Per percorrere in autostrada i poco più di 200 chilometri tra Roma a Pescara oggi si pagano 19,40 euro. Tra due mesi il pedaggio salirà a 22,46 euro e poi con una progressione annua del 15,81 per cento il costo arriverà in otto anni fino a 92,14 euro, più 375 per cento. Un livello assurdo, probabilmente un record che rischia di trasformare quel tragitto in un percorso da «signori», costringendo gli automobilisti normali alla fuga.

I rincari sono stabiliti dal nuovo Piano economico finanziario (Pef) preparato da Sergio Fiorentino, il commissario nominato dal Consiglio di stato per la gestione della Strada dei Parchi (autostrade A24 e A25), in attesa che si risolva il durissimo contenzioso che oppone il concessionario di quelle tratte, il gruppo Toto, allo stato italiano.

In una nota a firma del segretario Guido Improta anche l’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) paventa un abbandono in massa della Strada dei parchi e quindi invita il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) guidato da Enrico Giovannini a «verificare l’adeguatezza delle previsioni di traffico assunte nel Pef, tenuto conto dei potenziali effetti negativi che potrebbero scaturire … rispetto alle rilevantissime variazioni di prezzo ipotizzate».

Contro i rincari protestano i politici abruzzesi e i 27 parlamentari locali, dal presidente della regione, Marco Marsilio di Fratelli d’Italia all’ex presidente della provincia dell’Aquila e ora deputata del Partito democratico, Stefania Pezzopane.

Dal privato al pubblico

Ancorché spropositati, gli aumenti non sono frutto di un capriccio, ma la conseguenza dello scontro in atto. Una legge del 2012 a tre anni dal terremoto dell’Aquila ha stabilito che la Strada dei parchi è strategica per lo spostamento dei soccorsi verso le zone del centro Italia in caso di calamità e quindi va messa in sicurezza e siccome quelle tratte sono vecchie e inadeguate, soprattutto per la presenza di circa 150 viadotti ridotti in condizioni pessime, i lavori da fare sono ingenti.

Il commissario per la messa in sicurezza della Strada dei Parchi, Maurizio Gentile, ex amministratore di Rete ferroviaria italiana (Rfi), ha calcolato che sono necessari 5 miliardi e mezzo di euro entro il 2030 e un altro miliardo nei 10 anni successivi, in totale 6 miliardi e mezzo. Questo costo è alla base del calcolo sull’aumento dei pedaggi.

Dopo 23 anni di gestione privata lo stato vuole riprendersi Strada dei parchi e i Toto sono sostanzialmente d’accordo, ormai rassegnati a cedere il passo. Da più di tre mesi sono in corso trattative per trovare una soluzione, ma anche se le parti concordano sull’obiettivo finale, non si trovano d’accordo come arrivarci. Di mezzo, ovviamente, ci sono i soldi. Quanti? Le cifre ballano, ma il ministero dell’Economia si è reso conto che il costo dell’operazione rischia di essere salato per il bilancio statale.

Di sicuro il gruppo Toto non ci sta a uscire con la coda tra le gambe. Precisa Mauro Fabris, ex politico dell’Udeur, ex sottosegretario nel governo di Massimo D’Alema e ora vice presidente della società: «Non possiamo che prendere atto della volontà del ministero di estrometterci, ma ovviamente ciò deve avvenire nel rispetto del contratto in essere considerato che non possiamo essere accusati di alcunché».

Il pensiero va inevitabilmente a ciò che lo stato sta facendo con un altro concessionario privato, Autostrade per l’Italia dei Benetton, accompagnato all’uscita con un premio di 9 miliardi e mezzo di euro nonostante su di esso gravi la tragedia del crollo del ponte di Genova.

Lettera di contestazione

Per motivare l’intenzione di riprendersi le autostrade abruzzesi, il ministero di Enrico Giovannini prima di Natale ha inviato a Toto una lettera dura di contestazioni a cui il gruppo abruzzese ha risposto con 150 pagine di controdeduzioni. Tra gli argomenti di accusa mossi dal ministero, insieme a quello delle pessime condizioni in cui si trovano in particolare i viadotti, c’è anche quello della morosità del concessionario nei confronti dello stato.

È una storia risalente a un decennio fa, al momento in cui la funzione di concedente autostradale è passata dall’Anas al ministero che allora si chiamava dei Trasporti. Da quel momento il gruppo Toto ha smesso di versare il canone di concessione all’Anas, circa 50 milioni di euro l’anno, rivendicando nel frattempo crediti nei confronti del ministero per i mancati aumenti tariffari che sarebbero dovuti scattare nel frattempo, per gli investimenti effettuati in assenza di un Piano economico finanziario scaduto addirittura 9 anni fa e per i ristori del covid.

È di circa 188 milioni il saldo a favore del gruppo Toto tra i debiti accumulati nei confronti dell’Anas (167 milioni di euro) e il credito vantato dallo stesso gruppo nei confronti del ministero (356 milioni). Una sentenza del Tribunale civile di Roma, giudice Eugenio Curatola, resa nota lunedì ha rigettato le pretese dell’Anas sul canone di concessione aprendo un buco nel bilancio dell’azienda delle strade e introducendo di fatto un nuovo elemento nella complicata trattativa in corso.

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