Sul sito della protezione civile c’è una sezione dedicata alle emergenze nel nostro paese. Ci sono quelle relative al rischio sismico, al rischio meteo, al rischio sanitario e ambientale. Alcune concluse, altre aperte da anni.

A guardare le date, infatti, non si capisce più dove finisca l'ordinario e dove inizi l'emergenza. La bonifica del fiume Sarno, in Campania, ha obbligato lo stato a dotarsi di un commissario.

La prima volta è stato nominato nel 1995. Sono trascorsi 25 anni. In questi anni sono stati nominati commissari anche per la gestione delle carceri, campi nomadi, visite pastorali, ferrovie, strade, laghi.

Lo stato di necessità sostituisce la politica che non prende decisioni, ma delega e si affida ad altri. Insomma non è solo la stagione del Covid-19 a finire sotto l'ombrello emergenziale, ma ogni cosa, che, però, non ci ripara dalla pioggia di spreco, fallimenti e malaffare.

Per ogni stagione

«In emergenza non c’è democrazia», diceva Guido Bertolaso, quando era il plenipotenziario della Protezione civile e i governi, di centrosinistra e centrodestra, lo corteggiavano per affidargli la gestione di ogni genere di fenomeno dalle calamità ai grandi eventi: giubileo, ricostruzione, G8, rifiuti. Il problema è che quella frase ha una coda: «L’Italia, però, è sempre in emergenza».

Siamo, dunque, in una crisi costante della democrazia. Per le misure di contrasto al Covid-19 lo stato d’emergenza ha raggiunto il suo apice. Il commissario prescelto è diventato un catalizzatore di incarichi. Il governo, da ultimo, per distribuire i vaccini si è affidato a Domenico Arcuri.

Arcuri è anche amministratore delegato di Invitalia, ma è anche commissario per l'emergenza Covid-19. In mezzo tra i due incarichi ha gestito anche la distribuzione dei banchi nelle scuole e si occupa del call center per i tracciamenti.

La strada commissariale si sceglie per velocizzare scelte, decisioni e raggiungere i risultati. In realtà la storia ci ha insegnato che nulla di tutto questo è accaduto.

La gestione commissariale dell’emergenza rifiuti in Campania è lì a dimostrarlo. Quasi due decenni di commissariamento non hanno evitato infiltrazioni dei clan, lo stoccaggio di vagonate di balle di rifiuti, oggi ancora lì, ormai, putride e lerce, non hanno migliorato la raccolta differenziata producendo solo un buco miliardario nelle casse dello stato.

Con il falso mito che accelerando, sospendendo leggi ordinarie, ammorbidendo i controlli si raggiunga prima il risultato. In fondo tutto è iniziato proprio dalla Campania: il terremoto in Irpinia, nel 1980, i ha reso i commissari figure eterne, imprescindibili.

Nel 1992 una legge ha allargato anche ad altri eventi da fronteggiare con mezzi e poteri straordinari. Fino al 2001, quando Berlusconi assimilò nell’emergenza anche i grandi eventi.

A raccogliere la valanga di miliardi piovuti sull’Irpinia e sul mezzogiorno c’era anche la camorra che inaugurò il cosiddetto tavolino a tre gambe, con politica e imprenditoria. Di straordinario, insomma, non c’è nulla, il disastro è l’unico risultato visibile.

Stellette e generali

Nello staff del commissario Arcuri, come braccio destro, è arrivato Massimo Paolucci, già parlamentare del Pd, e per qualche anno, dal 2001 al 2004, numero due del commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania. In quella che le cronache e le relazioni parlamentari hanno archiviato come un totale fallimento.

Emergenza perenne e democrazia sospesa, altro esempio arriva dalla Calabria. Anche lì, molto prima del Covid-19, la politica commissaria se stessa nella gestione della sanità. Ovviamente la scelta cade sempre su persone vicine, prossime all'area di governo perché i partiti possano comunque continuare ad esercitare controllo e alimentare catene di clientele e consensi.

La sanità in Calabria è commissariata dal 2010. Sono passati dieci anni. Il commissario uscente era un generale dell'Arma, Saverio Cotticelli. Anche questo è un grande classico, situazioni gravi richiedono graduati, indipendentemente dal loro grado di conoscenza del fenomeno.

Il generale Cotticelli si è dimesso dopo aver collezionato diverse figuracce. In pochi ricordano che la ministra Giulia Grillo ha presentato, nel dicembre 2018, la sua nomina con queste parole: «Legalità, trasparenza e competenza per la salute dei cittadini», prima di aggiungere «Ci metto la faccia».

Cotticelli non sapeva di dover redigere il pianto anticovid e si è dimesso. Al suo posto è stato chiamato, qualche giorno fa, Giuseppe Zuccatelli, manager della sanità. Passati due giorni dalla nomina è spuntato fuori un video del 27 maggio, ben oltre, dunque, la prima fase della pandemia come aveva rassicurato il ministero della salute Roberto Speranza che lo ha nominato.

Nel video Zuccatelli diceva che le mascherine «non servono a un cazzo». Domani ha pubblicato altre dichiarazioni del commissario sull'Italia, da «paese delle belle donne», a quelle sui virologi che sarebbero secondo Zuccatelli la «coda della coda dei medici», insomma lo scarto.

La spesa sanitaria, in Calabria, rappresenta il 10 per cento dell’intero prodotto interno lordo regionale, una partita che ha suscitato e suscita gli appetiti di apparati criminali e affaristici e, infatti, due aziende sanitarie sono state sciolte per infiltrazioni mafiose e sono gestite da altri commissari straordinari.

Ci sono cittadini calabresi che, in questo momento, hanno il comune commissariato per mafia così come l’azienda sanitaria, la regione commissariata nella gestione della sanità e la gestione pandemica commissariata a livello nazionale.

A volte il commissario è un politico che si fa nominare perché ha necessità di andare in deroga alle leggi e ai bilanci. Se, invece, la materia è delicata allora si sceglie la strada del manager, generale, dell'eroe solitario pronto ad intestarsi il fallimento tanto non ha problemi di ricandidatura e un posto, alla fine, per lui si trova sempre.

E' una delega salvifica per evitare assunzioni di responsabilità e mantenere pulita la fedina della responsabilità politica davanti agli elettori, visto che nel nostro paese, la campagna elettorale è permanente e non conosce lockdown.

Un paese a guida commissariale è in perenne emergenza e in crisi democratica. Lo scriveva bene un raffinato giurista come Mario Boneschi, nel lontano 1965, quando ancora quella commissariale non era diventata una deriva.

Già allora segnalava una tendenza, poi stratificatasi e più volte denunciata, in beata solitudine, dai radicali italiani. «Se il governo abusa dello strumento dei Commissari, annulla l'autonomia che la legge attribuisce agli enti: centralismo e arbitrio, mali unanimemente deplorati, avanzano, si consolidano, si estendono.

È ben noto come il governo abusi dell’istrumento e come, attraverso le gestioni commissariali gli organi centrali vengano ad esercitare poteri non spettanti, ed a relegare in soffitta lo stato di diritto».

© Riproduzione riservata