Come in ogni Wunderkammer che si rispetti, anche lì hanno quanto è servito per secoli a stupire clienti e popolani: un coccodrillo, la testa di un armadillo, uno zoccolo di alce, addirittura un frammento di mummia egizia. Meraviglie di Bressanone, in pieno centro a due passi dalla Torre bianca: lì, a fianco della storica farmacia della famiglia Peer, c’è un piccolo museo che in quattro locali espone apparecchi antichi, oscure ricette, medicinali d’epoca, volumi vecchi anche di secoli.

Un giorno forse vi troveranno posto flaconcini con le scritte Pfizer e Moderna: con quali commenti sulle targhette, nel caso, dipenderà anche dalla temperie No-vax di questi giorni. Che in Alto Adige è bella tosta. I numeri parlano chiaro: tra personale scolastico e sanitario, le percentuali di chi rifiuta il vaccino sono di gran lunga le più alte d’Italia. Mentre la mobilitazione attorno al rifiuto dell’obbligo del green pass si fa ogni giorno più organizzata.

La tradizione

Potrebbe venir facile rubricare il tutto alla voce antimodernismo tradizionalista, richiamando l’abusata figura di Andreas Hofer, l’eroe della piccola patria sudtirolese: l’oste della val Passiria che condusse contadini e montanari alla battaglia contro le truppe napoleoniche, nel nome di Dio. Quell’Hofer che incitava a sottrarsi alla vaccinazione contro il vaiolo varata dal governo bavarese (primo al mondo a imporlo), spronato nel rifiuto dal suo primo consigliere, il frate cappuccino Joachim Haspinger, per il quale gli uomini non avevano il diritto d’intromettersi nei piani divini ostacolando la nascita di nuovi angeli in cielo.

Sta qui, in una ottocentesca lotta al progresso, la radice del movimento No-vax sudtirolese dei giorni del Covid? Stanno qui, in una refrattarietà imbevuta di bigottismo, i germi di un qualcosa che potrebbe impensierire Arno Kompatscher, dal 2014 presidente della provincia autonoma?

Proprio Kompatscher, lo scorso maggio, non ebbe alcun timore nell’esternare via social la propria commozione per la morte di Franco Battiato, incurante delle possibili critiche dell’oltranzismo sudtirolese. Fu un passaggio con cui il Landeshauptmann segnava la propria forza e il proprio tempo: il suo predecessore Luis Durnwalder, per capirci, mai si sarebbe sognato di fare qualcosa del genere.

Il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher (AP)

L’influenza tedesca

E infatti sarebbe un errore spiegare i numeri dei No-vax rifacendosi a Hofer, alle tentazioni secessioniste, all’irriducibile alterità di una terra e di una cultura che parlano un’altra lingua. Benché tutto riguardi in effetti il solo mondo tedesco: nel gruppo italiano, infatti, le cifre dei vaccinati sono in linea con la media nazionale. A occhio anche migliori: ipotesi solida, stando a un empirico esame della diversa situazione tra i docenti delle scuole tedesche e di quelle italiane, anche se ovviamente mancano dati “separati” per gruppo linguistico.

«Le costanti antropologiche sono sempre affascinanti, ma spesso si tratta di luoghi comuni», dice lo storico Hans Heiss, docente all’Università di Innsbruck e, fino al 2018, per 15 anni consigliere provinciale dei Verdi. Il retaggio di una tradizione di scarsa fiducia contro la modernità scientifica un po’ c’entra anche secondo Heiss («a Bolzano l’Università è arrivata tardi»), ma non spiega a sufficienza le dimensioni del radicamento No-vax sudtirolese, movimento peraltro in cui confluiscono più correnti e in cui i fanatici duri e puri sono una minoranza.

Così come c’entrano la vicinanza ad Austria e Germania, dove i No-vax dispongono di figure mediaticamente di spicco che mietono seguaci anche sotto al Brennero. Paesi tra l’altro dove, per storia e cultura, anche solo l’ipotesi dell’obbligo vaccinale è del tutto impensabile. Ma non basta. C’è di più.

Heimat

Come sempre in Sudtirolo, tutto ha a che fare con il concetto di Heimat, ma il termine ha una valenza a cui il nostro “patria” non rende giustizia: in questo caso infatti la declinazione politica non c’entra. È un termine in cui trovano posto, spiega Heiss, da un lato la voglia di isolamento perfettamente rappresentata dalle percentuali record di non vaccinati proprio nelle zone più impervie (la val Passiria, la val d’Ultimo), con l’illusione del «quassù ci conosciamo tutti, siamo immersi nella natura e non ci succederà niente»; dall’altro, la sensazione di vivere comunque in un’autonomia che si autogoverna con proprie leggi, migliori di quelle di Roma.

Non a caso un anno fa, quando proprio Kompatscher ha dato il via a tamponi a tappeto, l’adesione è stata altissima. E mesi fa una sorta di green pass sperimentale è stato varato appunto dalla provincia: ha avuto breve vita, ma senza subire contestazione alcuna. Mentre quello di Draghi…

Una visione alternativa

Secondo Heiss, l’attuale situazione è comunque destinata a svaporare «mano a mano che ci si avvicinerà a un ritorno in zona gialla e via via che aumenteranno i morti». Pragmatismo tipicamente teutonico, insomma. «Anche se uno zoccolo duro resterà comunque – conclude lo storico – con in più un forte settarismo di connotazione quasi religiosa a collegare i militanti». Esclusa forse quella parte, pure minoritaria, di chi si professa No-vax soprattutto nel nome del rifiuto dell’ingerenza statale nelle libertà individuali: un piccolo universo con connotazioni politiche storicamente progressiste, fin qui però confuso e annegato nel ribollire della protesta.

E se tutto dipendesse, più semplicemente, da una classica contrapposizione tra valli rurali e città? In fondo i centri maggiori, dal capoluogo Bolzano passando per Merano e Bressanone, sono anche quelli in cui più forte è la presenza della comunità italiana impermeabile alla sirene No-vax.

Carlo Romeo, storico di lingua italiana tra i più autorevoli dell’Alto Adige e insegnante al liceo classico Carducci di Bolzano, non avvalla questa lettura: «Poteva valere nell’Ottocento e nel Novecento, quando l’autorità del parroco si contrapponeva a quelle delle burocrazie statali, non ai giorni nostri: tant’è che il movimento No-vax fa proseliti in fasce di popolazione inserite pienamente nella modernità, con livelli di studio avanzati: appunto gli insegnanti e i medici».

Per Romeo c’entra invece «un fenomeno del tutto moderno, che ad esempio in Germania è molto forte e che costituisce il fulcro dei movimenti dell’area ambientalista, ma che al tempo stesso è molto difficile da definire: in sostanza, comunque, una filosofia di vita molto legata al rispetto dell’ambiente e alla visione di un modo alternativo di concepire il rapporto tra corpo e mente. E dunque di concepire la medicina».

Il bagaglio culturale

Che anche le zone storicamente rurali dell’Alto Adige/Südtirol si siano allineate alla modernità, oltre che per via del fattore turismo, lo dimostrano gli studi dei figli dei contadini di una volta, in moderni istituti di agraria dove vaccinazioni e prodotti chimici sono pane quotidiano. D’altra parte però, e lo si registra pure nella vicina provincia di Trento, da qualche anno si è anche sviluppata una contestazione dell’agricoltura intensiva proprio in relazione all’uso massiccio degli anticrittogamici, nel nome del ritorno al biologico: nella val di Non del colosso Melinda è un tema che da anni alimenta discussioni e contrasti.

E proprio in Trentino, guarda caso, domenica 26 settembre si voterà un referendum propositivo per l’istituzione del distretto biologico del Trentino: un buon esempio di quella che il sociologo Vilfredo Pareto chiamava “persistenza degli aggregati”.

«È così, la Weltanschauung dei No-vax sudtirolesi si nutre di elementi di lunga durata», sostiene Gabriele Di Luca, scrittore e insegnante alla scuola provinciale per le professioni sociali Hannah Arendt, istituto di lingua tedesca e dunque con il corpo docente particolarmente “falcidiato” dalla protesta. Di Luca è anche commentatore sulle colonne del Corriere dell’Alto Adige: e la sua origine toscana lo tiene ben distante dalle trincee dei due gruppi linguistici.

Ma in questo caso è netto: «Uno dei loro argomenti più ripetuti è l’affermazione secondo cui i vaccini non sono stati sperimentati a sufficienza, che non se ne conoscono le conseguenze sul lungo periodo, che dunque è meglio curarsi a casa invece che in ospedale, che piuttosto di rischiare è meglio cercare di guarire in maniera naturale, e che anche ammalarsi in fondo è naturale: ecco, tutto questo fa parte di un bagaglio culturale inconsapevole».

Sonderweg

Di Luca parla anche di Sonderweg, via alternativa, «il voler trovare comunque una direzione diversa rispetto alle quelle centraliste, a prescindere dal fatto che queste arrivino da Roma, Vienna o Berlino: l’illusione di poter giocarsela da soli, la fiducia nelle risorse autonome della piccola comunità che si auto controlla rispetto ai grandi traffici in cui ci si espone. Perché vista da qui la Cina è lontanissima».

Appunto un’illusione, ripensando a  quanto accadde con la peste suina proprio in Cina (il maggior produttore mondiale di carne di maiale), che provocò un doloroso aumento del prezzo dello speck, gloria sudtirolese per eccellenza: benché i produttori locali non utilizzino materia prima cinese, bensì solo di Paesi europei, il suo venir meno a livello mondiale ebbe ovviamente effetti anche in val pusteria e val Venosta. Accadeva nel dicembre del 2019, immediata vigilia del Covid. Alla faccia della piccola Heimat.

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