«Devo fargli fare una bella mazziata (picchiarlo, ndr) gli devo far uscire la merda dal culo. Comunque l’ho giurato. Adesso che passa un po’ di tempo per non far vedere... gli devo schiattare la testa», si esprime così la camorrista Maria Licciardi, arrestata sabato scorso dai carabinieri all’aeroporto di Ciampino mentre si stava imbarcando per volare a Malaga dove abita la figlia e dove lei e i suoi familiari curano i propri affari.

Da questa intercettazione, contenuta nel decreto di fermo disposto dalla procura di Napoli guidata da Giovanni Melillo, convalidato dal giudice, emergono il pensiero e la violenza criminale di Licciardi, detta “’a piccerella” per la corporatura esile e la sua statura.

La pubblica accusa la considera componente di vertice del più potente cartello criminale campano: l’alleanza di Secondigliano. Nelle carte dell’inchiesta vengono ricostruite tutte vicende che hanno portato al provvedimento di fermo per pericolo di fuga. Licciardi, già condannata negli anni scorsi in via definitiva per questo reato, è nuovamente indagata per associazione mafiosa, ma anche per ricettazione, estorsione e turbativa d’asta.

L’asta pilotata

Proprio nell’ambito del capitolo relativo a un’asta pilotata, Licciardi, ritenuta donna di camorra tra le più pericolose al mondo, si lascia andare a parole scomposte che tradiscono la sua caratura criminale, fatta di paziente attesa e strategie.

Convinta di non essere intercettata, visto che la sua casa, le auto dove viaggia vengono continuamente “liberate” dalle cimici disposte dagli inquirenti, dice di voler «far uscire la merda dal culo» a Decio Silvestri per l’atteggiamento assunto. L’episodio, per gli inquirenti, è sintomatico del carisma di Licciardi, che guida l’omonimo gruppo dopo l’arresto dei fratelli e la morte in carcere di Gennaro Liccardi, detto “’a scimmia”.

Un parente di Licciardi subisce il pignoramento della casa perché non ha pagato il mutuo così, attraverso la figlia, lei partecipa all’asta per riprendersi l’immobile, ma c’è un intruso.

Lo scontro coi rivali

È un soggetto legato a un altro potente cartello criminale, quello dei Di Lauro. Licciardi, informata dal parente, interviene e convince Vincenzo Di Lauro a far desistere i suoi. L’irritazione della camorrista arriva quando Decio Silvestri, anche se a conoscenza della parentela illustre, non rinuncia dicendo «noi pure apparteniamo a Enzuccio (Vincenzo Di Lauro, ndr) noi ci compriamo tutto il palazzo». Alla fine l’incontro tra Licciardi e Di Lauro risolve la questione, ma non appaga la smania di vendetta della donna che vuole colpire Decio e sparla dei Di Lauro.

Per l’occasione, visto il suo peso criminale, Licciardi non paga neanche “la tariffa”, la tangente che i comuni mortali devono versare ai clan quando partecipano a un’asta in un territorio dove le aggiudicazioni si svolgono in tribunale, ma sono eterodirette dalla camorra. «Quelli (i Di Lauro, ndr) andavano cercando i 5mila euro!!! ... non li tengo neanche i peli sulla ciucia che gli do i 5mila euro... Fanno sempre i cani di pecora», dice Licciardi parlando del clan rivale.

L’alleanza femmina

L’alleanza di Secondigliano ha tre teste: i Mallardo, i Contini e i Licciardi. Il loro controllo si estende fin nel cuore di Napoli. Molti clan vivono sotto il controllo dell’alleanza, altri, invece, come Di Lauro, Moccia e Casalesi, hanno relazioni di reciproco rispetto.

Una struttura criminale “femmina”, nata dal matrimonio di tre sorelle.

Anna, Maria e Rita sono sposate con tre boss di rango: Francesco Mallardo, detto “Ciccio ’e Carlantonio”; Edoardo Contini, detto “’o Romano”; Patrizio Bosti, braccio destro di Contini.

I clan compongono l’alleanza di Secondigliano e sono alleati con i Licciardi. E oggi, secondo le forze dell’ordine, tra le figure di spicco c’è proprio Maria ’a piccerella.

Introvabile

I pentiti la indicano come informata di decine di omicidi, ma non ha mai avuto alcuna condanna. Per lei solo un processo finito con l’assoluzione per l’omicidio di una rivale, Assuntina Sarno.

Nel descrivere il potere criminale di Licciardi gli inquirenti richiamano i tre livelli attraverso cui viene gestito: quello territoriale, quello relativo agli investimenti (in alberghi, negozi, attività commerciali) e, da ultimo, quello relativo al controllo di ospedali, appalti, elezioni attraverso la corruzione di funzionari pubblici (i carabinieri stanno ricostruendo un presunto patto con un candidato poi risultato non eletto alle ultime elezioni regionali).

In ospedale

Nel 2019 un’operazione delle forze dell’ordine ha portato in carcere decine di affiliati al clan, una delle basi logistiche è stata individuata nell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, vicenda per la quale una commissione prefettizia aveva anche chiesto lo scioglimento per mafia dell’azienda sanitaria locale di riferimento, proposta respinta dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.

In quell’operazione di polizia una donna è sfuggita all’arresto, si tratta proprio di Maria Licciardi, che era già stata latitante anni prima. Dopotutto il clan gode di coperture e soffiate.

Licciardi scompare

Avere la disponibilità di accesso a un ospedale è fondamentale per una famiglia criminale perché consente di disporre in ogni momento dell’assistenza necessaria a gregari e capi.

Diventa quasi una base logistica distaccata. L’ospedale, nelle carte degli inquirenti, viene descritto come fosse una pertinenza, una cantina, uno sgabuzzino, una dépendance del clan.

Ma soprattutto emergono gli affari, il giro di soldi che arricchisce i criminali. Perché avere amici in camice significa tanto: la falsificazione dei referti assicurativi e dei certificati per rinviare udienze e interrogatori.

L’ultima a farsi visitare sarebbe stata proprio la boss Licciardi, pochi giorni prima della maxi retata, quella del giugno 2019. Si sarebbe recata nel nosocomio per un dolore al braccio, una visita urgente prima di andare via per qualche tempo. Quando scatta l’operazione, infatti, Liccardi è irreperibile, diventa latitante.

Prima si fa visitare e poi scappa. Alla fine quel provvedimento di arresto viene annullato. All’epoca Licciardi era difesa dall’avvocato Dario Vannetiello che oggi ha rifiutato il mandato perché si occupa, nei nuovi incarichi, solo di ricorsi in Cassazione.

Dopo l’annullamento, mai appellato, Licciardi torna nel suo appartamento alla masseria Cardone a Secondigliano, dove viene intercettata fino all’aprile scorso quando, grazie all’ennesima operazione di bonifica degli affiliati, le cimici degli inquirenti non funzionano più.

Dove nascondersi

Nel decreto di fermo emerge anche la frustrazione della donna quando, avvertita di un possibile blitz da parte di un informatore non identificato, si lamenta per l’assenza di un’ampia disponibilità di appartamenti dove rifugiarsi.

In un’altra occasione, Licciardi è costretta a intervenire per imporre la restituzione di 450mila euro a una sua familiare per la vendita di un immobile a Peschiera sul Garda.

Licciardi si reca a casa di una donna che si era impossessata della somma, la sfregia con un coltello prima di dirle di restituire i soldi e andare via da Napoli.

«Mi attacco i nipoti tuoi dietro alla macchina e ti faccio piangere senza mazzate!!», le dice. La donna restituirà la cifra e andrà via da Napoli. A Licciardi nessuno osa dire di no.

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