L’imprenditore e manager Antonio Di Fazio, arrestato per violenza sessuale, era stato denunciato 13 volte dall’ex moglie, ma il fascicolo era stato archiviato e ora riaperto dopo l’arresto. Una vicenda che si incrocia con gli affari economici dell’imprenditore lombardo che, insieme a uomini legati al crimine organizzato, ha fatto affari con le regioni durante l’emergenza Covid. Ora Domani può svelare la rete di contatti e relazioni che ha consentito a Di Fazio, peraltro, di assoldare un addetto stampa per provare a contattare l’artista Paola Turci per placare la sua ossessione di conoscerla. Il giornalista incaricato di avvicinare la cantante è stato retribuito tramite una fondazione di ricerca.

Il camorrista e le Asl

Antonio Di Fazio era socio della Global farma, deteneva il 90 per cento delle quote della società fino all’arresto, ma aveva un ruolo informale anche in un’altra società che si chiama Ifai srl, Industria farmaceutica italiana. In questa azienda nascono le relazioni pericolose con la camorra. Tra i dipendenti, infatti, fino al 2020 c’era Mauro Russo, condannato in via definitiva per camorra, ritenuto a disposizione del clan Belforte, egemone a Marcianise, provincia di Caserta. Russo poteva anche operare sui conti correnti dell’azienda, come risulta dai documenti antimafia.

L’uomo del clan, hanno svelato i pentiti e le indagini, ha investito enormi somme di denaro a Milano, una ricchezza in parte sequestrata nell'ambito dell'inchiesta che ha portato alla sua condanna per associazione mafiosa. Una volta uscito dal carcere, Russo ha trovato impiego all'Ifai srl. Russo e Di Fazio condividevano anche le auto, come confermano alcuni controlli, effettuati dagli inquirenti, e che vengono ricostruiti nei documenti degli investigatori antimafia. In questo filone Di Fazio non è indagato, ma gli elementi emersi sui rapporti d’affari mettono in relazione la storia personale con quella imprenditoriale di Di Fazio. Quella personale riguarda l’inchiesta sulle violenze sessuali, accusato di aver narcotizzato e violentato una ragazza che aveva incontrato per ragioni di lavoro; quella imprenditoriale è fatta di legami con uomini dei clan, potenti famiglie di mafia.

Di Fazio non figura ufficialmente nella società Ifai Srl, tuttavia era di fatto il finanziatore e riferimento dell’azienda. Particolare rilevante raccontato dalla titolare Rosa Rotondo che viene sentita dagli inquirenti, dopo una presunta estorsione subita, nel 2019. «Premetto di aver conosciuto il signor Di Fazio Antonio nell'ottobre del 2015 e dopo una iniziale conoscenza lo stesso mi ha proposto di essere nominata amministratrice unica della nascente società Ifai. Preciso che detta nomina a mio favore è stata fatta dal reale proprietario della stessa, Di Fazio Antonio, al fine di tutelarsi da un'eventuale richiesta economica della ex moglie che non conosco», dice Rotondo agli inquirenti.

Insomma a capo della società Di Fazio piazza Rotondo per evitare «richieste economiche dall'ex moglie», la stessa che ben 13 volte ha denunciato Di Fazio per abusi. A confermare il ruolo di Di Fazio nell’azienda Ifai ( dove ha lavorato il camorrista) è Enrico Asiaghi, socio al 10 per cento in Global farma. «La sede legale era la stessa della Global, io ho lavorato per Ifai, era finanziata da Di Fazio. Ho chiesto anche i soldi per le prestazioni che da professionista ho reso alla srl senza ottenere un euro».

Asiaghi, un passato da candidato non eletto nelle liste del centrodestra milanese, ha lavorato per Ifai e per Di Fazio. La società è tra quelle che si inserita da subito nell’affare dell’emergenza Covid. «Mauro Russo diceva di poter comprare mascherine grazie a un suo amico avvocato romano, ma non le abbiamo viste. Ifai, però, è riuscita a chiudere accordi con diverse aziende sanitarie locali, una in Abruzzo, una in Piemonte, ma anche in Emilia Romagna», dice Asiaghi. La sanità emiliana ha pagato 240 mila euro per una fornitura, poi però Ifai ha restituito la somma perché non aveva potuto soddisfare la richiesta.

Nessuna azienda sanitaria pubblica, tuttavia, si è accorta della presenza di Russo, l’uomo del clan, nella società Ifai. Nessuno ha fatto controlli sul condannato per camorra, ritenuto dai collaboratori di giustizia a disposizione del clan Belforte per depositare armi, proteggere latitanti. Russo è anche considerato uomo vicino al boss Pasquale Scotti, per 28 anni latitante prima di essere arrestato nel 2016.

Asiaghi ha lavorato per Ifai, ma non ha percepito alcun reddito, racconta. Lui con Di Fazio avvia anche Global farma nell'aprile 2020, che ha la sede legale negli stessi uffici di Ifai. Global ha anche firmato una convezione con Aria, la centrale acquisti della regione Lombardia che si occupa del reperimento di tute e mascherine. «Di Fazio versa i 500 mila euro di capitale sociale con un assegno circolare, anche se in diverse occasioni ha mostrato di non avere disponibilità per onorare i pagamenti da poche migliaia di euro come l'affitto o il noleggio dell’auto», dice Asiaghi.

Di Fazio, dunque, si mostrava sorridente tra le auto di lusso, staccava assegni da migliaia di euro, ma non era in grado di onorare debiti minori. Russo non è l’unico personaggio legato ai clan che orbita attorno all’imprenditore accusato di stupro. Presso la Global farma lavora un ragazzo connesso a una potente famiglia di ‘ndrangheta. «In Global lavora un ragazzo che è stato in carcere, ha avuto problemi, si chiama Jerinò», dice Asiaghi, che ora dice di volere estromettere Di Fazio dalla Global così da rilanciarla. Ma perché ha in società un soggetto legato all'omonima famiglia di ‘ndrangheta? «L’ho trovato in azienda e ho voluto concedergli un’opportunità, non è vietato». Nei giorni scorsi, il Fatto Quotidiano ha scritto della potente cosca Mancuso, che, nel recente passato, ha fatto ingresso con propri emissari per ragioni economiche nella sede della Global Farma per parlare con Di Fazio. «Non so chi siano, ma non riesco a fare tutte le verifiche perché i carabinieri mi hanno sequestrato i computer», dice Asiaghi. Di certo attorno alla vita imprenditoriale di Di Fazio sta indagando anche la distrettuale antimafia di Milano. «Non penso avesse disponibilità di fondi sporchi, anche perché in tante occasioni gli mancava liquidità, i proiettili che ho trovato sulla mia auto, invece, nulla c’entrano con la criminalità», assicura Asiaghi.

Paola Turci e la fondazione

Nella trasmissione Non è l'arena, su La7, il giornalista Francesco Capozza ha raccontato di aver lavorato come addetto stampa per Antonio Di Fazio con un solo scopo quello di avvicinare la cantautrice Paola Turci. «Io preparavo piani comunicazioni per lui, ma in realtà lui voleva solo arrivare alla cantante, lui ha preso me per conoscerla. Era ossessionato dalla cantante. L’ho accompagnato a un concerto, a Milano, e mi ha chiesto di presentargliela. In un secondo concerto è riuscito a portare un mazzo di rose rosse nel camerino. Mi ha chiesto anche il suo numero di telefono, ma gli dicevo che io parlavo con l’ufficio stampa. Per la mia attività non mi ha pagato Di Fazio, ma un’altra società», dice Capozza.

Il compenso fissato per quest’attività di promozione dell’immagine del manager, ma soprattutto per avvicinare Turci, era di 120 mila euro all'anno. Alla fine Di Fazio scompare e Capozza incassa solo 30 mila euro. A pagare il giornalista, racconta Capozza raggiunto da Domani, è però una fondazione di Parma, la Ssica, stazione di sperimentazione dell’industria delle conserve alimentari, una struttura di ricerca, nata come ente pubblico, ora gestito dalla camera di commercio locale. Nel 2020 Ssica è stata commissariata dal prefetto della città ducale. Tre anni prima Di Fazio aveva presentato Andrea Zanlari, allora presidente di Ssica e oggi commissario della camera di commercio di Parma, all’ addetto stampa Capozza, che elabora un progetto di comunicazione anche per Ssica. La fondazione, in pratica, paga anche per avvicinare Paola Turci e per l’attività svolta per conto di Fazio, che così non ha sborsato denaro. Ma perché Ssica avrebbe accettato di pagare Capozza, sborsando 30 mila euro? Contattati, non abbiamo ottenuto alcuna risposta. Le risposte le cercano anche gli inquirenti che devono fare chiarezza su affari, soci e frequentazioni di Di Fazio, in carcere per violenza sessuale e con molte ombre che accompagnano la sua ascesa imprenditoriale.

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