Sono passati più di quarant’anni dalla Legge 194, ma lo stigma sociale legato all’aborto va ancora combattuto, e va fatto partendo dal linguaggio, provando a sradicare la visione colpevolizzante della donna.
Alice Merlo, attivista genovese di 27 anni, lo ha fatto mettendo in gioco il suo corpo e la sua voce, raccontando il suo aborto farmacologico con una narrazione rivoluzionaria, e utilizzando parole come “serenità”, “gratitudine”, “felicità”.
I nostri corpi sono politici, siamo noi a poterne e doverne scrivere la biografia. L’aborto farmacologico è una conquista, e come tutte le conquiste va difesa.
In Italia, entro i primi novanta giorni di gestazione, per motivi di salute (fisica o psichica), economici, sociali o familiari, una donna può richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Lo può fare dal 1978, da quando è entrata in vigore la Legge 194. Non può farlo per un’altra legge, quella del moralismo di chi si erge a giudice stabilendo che chi vuole abortire deve provare vergogna, perché sta commettendo un abominio e per questo verrà dannata (basti vedere le campagne Pro v



