«L'amaro del capo ... è Capo Vaticano… non capo», il padrino della ‘ndrangheta spiega a un broker russo che il liquore non si chiama così per onorare un boss ma uno dei luoghi più incantevoli della Calabria, Capo Vaticano.

Il 20 marzo 2020 le cimici dei carabinieri registrano ogni parola di un pranzo d’affari. C’è il boss Luigi Mancuso, ci sono broker russi di prodotti petroliferi e imprenditori legati al clan in confidenza con il vertice della cosca Mancuso, espressione dell’aristocrazia mafiosa nella provincia di Vibo Valentia.

Il pranzo è uno degli indizi che hanno convinto i magistrati a iscrivere nel registro degli indagati i proprietari della Distilleria fratelli Caffo 1915: Giuseppe Caffo e Sebastiano Caffo. Padre e figlio, presidente e vice del gruppo, sono indagati da marzo in un’inchiesta top secret condotta dai magistrati della procura Antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. I reati ipotizzati sono di concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio.

Dell’indagine è stata chiesta l’archiviazione? O è stata prorogata di altri sei mesi? Nessun commento dalla procura, gli imprenditori spiegano di non aver ricevuto notifiche.

La procura antimafia ha deciso di indagare sui Caffo dopo avere letto le informative dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros). L’ultima di marzo si sofferma sulle «relazioni personali tra Giuseppe Caffo, Luigi Mancuso e Pantaleone Mancuso, detto “Luni Scarpuni”».

Giuseppe Caffo (LaPresse - Francesco Mazzitello)

Funerali e milioni

Tra i documenti letti da Domani, c’è una relazione in cui gli investigatori ricordano il funerale della moglie del boss Pantaleone Mancuso. Tra i presenti anche Caffo senior insieme e altri imprenditori della zona. 

La moglie di Mancuso,  Tita Buccafusca, è morta nel 2011 a 37 anni in circostanze misteriose. Per uccidersi ha bevuto acido muriatico: un caso che ricorda il suicidio indotto di Maria Concetta Cacciola, ragazza e madre di mafia che dopo l’inizio del pentimento con i pm viene trovata senza vita. I familiari l’hanno obbligata a ingerire l’acido per lavare l’onta del tradimento. 

Anche Tita Buccafusca aveva bussato alla caserma dei carabinieri: per salvare il figlio era disposta ad accusare il marito capo clan. Però ha un ripensamento, non firma i verbali, decide di rientrare a casa. Con la promessa di tornare.

Un mese dopo ingurgita il veleno che la ‘ndrangheta aveva usato per eliminare Cacciola. Una delle anomalie, dice un investigatore, è che la bottiglia di acido è stata trovata chiusa sotto il lavandino. Difficile pensare che Tita l’avesse rimessa a posto mentre moriva.

Nonostante fosse noto il contesto della morte di Tita, al funerale per rispetto del padrino c’era molta borghesia imprenditoriale, incluso Caffo senior. Che a Domani dice: «Vado ai funerali di tutti».

Caffo era lì con un costruttore noto in zona, Francesco Naso: i suoi figli sono stati azionisti insieme a Caffo nella società Mareverde srl, avviata nel 2005.

Entrambi i Naso, padre e figlio, sono imputati nel maxi processo alla ‘ndrangheta contro il clan Mancuso. Rinviati a giudizio a dicembre 2020, pochi mesi più tardi hanno chiuso Mareverde.

Un pentito finora ritenuto credibile, Andrea Mantella, aggiunge che Pippo Caffo e Mancuso «sono grandi amici», anche e nella squadra di calcio Vibonese la ‘ndrangheta dei Mancuso avrebbe interessi. E il presidente è sempre Caffo, che replica: «I pentiti possono dire ciò che vogliono, le loro parole devono essere dimostrate». 

Il summit del Capo

«Il proprietario dell'amaro del capo.. è ... una persona vicino a noi..persona squisita, dolce per come è l’amaro», dice un imprenditore legato al clan al pranzo con Luigi Mancuso del 2020. Il boss propone: «Se vuoi possiamo andare ... te lo faccio conoscere».

A quel tavolo al broker viene proposto di commercializzare l’Amaro del Capo: «Te lo mandiamo noi ... con il container, voi mandate i soldi, noi mandiamo il prodotto e siamo contenti in tre ... noi voi e Pippo (Caffo ndr)».

La proposta è dell’imprenditore indagato in un’inchiesta su traffico internazionale di carburanti. Mancuso chiosa: «Te lo puoi bere anche caldo però ... il ghiacciato il massimo è».

Tra i Caffo e i Mancuso, scrivono gli investigatori, esistono strette relazioni emerse «dalle intercettazioni ambientali tra la proprietà, nonché management dell’azienda (Giuseppe e Sebastiano Caffo)», in particolare con Gaetano Molino, «soggetto che i Caffo non potevano non sapere essere contiguo alla cosca Mancuso, in quanto sposato con Silvana Mancuso».

La donna è nipote del capo massimo Luigi Mancuso e figlia di Giovanni, considerato il ministro delle finanze della ‘ndrangheta vibonese.

Sempre secondo i carabinieri «risultano accertate anche relazioni personali, risalenti nel tempo, tra Giuseppe Caffo, Luigi Mancuso e Pantaleone Mancuso, detto “Luni Scarpuni”».

“Luni” è parente e omonimo del patriarca dei Mancuso detto “Vetrinetta”, che, intercettato, spiegava l’evoluzione della ‘ndrangheta: la vera ‘ndrangheta, diceva il padrino, è nella massoneria.  E Vibo è tra le province calabresi con più logge attive.

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