Una targa per ricordare un giudice dimenticato per oltre cinquant’anni. E il suo assassinio liquidato, forse, troppo in fretta dagli inquirenti. Ieri mattina il tribunale di Palermo ha reso omaggio ad Antonino Giannola, il primo magistrato italiano ucciso nell’esercizio delle sue funzioni. Il suo nome è stato aggiunto nella targa, all’ingresso dell’Aula Magna della Corte d’Appello, che ricorda i tanti giudici italiani uccisi. «Questa giornata colma un vuoto che per noi era come una ferita», commenta la figlia del giudice, Isabella Giannola.

È il 26 gennaio 1960 quando Giannola viene freddato durante un’udienza civile in un’aula del tribunale di Nicosia di cui è presidente. Un medico di Cerami, paese in provincia di Enna, entra con una pistola e spara mirando alla giugulare del magistrato.

Il colpo non lascia scampo. «Ho ucciso la giustizia», grida dopo aver premuto il grilletto. Le indagini sono rapide e in poco tempo gli inquirenti stabiliscono che il killer è un esaltato paranoico incapace di intendere e di volere. Un anno dopo, la Corte d’Appello di Caltanissetta dichiara il «non luogo a procedere» nei confronti dell’omicida per «totale infermità mentale».

Memoria dimenticata

L’assassinio lascia attonite le istituzioni. A Nicosia e a Palermo, nella chiesa di San Matteo, in tanti rendono omaggio a Giannola durante i suoi funerali: da Roma arriva il solito corteo di magistrati, ministri e forze dell’ordine.

Poi il buio totale, il blackout della memoria. Il nome di Giannola sparisce per oltre cinquant’anni. «Il nome di nostro padre non è mai apparso nell'elenco dei magistrati uccisi, per troppo tempo è stato dimenticato. Questo di oggi (ieri per chi legge, ndr) è un passo importante. Lo stato ha il dovere di non dimenticare i suoi servitori», dice il figlio Italo.

Solo nel dicembre 2018 il nome di Giannola viene inserito dal Csm nell’elenco delle “Rose spezzate” che racchiude i nomi di tutti i magistrati caduti nell’esercizio delle loro funzioni. Nel 2019, nel boschetto della memoria di Gerusalemme, realizzato dalla Onlus Kkl Italia, viene messa a dimora una quercia intitolata agli altri 27 magistrati uccisi dalla criminalità. Vicino una stele commemorativa e anche qui il nome di Giannola viene aggiunto soltanto dopo. Proprio come ieri nella targa scoperta da Matteo Frasca, presidente della Corte d’Appello di Palermo che ha ricordato l’importanza del «valore della memoria che è fondamentale in una democrazia».

A distanza di 63 anni da quell’omicidio, però, sono ancora tante le domande senza risposta, le zone d’ombra «che sicuramente – afferma Italo Giannola – non troveranno mai una risposta». «Dopo il suo omicidio non fu fatta nessun’altra indagine. Col passare del tempo mi sono fatto tante domande. Agli atti delle indagini c'era poco o niente. Testimoni confermarono di aver visto l'omicida sparare ma non furono condotte indagini più scrupolose».

Secondo la versione ufficiale dei fatti il medico che sparò voleva vendicarsi per l’ennesimo rinvio di un processo contro un avvocato che, dandogli dell'antifascista, gli aveva impedito di diventare medico condotto. Eppure l’omicida non aveva mai avuto rapporti personali con Giannola e le sue pendenze giudiziarie non erano mai state seguite dal giudice. Perché ucciderlo?

Il suo lavoro

Giannola, in quegli anni, si occupò di inchieste molto delicate legate a doppio filo con le trame più oscure del nostro paese: dal separatismo, al banditismo fino alla strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947. Giannola era stato giudice a latere in uno dei processi alla banda Giuliano, quando veniva a Palermo era sempre scortato. Poi, nel 1955, la promozione a Nicosia. Al magistrato, però, viene revocata la scorta. «Mi ha molto colpito il fatto che ad ucciderlo fosse stato proprio un medico. In quegli anni – prosegue – il capo della mafia era proprio il medico Michele Navarra. Su questo fronte, purtroppo, nessuno ha mai svolto indagini serie e approfondite, tutto è stato liquidato in modo molto sbrigativo. Quelli sono gli anni in cui si diceva che la mafia non esisteva e chi ne parlava veniva considerato un pazzo».

«Se avessi avuto il coraggio di affrontare subito la morte di mio padre sarebbe stato diverso. Avrei trovato qualcosa di interessante. Ma questa storia è stata sepolta per troppo tempo», dice Isabella ex prefetto a Caltanissetta.

Un anno dopo l’assassinio, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale di Caltanissetta Stefano Mercadante ricorda così il collega ucciso: «Buono, zelante e d’ineccepibile rettitudine nell’adempimento dei suoi doveri. La sua reputazione era adamantina e raccolse in sé la fama di tutte le virtù che caratterizzano il cittadino esemplare e il magistrato integro e tetragono».

Ricordato a Palermo e a Nicosia, di Giannola non c’è traccia nella lapide che, al ministero della Giustizia, ricorda i magistrati caduti nell’esercizio delle loro funzioni. «Mi dispiace – dice amaro Italo Giannola – ma sono sicuro che riusciremo a colmare anche questo vuoto».

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