Sapeva di poter osare e l’ha fatto. Nel giudizio tris sulle plusvalenze incrociate della Juventus tenuto presso la Corte federale d’appello della Federazione italiana gioco calcio (Figc), il procuratore Giuseppe Chiné aveva chiesto 11 punti di penalizzazione. Ne sono arrivati 10. Che sono meno dei 15 comminati lo scorso gennaio, ma anche uno in più rispetto a quanto richiesto allora dallo stesso procuratore. E poiché non capita spesso di vedere l’accusa sorpassata in severità dall’organo giudicante, ecco che il capo degli inquirenti federali ha trovato la soluzione afflittiva che è anche un punto di mediazione fra la misura giudicata eccessiva dal Collegio di garanzia Coni (che per questo ha rinviato il procedimento alla Corte Figc) e chi prefigurava un ripristino del -9.

Ma al di là del tourbillon di cifre, rimane il dato di una sanzione che punisce pesantemente un metodo di gestione dei conti e ribadisce che nel calcio italiano si apre un nuovo corso di maggiore inflessibilità in materia di rispetto delle regole contabili. Ciò significa anche una maggiore attenzione al rapporto tra gestione virtuosa e equilibrio competitivo.

Questo il dato, rispetto al quale bisogna fare alcune riflessioni di prospettiva a proposito di quanto l’ambiente del calcio italiano sia davvero pronto a recepire un tale principio di moralizzazione e rispetto delle regole. Con la precisazione che quando si parla di “ambiente del calcio italiano” si fa riferimento all’opinione pubblica, ma anche a una vasta parte della cosiddetta “critica” che in questa vicenda si è mostrata un po’ troppo “a-critica” nell’andare in soccorso della Juventus.

Giustizia sportiva

Il procedimento sportivo sulle plusvalenze è soltanto parte di un vasto conto aperto fra la Juventus e la giustizia sportiva. E senza fare riferimento all’altro, pesante conto aperto con la giustizia penale, sul quale sta lavorando la Procura della repubblica di Torino tramite l’inchiesta Prisma, bisogna non perdere di vista che al verdetto sulle plusvalenze dovrà aggiungersi quello sulla cosiddetta manovra stipendi, che ha portato a un nuovo deferimento per un procedimento che si aprirà il 4 giugno.

Senza dimenticare che ci sarebbero anche i filoni relativi ai rapporti con gli agenti e alle partnership con sei club (Atalanta, Bologna, Cagliari, Sampdoria, Sassuolo e Udinese) in materia di calciomercato e d’intreccio di valori finanziari. Vasto programma, che certamente porta a estendere verso la prossima stagione l’arco temporale dei procedimenti sportivi.

Rispetto a quest’ultimo punto ha sollevato qualche eccezione il ministro dello sport e dei giovani, Andrea Abodi, che pure in questi mesi non ha mostrato alcuna indulgenza verso la società bianconera. Abodi si è lamentato della pratica di svolgere i procedimenti sportivi (e di applicare le sanzioni conseguenti) a campionato in corso, ciò che comporta un elemento di turbativa per la regolarità dei campionati. Eccezione legittima in termini di scuola, ma con qualche tratto vintage perché rimanda a un’idea di giustizia sportiva che appartiene al secolo scorso.

Nel Secolo Breve c’era una stagionalità per tutto, compreso il vizietto dei tesserati per la scommessa (e per la frequentazione dei fruttaroli) o l’aggiustamento delle partite. Da allora intorno al calcio è cambiato il mondo. Si sono fluidificate le tempistiche dell’economia e della finanza, al pari di quella delle nostre vite.

Dunque bisogna aggiustarsi su tempi che non possono coincidere con la stagionalità sportiva. Tanto più in un caso complesso come quello in questione, nel quale i filoni si accavallano e già sbrogliarli è un lavoro a sé. Si dirà che è tutta una questione di regole. Ma proprio questo è il punto: cosa ne vogliamo fare delle regole, e fino a che punto vogliamo che nel calcio italiano salvaguardino la credibilità del gioco e del movimento?

Vedi alla voce brand

Le eccezioni del ministro giungono nel pieno di una discussione pubblica che vede mescolare punte d’isteria a argomentazioni tartufesche. Mai visti all’opera tanti avvocati del popolo (bianconero), ansiosi di esporre argomentazioni riguardo alla necessità di non usare la mano pensante nei confronti della Juventus. E passi per coloro che avvocati lo sono davvero, e perciò qualche apporto alla qualità del dibattito lo forniscono.

Ma purtroppo ci sono anche coloro che pongono la questione di una presunta ragion di stato pallonara, per dire che colpire duramente la Juventus sarebbe colpire l’intero calcio italiano e dunque andare contro il suo interesse. Un sillogismo al quale manca più di qualche elemento e che comunque pretenderebbe di spostare la questione dal piano normativo a quello politico. E se davvero si vuole una decisione politica, basta dirlo. Prendendosi però la responsabilità di affermare che nel calcio italiano esistono club più uguali di altri.

Se invece, con qualche sforzo, si vuol provare a prendere sul serio l’argomentazione allora bisogna chiedere come si faccia a stabilire questa coincidenza fra gli interessi della Juventus e quelli del calcio italiano. Il nostro movimento calcistico ha attraversato negli Anni Dieci il momento più acuto della propria crisi, edificando le condizioni per le due assenze consecutive dalle fasi finali dei mondiali.

Tutto ciò è avvenuto giusto nel decennio della massima gloria juventina, quello dei 9 scudetti consecutivi.

Chiuso quel ciclo bianconero abbiamo avuto tre vincitrici diverse dello scudetto nelle ultime tre stagioni. Inoltre, al termine della scorsa stagione una coppa europea è tornata in Italia grazie al trionfo della Roma in Conference League. E in questa stagione abbiamo una squadra in tutte e tre le finali di coppe europee. Tra queste non c’è la Juventus, che ha disdetto i percorsi di Champions e di Europa League (ma anche quelli di campionato e Coppa Italia) allo stesso modo in cui i suoi tifosi più accesi hanno disdetto gli abbonamenti alle pay tv.

E se a questi segnali non banali di riscossa aggiungiamo la grande prestazione della nazionale Under 20 contro il Brasile nella prima gara dei Mondiali che si disputano in Argentina, comprendiamo quanto avulso dalla realtà sia l’argomentare sull’obbligatoria coincidenza fra le fortune del calcio nazionale e quelle del calcio bianconero, quantomeno sul piano dei risultati sportivi.

Se poi la vogliamo proprio mettere sul piano della gestione economico-finanziaria, ci piacerebbe che qualcuno ci indicasse quale altro club d’Europa sia stato costretto a fare due aumenti di capitale (per complessivi 700 milioni di euro) in due anni allo scopo di raddrizzare una situazione catastrofica dei conti. E sempre che si trovi un altro esempio equiparabile, ci piacerebbe sapere se in quel caso il club abbia praticamente bruciato per il pagamento di agenti nell’arco di 8 anni una cifra (oltre 270 milioni di euro) che quasi pareggia il primo aumento di capitale da 300 milioni di euro.

Sarebbe bene che su questi dati riflettesse anche l’esimio presidente della Figc, Gabriele Gravina. Che in queste ore parla della necessità di salvaguardare il brand Juventus.

A noi parrebbe molto più opportuno salvaguardare il brand delle regole, che devono essere uguali per tutti. Questione di priorità. Ognuno ha le sue.

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