «Al ritorno dalla campagna/ Al ritorno dalla campagna/ Prima cosa voglio trovare/ Il piatto pronto da mangiare/ E il bicchiere dove bere».

È il grido di un uomo che torna stanco dal lavoro agricolo, ha fame, pretende di essere servito, di essere riverito, di essere ascoltato. A farlo sarà una donna, in eterna attesa di questo ritorno maschile dalla campagna, che vuol dire lavoro, vuol dire potere, vuol dire comando.

Questo rapporto tra genere maschile e genere femminile non cessa di dettare una gerarchia anche nei momenti di ozio. Preparativi in attesa del pranzo è un altro dei filmati raccolti nell’archivio di Memoryscapes e risale al 1964. Ritrae un gruppo di donne in un giardino che si stringe attorno a un tavolo per cucinare, versando olio e sale in una pentola e collaborando con gesti affiatati.

Gli uomini, nel frattempo, attendono giocando a carte. Si distinguono due gruppi sociali che equivalgono anche a due differenti universi, due modi di stare al mondo, di muoversi, di pensarsi: c’è il gruppo degli uomini e c’è quello che è composto da donne e bambini. Le prime si prendono cura dei secondi, che sono tenuti a non disturbare i padri, non importa che tornino dal lavoro o giochino a carte nell’ozio placido della domenica: il loro universo è distante, altro, spesso inaccessibile ai codici del gioco o della richiesta, che invece si fa sollecita con le madri.

Madri che imboccano i bambini in un filmato del 1970, dal titolo Picnic nel bosco. Salsicce alla brace e spaghetti al sugo. Qui sono gli uomini a cucinare, avvolti dal fumo che emana il braciere. Così come maschile è l’atto del cucinare nel 1955, in un filmato che ritrae un gruppo di uomini vicino a un ruscello nei pressi di Monzuno, Bologna.

Le riprese documentano le attività lungo il corso d’acqua, dove i partecipanti pescano, puliscono, infarinano e friggono il pesce appena catturato. Ma il cucinare degli uomini è legato a una dimensione ludica e selvaggia, un’arte ben distinta dai fornelli della cucina quotidiana, quella che serve a sfamare la famiglia, che impiega intere mattinate tra acquisti in bottega, al mercato, preparazioni, pulizia.

“Rassettare” è un verbo tutto femminile perché femminile è stato storicamente il compito del mettere in ordine, dello scuotere la tovaglia fuori dal balcone per liberarla dalle briciole, del riporre i piatti nella credenza dopo averli meticolosamente lavati e asciugati, del passare lo straccio sulle superfici per poi ricominciare la danza all’ora di cena. Un compito o un’arte? In un filmato del 1940 un signore di nome Enrico filma la moglie Clara in cucina mentre frigge le alici. La sequenza è introdotta dal cartello «l’arte di saper cucinare» riferito a Clara, seguito da «l’arte di saper apprezzare» riferito a Enrico, che appare felice al limite del riso mentre gusta il cibo preparato dalla moglie.

Le donne nella ristorazione

Ma la selezione dell’archivio non raccoglie solo la dimensione domestica o quella dei giorni dedicati alle scampagnate. Si trovano anche testimonianze filmiche del lavoro femminile nella ristorazione. Nel 1971, all’Hotel Europa di Cesenatico, le cameriere allestiscono i tavoli sotto le direttive della cuoca. La voce fuori campo del videoamatore commenta con umorismo la scena.

Ma torniamo ancora indietro, saltellando sulla linea del tempo – è questo il bello degli archivi, fare aventi e indietro, spaziare tra le epoche. Siamo nel 1959, sulla soglia del boom economico, il momento storico più spensierato e fiducioso della storia recente, quando gli italiani scoprivano la villeggiatura e credevano che il benessere avrebbe seguito una parabola ascendente inarrestabile.

Una bobina a colori mostra la facciata e la scalinata dell’American Hotel di Bellaria. Poi lo sguardo sbricia nella cucina dell’albergo, documentando l’attività frenetica del ristorante. Uno sciame di donne ai fornelli con il grembiule allacciato alla vita vengono riprese mentre preparano le pietanze da servire agli ospiti.

Ma le donne non sono nuove al lavoro salariato che riguarda il cibo. Un filmato del 1947 ritrae 400 operaie impiegate dagli stabilimenti Colombani nella produzione di pere Williams sciroppate. Un’attività da catena di montaggio fordista razionalmente ordinata. Come quella ritratta in un altro filmato, che documenta il lavoro di donne intente a selezionare manualmente le ciliegie per assicurare la qualità del prodotto. Campi medi ritraggono le operaie mentre scaricano secchi pieni di ciliegie all’interno di un macchinario che effettua una selezione preliminare dei frutti.

Quante di loro, dopo un’intera giornata di lavoro in capannoni rumorosi a compiere gesti ripetitivi e fisicamente estenuanti, torneranno a casa a cucinare per la famiglia? Ce lo si chiede dopo un’immersione in questo sconfinato e prezioso archivio, che recuperando le memorie filmiche degli italiani permette di ragionare sui cambiamenti sociali, politici e culturali che il nostro paese ha attraversato nel corso del Novecento, secolo di grandi rivoluzioni.

Tuffo nelle memorie

«Attraverso questi filmati, Memoryscapes–Cibo invita a riflettere su quanto sia realmente cambiata la percezione del lavoro domestico e della divisione dei ruoli di genere. Se da un lato le donne hanno ottenuto maggiori spazi nella società, dall’altro il peso della cura e della gestione familiare continua a ricadere in modo sproporzionato su di loro, in una persistenza di schemi che, seppur mutati, restano ancora radicati» commenta Agnese Garbari, curatrice della selezione video e redattrice dei testi a corredo.

Non resta quindi che accogliere l’invito di Garbari e tuffarsi in queste memorie. E da lì, dare credito, anche se retroattivo, a tutto il lavoro di cura svolto da milioni e milioni di donne nei secoli dei secoli, e ricordare che la dura lotta per la parità passa anche dalla condivisione dello sforzo compiuto per cucinare e servire un pasto.

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