È come se li avessi visti tutti insieme là fuori quel pomeriggio d’estate, famelici, assetati di vendetta, pronti ad avventarsi sulle prede. Un branco. C’erano i giudici che non conoscono giustizia, c’erano gli ossequiatissimi capibastone dello sport mondiale, i mercenari, gli astiosi telecronisti di regime, gli avvocaticchi, gli ignavi, c’erano anche i miserabili personaggi del sottosuolo che immancabilmente affiorano ogni qualvolta sentono l’odore del sangue o dei soldi. Il branco in agguato, il branco che attacca per sopravvivere.

Loro due erano dentro, immobili nella stanza di un piccolo appartamento nel bellissimo paese fra le montagne che noi italiani chiamiamo Vipiteno e gli austriaci Sterzing. Alla fine di un’altra lunga giornata di tanto in tanto Sandro Donati accennava a uno sconosciuto – almeno per me –  "tribunale di Losanna" e sùbito dopo parlava di «un ricorso a Roma». Davanti a lui, Alex Schwazer era stremato. La mattina li avevo osservati lungo gli argini dell’Isarco gonfio di pioggia per un temporale, uno marciava inseguendo sé stesso e l’altro lo rincorreva in bicicletta con il cronometro in mano. Mancava meno di un mese alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. In gioco non c’era soltanto l’oro, c’era molto di più. C’era da difendere un’esistenza vissuta pericolosamente, tutta controvento.

Atletica e mafia

È uscito il libro I signori del doping, scritto da Sandro Donati ed edito da Rizzoli. Lo aspetto da quel giorno di luglio del 2016, quando sono scivolato su qualcosa che per mestiere a me era decisamente estranea e insieme molto familiare, l’atletica e la mafia, i diari di allenamento e le rappresaglie, i test ematici e i ricatti, la misurazione dei battiti cardiaci e l’inganno. E poi le provette, quelle maledette provette che da Calice di Racines avevano sconfinato attraverso tortuosissimi percorsi prima in Austria e poi in Germania.

Quanto pazienza ha avuto Sandro a spiegarmi cos’è la “catena di custodia” di una fiala, cosa può succedere fra gli alambicchi di un laboratorio di analisi, cosa prevedono i rigidi protocolli ai quali deve scrupolosamente attenersi un ispettore dell’agenzia antidoping. E certi nomi che non mi volevano entrare in testa, che non riuscivo mai a ricordare. Conservo ancora un piccolo taccuino che tiravo fuori all’occorrenza: «Lamine Diack, senegalese, presidente della Federazione Internazionale di Atletica, ultraottantenne e sotto indagine per corruzione.. uno dei suoi quindici figli si chiama Papa Massata e anche lui è sotto indagine.. Gabriel Dollé, ex capo antidoping, gli hanno trovato a casa cinquantamila euro nascosti nella lavatrice..». Il resto però l’avevo capito. Era una trama di mafia, qualche puparo che tirava i fili e tanti pupi che si muovevano a comando.

Alex e Sandro

Sandro l’ho conosciuto a Roma, una sera dell’inverno precedente. Una cena a casa sua, eravamo in quattro. Dopo mezz’ora è arrivato anche Alex. Appena ha saputo che ero siciliano e che facevo il giornalista ha cominciato a farmi domande sull’«uomo con la barba bianca», Vincenzo Agostino, il padre di Nino, un poliziotto ucciso nel 1989. Era come stregato da quel “monumento al dolore” di Palermo, che non si rade più da quando gli hanno ammazzato il figlio sotto gli occhi. Poi, all’improvviso, Sandro rivela ad Alex che era stato lui, nel 2012, ad avere segnalato all’antidoping la sua “curiosa” presenza in Germania alla vigilia dei Giochi Olimpici di Londra. C’è stato un breve silenzio che a me è sembrato lunghissimo, abbiamo continuato a mangiare, la mattina successiva Alex era sulla pista del parco delle Valli a marciare come ogni giorno. Dopo qualche mese, una domenica, ricevo una telefonata da Sandro: «Ho paura per me e per la mia famiglia».
Così sono stato inghiottito dal vortice che mi ha trasportato lontano dalla mia Sicilia e vicino al maestro dello sport, Sandro Donati, e al marciatore altoatesino Alex Schwazer, all’apparenza una stravagante coppia, per il passato dell’uno e dell’altro, per quell’avventura che stavano intraprendendo fianco a fianco. Una sfida forse impossibile, una guerra che non si è mai combattuta ad armi pari. Tutti contro due. Tutti schierati contro Alex e Sandro, compresi quelli che non hanno mai colpe né peccati da confessare perché stanno pavidamente in mezzo, quelli che si sentono innocenti solo perché non sentono e non vedono e non parlano.

Sandro Donati (AP Photo/Paolo Santalucia)

Armati di provetta

Sugli argini dell’Isarco ho incrociato un ragazzo che mi avevano descritto come fragile, smarrito. Me ne sono trovato davanti un altro di ragazzo, che non voleva piegarsi all’abuso dei suoi aguzzini, che non voleva abbassare la testa. L’eccellente reputazione che accompagnava Sandro Donati, scienziato dell’allenamento, noto in tutto il mondo per le sue sensazionali e solitarie battaglie contro il doping, autore di libri di successo, non bastava a spiegare sino in fondo l’uomo che stavo imparando a conoscere.

Un italiano fuori posto nell’Italia delle convenienze e delle consorterie, dell’omertà, dell’illegalità praticata in nome della legalità. Nel libro Sandro scrive dell’incontro “fra due emarginati”, il campione caduto nel fango con il desiderio di riprendersi il suo onore e il grande allenatore isolato dal potere sportivo per le sue violente denunce. Il branco come avrebbe mai potuto tollerare questo legame dagli imprevedibili effetti? E come avrebbe mai potuto perdere quest’occasione? Farli fuori tutti e due in un colpo solo: con una provetta.

Patti inconfessabili

Il racconto è appassionato, il resoconto rigoroso. È una circostanziata cronaca dei fatti sostenuta da una  straordinaria documentazione che svela imposture e mosse fraudolente, trappole, che ci fa scoprire il volto più grottesco della giustizia sportiva. Un mondo popolato da maschere dove si confondono droghe e “quasi droghe”, sponsor e trucchi, tutto si compra e si vende, medaglie, ori, primati, tempi.

Un gigantesco suq camuffato da regole che non sono regole e governato da patti inconfessabili, cordate, combine, protezioni. Troppo pericoloso Alex Schwazer che avrebbe potuto vincere e vincere di più anche senza doping, troppo insopportabile che a riportarlo in alto fosse proprio Sandro Donati, troppo contagiosa quell’«idea» di sport per i boss dell’Atletica mondiale. Troppo tutto per stare inerti a guardare, meglio giustiziarli, mandarli al rogo quei due, il campione ritrovato e l’eretico di sempre.

(AP Photo/Othmar Seehauser, File)

Delitto imperfetto

Non ci sono mandanti a volto coperto e non ci sono moventi  misteriosi in questo “delitto imperfetto” che è stata la crocifissione di Alex Schwazer e l’estremo tentativo di insudiciare il suo allenatore Sandro Donati. È la giustizia sportiva che giudica (e capitolo dopo capitolo, vedrete come) ed è la giustizia sportiva che non si vuole fare giudicare, è la giustizia inviolabile e intoccabile che si dichiara "inorridita” da una sentenza della magistratura ordinaria. È la giustizia tragicomica che ha teso l’imboscata ad Alex Schwazer e a Sandro Donati.

Le prove taroccate, la macchina della diffamazione che si mette in moto per coprire il tranello, l’istruttoria “aggiustata”, le maleodoranti commistioni fra la Federazione internazionale di atletica e l’Agenzia antidoping, quel processo bugiardo in Brasile a Olimpiadi già cominciate. Ci sono i mandanti e gli esecutori del “delitto imperfetto” e poi ci sono gli altri. Gli infingardi, gli indifferenti.

Il testamento

Sandro Donati ci descrive la grande paura del ritorno di Alex che si scopre giorno dopo giorno più veloce di prima «senza l’epo o gli anabolizzanti, senza gli antiasmatici per un’asma che non aveva», ci svela i retroscena di quegli "inviti” a frenare il marciatore che arrivano alla vigilia della 50 chilometri alle Terme di Caracalla e della 20 chilometri di La Coruña, ci riporta le tabelle di allenamento per un sogno olimpico che resterà sogno.

C’è poi un libro nel libro, il rapporto fra i due. I sospetti reciproci e la curiosità, le diffidenze, gli sguardi indagatori sino a quando «cominciai a chiamarlo per nome e non più Schwazer». È saggio, è narrazione, è atto di accusa ma soprattutto è l’eredità preziosa che ci lascia uno dei grandi personaggi dello sport contemporaneo. La spaventosa storia di Alex Schwazer, il testamento di Sandro Donati.

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