A seguito della pubblicazione dell’articolo “Le chat tra Insegno e Piscitelli: quel “piacere” fatto a Diabolik”, l’attrice e regista ha deciso di intervenire svelando a Domani la telefonata inquietante ricevuta in quei giorni dal boss, poi ucciso il 7 agosto 2019, e la sofferenza patita
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta “Le chat tra Insegno e Piscitelli: quel “piacere” fatto a Diabolik”, non sono mancate le reazioni nel mondo dello spettacolo. Questo giornale ha svelato che il conduttore Rai, caro alla destra, aveva inviato nel febbraio 2019 all’amico narco-ultrà, Fabrizio Piscitelli, il numero di telefono privato di un’attrice, rea di un innocuo sfottò contro la Lazio, chiamata Lazie.
La vicenda è stata rilanciata e commentata anche da colleghe e colleghi del mondo del cinema e della tv. «Una cosa brutta, brutta», ha scritto il popolare attore Alessandro Gassmann. Silenzio tombale, invece, da viale Mazzini. L’attrice e regista Michela Andreozzi ha deciso di intervenire svelando a Domani la telefonata inquietante ricevuta in quei giorni dal boss, poi ucciso il 7 agosto 2019, e la sofferenza patita che non si dimentica senza escludere di assumere iniziative per quanto emerso.
Nello Trocchia
Ho avuto modo di leggere l’articolo di Nello Trocchia pubblicato su Domani riferito anche ai presunti rapporti tra Insegno, Piscitelli e Signorelli emersi nell’ambito di una inchiesta giudiziaria. L’articolo mi cita espressamente: rievoca infatti, tra le altre cose, un orribile episodio che mi è occorso nel 2019 e che mi ha causato mesi di ansia e serissimi problemi personali. Sento il bisogno di esprimere le mie emozioni riguardo quello specifico evento.
Sei anni fa fui contattata personalmente, con numero sconosciuto, da Fabrizio Piscitelli – noto alle cronache come ‘Diabolik’ – che, con un tono inquietante, mi invitava a rimediare a una battuta sulla Lazio che avevo fatto in un programma di cinema e che secondo lui avrebbe offeso i tifosi della curva nord (pronunciai la parola “Lazie”, questa l’onta).
Non credo sia necessario entrare nei dettagli per spiegare quanto possa essere spaventoso ricevere una telefonata di quel tenore da un personaggio con una pesante curriculum giudiziario alle spalle. Per un lungo periodo sono stata vittima di una vera e propria shit-storm sui social di una tale violenza che ho dovuto chiudere il profilo Twitter, mai più riaperto.
Sono stata anche costretta a chiedere pubblicamente scusa per paura di questa campagna vergognosa e incivile contro di me che, come riportato dall’articolo di Trocchia, sarebbe stata promossa proprio da Piscitelli e Signorelli (tra le frasi intercettate riportate nell’articolo: «Distruggetela, sta troia», «Dobbiamo sapere dove sta», «La dovemo sfonna’…», «Tutto quello che può essere contro sta bastarda»): una persecuzione fatta di minacce – a me e alla mia famiglia – e insulti, arrivati da ogni parte, soprattutto di natura sessista («Troia» l’aggettivo più gettonato), che mi hanno fatta vivere nell’angoscia, con ripercussioni sulla qualità della mia vita e del mio lavoro.
Ovviamente non ho avuto modo di accedere alle carte dell’indagine e alle intercettazioni ma, grazie all’articolo di Trocchia, scopro oggi con sgomento che a fornire il mio numero personale privato a “Diabolik”, senza alcun preavviso o richiesta di autorizzazione da parte mia, sarebbe stato Insegno, un collega che conosco da oltre trent’anni, con il quale mi sono trovata a condividere diverse situazioni lavorative.
C'è davvero bisogno di sottolineare quanto possa essere inopportuno e pericoloso condividere il numero di cellulare di una collega, una donna, con un noto pregiudicato? In queste ore di attesa di conferme o smentite sto riflettendo su quali iniziative prendere, ma non volevo tacere su un fatto di questa portata, specialmente nei difficili tempi che stiamo vivendo in cui, soprattutto noi donne, ci ritroviamo continuamente a combattere violenze di ogni natura.
Le conseguenze di quell’evento sulla mia salute mentale hanno avuto un lungo decorso e tornare indietro a quel momento della mia vita è ancora oggi per me causa di grande sofferenza.
Come allora, tuttavia, desidero ribadire che la S.S. Lazio e la sua sana tifoseria non hanno nulla a che fare con questa brutta storia di estremismi. Sono cresciuta in una famiglia in cui convivono fedi calcistiche diverse (io tifo Napoli come mia madre, mio padre e mia sorella sono romanisti, mio fratello e la sua famiglia laziali, abbonati allo stadio): da sempre ci confrontiamo con rispetto, passione e un vivace spirito di competizione sullo sport, che oggi e sempre dovrebbe insegnare soprattutto il valore della diversità, di cui evidentemente abbiamo ancora tanto bisogno.
© Riproduzione riservata



