È morta Anna Laura Braghetti, l’ex brigatista “carceriera” di Aldo Moro

Se ne stanno andando tutti, “quelli di via Fani”. Prospero Gallinari già nel 2013, Barbara Balzerani un anno fa, Raffaele Fiore lo scorso luglio. A 47 anni di distanza da quel 16 marzo del 1978, quando le Brigate rosse sequestrarono Aldo Moro uccidendo tutti i membri della sua scorta, la legge dell’anagrafe sta via via chiamando a sé tutti coloro che vi presero parte. Ieri è morta anche Anna Laura Braghetti, a 72 anni, di malattia. In via Fani quella mattina lei non c’era, ma ebbe un ruolo fondamentale nei 55 giorni del sequestro dello statista. Non fu «geometrica potenza». Quel brigatista ferito a via Fani Era infatti la proprietaria dell’appartamento di via Montalcini 8 che fu la “prigione del popolo” in cui Moro venne tenuto nascosto e processato, fino alla sua uccisione (che Braghetti non condivise ma alla fine accettò) il 9 maggio di quel 1978: un’odissea che sconvolse l’intero paese e sui cui passaggi ancora oggi ci si azzuffa confusamente, partendo da un elemento che non ha mai trovato alcuna conferma giudiziaria, anzi. E che riguarda proprio Braghetti: il fatto cioè che Moro non sarebbe mai passato da quell’appartamento di via Montalcini. Da Moro a Bachelet All’epoca del sequestro, Anna Laura Braghetti non era neppure “clandestina”: venne scelta proprio per la sua insospettabilità, benché la sua militanza nella colonna romana del partito armato fosse già consolidata. E dopo il sequestro Moro, per la sua esperienza e affidabilità, passò alla direzione della colonna “controrivoluzione” (magistratura, economia, politica). Tanto che successivamente, il 3 maggio 1979, partecipò all’assalto brigatista alla sede romana del comitato provinciale della Dc in piazza Nicosia, in cui morirono due agenti di polizia. E il 12 febbraio 1980 all’uccisione del vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet all’Università La Sapienza, assieme a un altro brigatista di via Fani, Roberto Seghetti. Venne arrestata pochi mesi dopo, il 27 maggio, processata e condannata all’ergastolo. Aldo Moro e quel brigatista ferito: mai fatte le analisi decisive Il prigioniero Da quel momento in poi la sua vita cambiò a fondo, portandola a un percorso di progressivo allontanamento dalla militanza brigatista, vissuto lontano dai riflettori. Riflettori che però nel 1998 decise di affrontare pubblicamente scrivendo un libro, assieme alla giornalista Paola Tavella, incentrato proprio sul sequestro Moro: intitolato Il prigioniero e pubblicato da Mondadori, ripercorre appunto quei 55 giorni vissuti in quell’appartamento assieme a Gallinari (che nel frattempo fu per qualche anno suo marito), Mario Moretti e Germano Maccari, scomparso anche lui ancora nel 2001. Più volte ristampato, ma da Feltrinelli, è un libro da cui il regista Marco Bellocchio avrebbe tratto il film Buongiorno, notte. Non era stato quello il suo primo libro. Già nel 1995 aveva scritto Nel cerchio della prigione, ancora una volta a quattro mani. Ma in quel caso la coautrice era un altro nome importante della storia criminale italiana: Francesca Mambro, la neofascista dei Nar pluriergastolana, moglie di Valerio Fioravanti e responsabile, fra tanti altri delitti, della strage alla stazione di Bologna che fece 85 vittime. Si tratta di un epistolario che dà conto del rapporto tra le due ergastolane per crimini politici, compiuti partendo da ideologie agli antipodi. Le due donne si erano conosciute in carcere e ne era nata un’amicizia importante. Il doppio parricidio di Pasolini e Moro, corpi insepolti della Repubblica Il rapporto con Mambro C’era infatti anche il nome di Braghetti, nel gennaio del 1994, in calce a una lettera inviata all’Unità da un gruppo di detenute ex brigatiste, cinque in tutto, a sostegno di Mambro (che infatti oggi la ricorda con parole commosse) e Fioravanti. E c’era pure quello di Barbara Balzerani. Va anche ricordato che l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si era convinto dell’innocenza di Mambro e Fioravanti per la strage proprio dopo averne parlato con Braghetti. «Credo molto più ai terroristi rossi, che ai magistrati – disse in un’intervista – Tra la loro serietà e quella dei magistrati c’è un abisso». Vicende e parole di tempi sempre più lontani, da cui l’ex brigatista Braghetti si era definitivamente distanziata, in un percorso personale segnato dal doloroso ripensamento. Senza mai usufruire di sconti di pena, nel 2002 venne ammessa alla libertà condizionale. Poi l’uscita dal carcere e l’impegno nel volontariato a tanti livelli, sempre senza protagonismi. Domande senza risposta, le ultime giornate di Moro sono ancora un mistero Braghetti conclude Il prigioniero scrivendo proprio dell’uccisione di Moro, mentre faceva la spola fra l’ascensore e la porta principale sulla strada: «Sentii una prima raffica, poi trascorse un istante e ne sentii una secondo, più breve. I colpi silenziati facevano un rumore strano, di tonfi soffocati. Ancora qualche minuto poi Mario, dall’interno, mi chiese di sollevare la porta del box. L’auto si mosse lenta, Dissi freneticamente che dovevano cambiare macchina, perché la signora dell’ultimo piano ci aveva visti. Ma loro non mi ascoltarono, erano pallidi e stravolti. Partirono. Chiusi a chiave la porta del mio garage. Uscii sulla strada. In giro c’era solo un uomo che portava a spasso il cane». Il caso Moro visto dalla Renault 4. Il peso delle auto nella storia delle Br