L’Italia ha il suo piccolo arsenale di armi domestico, pistole e fucili legittimamente detenute in milioni di case. La corsa alle licenze durante gli anni della propaganda sulla legittima difesa si è arrestata e sicuramente i numeri italiani non sono paragonabili a quelli di altri paesi, come gli Stati Uniti. I dati della Polizia di stato, che sono gli unici in circolazione, parlano comunque di 1.222.537 persone (circa una su 60) che possiedono una regolare licenza, da quella della caccia alla difesa personale, passando per il tiro sportivo. Il Viminale, invece, non pubblica i numeri ufficiali.

Queste armi non sono teoriche: sparano e possono causare vittime. Lo sanno bene negli Stati Uniti. Nei soli primi quattro mesi del 2022, secondo il database di Gun Violence Archive ci sono stati 4.567 i morti per arma da fuoco e 8.328 i feriti. In circolazione ci sono 393 milioni di armi in possesso di civili, con una media di 120 armi ogni cento cittadini. Più pistole e fucili che persone.

Una corsa che non si è fermata. Nel 2020 i registri dell’Fbi riportano che sono state legalmente acquistate 40 milioni di armi. Numeri imparagonabili con quelli italiani. Mentre in Europa, il Flemish Peace Institute stima che 25 milioni di cittadini abbiano in possesso almeno un’arma, per un totale di 80 milioni di armi. Il rapporto è quindi di quasi 16 armi ogni cento persone. La Serbia ha un rapporto di 39 armi su cento e sorprende - ma non troppo - che ai vertici ci sia la Finlandia (32,4 ogni cento), Paese con grande tradizione di caccia.

Il caso italiano

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In Italia i numeri sono molto più bassi, ma tenendo conto delle restrizioni legislative rimangono rilevanti. Nel 2021, secondo i dati dell’Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere) di Brescia, ci sono stati almeno 46 morti, tra omicidi, suicidi e incidenti, causate da armi da fuoco legalmente detenute. Quasi uno a settimana.

Tra queste ci sono state fatti di cronaca che hanno attirato l’attenzione mediatica, come la strage di Ardea del giugno scorso, quando il 34enne Andrea Pignani ha compiuto un triplice omicidio, uccidendo i piccoli David e Daniel Fusinato, di cinque e dieci anni.

Nell’elenco c’è anche l’episodio di luglio, quando a Voghera l’assessore leghista, Massimo Adriatici, uccise un uomo di 39 anni. «Negli ultimi tre anni a fronte di una media di dieci omicidi all’anno relativi a furti e rapine e di 20 omicidi di tipo mafioso (dati Istat, ndr), il database di Opal riporta almeno 40 omicidi avvenuti con armi regolarmente detenute», dice Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio. «Si tratta in gran parte di omicidi in ambito familiare e relazionale. Numerosi sono anche i femminicidi», aggiunge.

Le lacune del ministero

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I numeri italiani assumono ulteriore senso di fronte al fatto che il ministero dell’Interno non abbia mai diffuso il numero esatto di armi che circolano, in maniera legale, in tutto il paese. Il database della Polizia, infatti, raccoglie solo le notizie reperibili sui giornali. La mappatura sul numero reale di armi in circolazione resta quindi impossibile, considerando che con una licenza si possono avere fino a quindici armamenti (prima erano nove), tre comuni e dodici per tiro sportivo, grazie al decreto varato durante i primi mesi del governo gialloverde di Giuseppe Conte.

«Continuano a mancare i dati relativi alle licenze per detenzione di armi attraverso il “nulla osta” (altro modalità per detenere un’arma, ndr) e proprio la mancanza di questi dati non permette di sapere quanti italiani hanno effettivamente una licenza per armi», spiega ancora Giorgio Beretta, analista dell’Opal.

La condizione psichica

Dietro alle statistiche si celano anche drammi personali. «Dodici anni fa, purtroppo, sono stati protagonisti mio marito Luca Ceragioli e il suo collega Jan Hilmer», racconta Gabriella Neri, fondatrice dell’associazione Ognivolta, impegnata contro la diffusione delle armi.

«Un’arma legalmente detenuta da chi, per uno stato di alterazione psichica, la usa contro altri e contro sé stesso, generando tragedie che devastano intere famiglie e collettività. Quello della patologia psichiatrica e possesso di un’arma è un binomio che deve essere assolutamente spezzato». Non esiste, infatti, un sistema per incrociare le informazioni sullo stato di salute mentale e il possesso di armi. «Da quasi 12 anni stiamo aspettando l’attuazione di una norma che prevede lo scambio informatizzato fra Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle forze dell’ordine, con lo scopo di prevenire rilasci di licenze per porto d’armi a soggetti psichicamente non idonei».

I numeri italiani

Rispetto al 2021 c’è stata una flessione di circa 44mila licenze di porto d’armi non rinnovate, probabilmente a causa del colpo di coda della pandemia. Del milione e 222mila licenze, la maggior parte è relativa a quella per la caccia, 631.304. Questo tipo di licenza è in  calo costante da molti anni: nel 2018 ce n’erano 686.953, nel 2019 circa 671mila.

Diverso l’andamento per le licenze di tiro sportivo, calate al livello più basso nell’ultimo quadriennio: sono 543.805, facendo segnare -39mila in confronto allo scorso anno. Ma sostanzialmente si rimane sui livelli del 2019. Più residuale, poi, il dato sulle licenze per difesa personale, possedute da dodicimila italiani.

Al centro di questa forte disparità c’è la modalità di ottenimento della licenza: per caccia e tiro sportivo, se ne occupa la questura di competenza con un iter più semplice, mentre per la difesa personale occorre produrre una documentazione più ampia, valutata dal prefetto. «Ci vorrebbero non solo maggiori controlli sui legali detentori di armi, ma un’ampia revisione in senso più restrittivo delle norme sul possesso di armi», dice Beretta.

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