Matteo Formenti, 37 anni, faceva il bagnino. Lo hanno trovato morto in un bosco ai piedi del Monte Orfano, due giorni dopo la scomparsa, a pochi chilometri da casa. Lavorava al centro acquatico Tintarella di Luna, a Castrezzato. Era in servizio quando Michael, un bambino di quattro anni, è stato visto galleggiare a testa in giù, privo di sensi, in una delle piscine. È morto poco dopo all’ospedale di Bergamo. Formenti, pur senza sapere ancora di essere indagato, era stato identificato, gli era stato sequestrato il telefono, e il lunedì mattina - mentre i carabinieri erano pronti a notificargli l’avviso di garanzia - lui aveva già deciso di non esserci più.

I numeri

In Italia ogni anno circa 330 persone muoiono per annegamento. Di queste, una quarantina sono bambini e adolescenti. È un dato costante, che da solo dovrebbe bastare a imporre una strategia di prevenzione, una campagna strutturale, una legge organica. Invece, si continua a parlare di “tragiche fatalità”. Come se la morte avesse un’acquaticità sua, che si fa perdonare per la trasparenza.

Il 53 per cento degli annegamenti infantili avviene in piscina, soprattutto in quelle domestiche, spesso non protette da recinzioni. Il dato più allarmante riguarda la fascia d’età 1- 4 anni, dove i bambini non hanno consapevolezza del pericolo e possono morire anche in 20 centimetri d’acqua. Il secondo picco riguarda gli adolescenti, che rappresentano il 53,4 per cento delle morti pediatriche per annegamento.

Un problema di consapevolezza

«Il vero problema è la percezione distorta dell’annegamento», spiega Ambra Bernazzani, coordinatrice della rete nazionale degli istruttori dell’associazione Salvagente. «Si pensa a bambini in acqua alta che urlano e si agitano. Niente di più sbagliato. L’annegamento è rapido, silenzioso e può avvenire anche in pochi centimetri d’acqua. Un bambino può affondare in venti secondi senza che nessuno se ne accorga».

L'associazione tiene corsi online e in presenza rivolti a genitori, educatori, istruttori e personale di piscine. «Durante i nostri corsi - racconta Bernazzani - sfatiamo i falsi miti: che basti la presenza del bagnino, che i bambini in difficoltà urlino, che due minuti da soli siano innocui. Tutto questo è falso, e letale».

L’annegamento di Michael non è un’eccezione, ma una pagina di un tragico bollettino estivo che si ripete ogni anno. Solo nei primi due mesi della stagione 2025 si contano almeno sette casi noti: un ragazzino morto in un laghetto a Perugia, una bambina scomparsa nel Lago di Bilancino, un sedicenne annegato a Lido degli Estensi dopo aver salvato due persone. E poi un bambino morto nel Ferrarese dopo un tuffo, uno nel canneto dell’Oglio, un altro in una piscina domestica nel bresciano.

La cronaca si ripete sempre uguale: il bambino «sfuggito al controllo», il genitore che «si era distratto un attimo», il bagnino che «non ha visto». Una liturgia che rimuove le responsabilità collettive. Ma che colpisce chi resta. Come Matteo Formenti, diventato in pochi giorni simbolo, capro espiatorio e vittima secondaria.

«Serve una legge»

La Francia dal 2003 ha una legge che obbliga le piscine private a dotarsi di sistemi di sicurezza: barriere, coperture, allarmi o verande. Da allora, gli annegamenti accidentali sono calati del 70 per cento. In Italia, invece, la normativa è ancora una giungla: nessun obbligo per le piscine domestiche, norme disomogenee tra le regioni, e l’illusione che bastino i cartelli o la buona volontà dei genitori.

«Serve una legge nazionale che imponga le recinzioni e i dispositivi di sicurezza, come chiediamo da anni», denuncia Bernazzani. «Ogni piscina senza barriere è una trappola aperta. E ogni volta che si parla di colpa, si distoglie l’attenzione da queste mancanze strutturali».

Il problema, più ancora che legislativo, è culturale. Il 56 per cento dei genitori ritiene che la responsabilità della sorveglianza spetti al bagnino. Il 48 per cento crede che un bambino in pericolo farebbe rumore. Il 32 per cento ammette di lasciare i figli incustoditi in piscina per oltre due minuti. Intanto, il pesciolino Salvo - mascotte dell’ultima campagna dell’ISS - nuota nel vuoto, ignorato da chi si fida dei propri riflessi o di una presunta “sicurezza visiva”.

«Il lutto per annegamento è diverso», racconta Bernazzani. «È accompagnato da una colpa che ti viene cucita addosso. E che spesso impedisce di parlare, di raccontare. Per questo è così difficile rompere il silenzio».

Ogni estate in Italia, 40 famiglie si svegliano senza un figlio. Ogni estate, il tempo di un messaggio sul telefono può diventare il tempo in cui la vita cambia per sempre. Ogni estate, ci si interroga su responsabilità individuali ignorando quelle collettive. E ogni estate, ci si dimentica di Matteo, del piccolo Michael e dei tanti altri il cui nome non è mai arrivato nemmeno su una pagina del giornale. Perché, in fondo, l’acqua è trasparente. Come la disattenzione.

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