Alle prime ore del giorno, gli uomini della guardia di finanza, della squadra mobile, dello Sco della polizia, del Ros dei carabinieri e dello Scico delle fiamme gialle della hanno eseguito 53 misure di custodia cautelare, di cui 44 in carcere e 9 ai domiciliari, nei confronti di altrettante persone riconducibili alla cosca Pesce di Rosarno, articolazione di ‘ndrangheta ramificata sul territorio di Rosarno e comuni viciniori e con interessi sia in ambito nazionale che all’estero.

Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, detenzione, porto illegale e ricettazione di armi, estorsioni, consumate e tentate, favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza del metodo e dell'agevolazione mafiosa, nonché per traffico e cessione di sostanze stupefacenti (prevalentemente marijuana e hashish).

Con lo stesso provvedimento, su richiesta della procura antimafia di Reggio Calabria, il gip ha disposto anche il sequestro preventivo di tre società con sede a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, il cui valore complessivo è di oltre 8,5 milioni di euro.

Le indagini

L’azione portata a termine questa mattina dalla polizia scaturisce dalla convergenza investigativa di due operazioni, «Handover» e «Pecunia Olet», entrambe coordinate dal procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e dai sostituti procuratori Francesco Ponzetta e Paola D’ Ambrosio.

Le indagini hanno consentito di disarticolare le proiezioni della cosca Pesce, sia sul fronte delle attività criminali, connesse alla gestione del traffico di stupefacenti, alle estorsioni ed al controllo delle commesse di lavori gestite dalla Autorità Portuale di Gioia Tauro riguardanti opere interne all’area portuale, sia sul fronte economico e imprenditoriale, destrutturando la gestione monopolistica da parte del sodalizio mafioso, attraverso accordi collusivi con un gruppo imprenditoriale siciliano, con l'obiettivo di espandersi ulteriormente sul territorio calabrese. I Pesce, infatti, controllano vari settori, da quello della grande distribuzione alimentare, alla gestione delle attività economiche collegate alla grande distribuzione.

Nello specifico, l’inchiesta «Handover» rappresenta la continuazione dell’operazione «Recherche», nell’ambito della quale, il 4 aprile 2017, vennero eseguite numerose misure cautelari nei confronti di esponenti della famiglia Pesce con le accuse di associazione mafiosa e associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Tuttavia, all’epoca, Antonino Pesce riuscì fuggire, rimanendo latitante per un anno, fino al giorno dell’arresto, avvenuto il 10 marzo 2018. 

L’indagine «Pecunia Olet», invece, ha riguardato l’infiltrazione della cosca Pesce nel tessuto economico rosarnese relativo alla Grande distribuzione organizzata, con particolare riferimento alla gestione dei trasporti su gomma per il rifornimento di generi alimentari. L'operazione si pone in continuità rispetto a un'indagine analoga, denominata «All Inside», condotta nel 2010, e a seguito della quale vennero eseguite numerose misure cautelari per associazione mafiosa e accertate le ingerenze del cartello ‘ndranghetista Pesce-Bellocco nella distribuzione delle merci dirette verso alcuni punti vendita del gruppo imprenditoriale Sisa nella piana di Gioia Tauro.

La cattura del boss

Le indagini finalizzate alla cattura di Antonino Pesce e quelle condotte sul contesto mafioso, hanno consentito di ricostruire l’articolata rete dei fiancheggiatori che hanno favorito la sua latitanza, tanto da consentirgli di dirigere gli affari della cosca, senza mai abbandonare il territorio.

Il sodalizio dei Pesce, infatti, nonostante avesse subito un duro colpo per via delle operazioni che avevano determinato l’arresto dei suoi esponenti storici, è riuscito a riorganizzarsi e proseguire nella gestione delle attività illecite, operando nei settori del traffico di sostanze stupefacenti, delle estorsioni a danno di operatori economici, del controllo delle attività appaltate dall’Autorità portuale di Gioia Tauro e della proprietà privata. In questo modo, la cosca è riuscita a far fronte alla costante esigenza di liquidità, necessaria per sopperire, in primis, alle spese necessarie per il sostentamento dei latitanti, dei detenuti e delle loro famiglie.

I Pesce, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbero continuato a operare sul territorio in accordo con altre potenti articolazioni della 'ndrangheta, come quella dei Bellocco di Rosarno e dei Piromalli di Gioia Tauro, rispetto alle quali gli inquirenti hanno accertato la capacità di controllare capillarmente il territorio e di esercitare una pervasiva infiltrazione nel tessuto economico e sociale, compiendo reati di natura estorsiva del valore di diverse migliaia di euro, a danno di privati cittadini, imprenditori, commercianti ed operatori economici in genere.

Una montagna di soldi

In particolare, dal 2015 al 2019, le tre cosche hanno estorto: mille euro all’anno, nei confronti di alcuni proprietari di terreni di Rosarno; almeno 5mila euro, da destinare agli affiliati in carcere; 4mila euro, a danno di un imprenditore boschivo per ottenere l’autorizzazione a procedere alla vendita della legna ottenuta dal taglio degli alberi; 2mila euro, a danno di un privato che aveva acquistato due terreni in una località di Rosarno; 10mila euro, come percentuale dovuta alle cosche sull'acquisto dei terreni ricadenti nelle zone sottoposte al loro controllo; 10mila euro, a danno di un imprenditore di Rosarno e di altri 10mila euro, durante il periodo natalizio. A Queste cifre, si aggiungono circa altri 20mila euro di estorsioni a danno di diverse altre persone nel territorio ionico. 

Per quanto riguarda invece l’accordo stipulato con un imprenditore sicialiano della grande distribuzione ha raggiunto l’apice nel 2014.

In quell'anno, infatti, il clan gestiva un centro di distribuzione e smistamento delle merci a Rosarno; tre punti vendita a gestione diretta; quattro punti vendita a gestione indiretta, concessi in affitto; sei punti vendita legati da rapporti di affiliazione e somministrazione.

Nonostante l’accordo con i Pesce, il gruppo imprenditoriale siciliano, nel momento in cui ha aperto un punto vendita a Rosarno, è stato costretto a versare regolarmente somme di denaro a titolo estorsivo alle cosche, al fine di mettersi al riparo da azioni ritorsive e proseguire l’attività commerciale in tranquillità.

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