Per anni la Banca d’Italia ha utilizzato il suo potere di influenza per spingere aggregazioni tra banche deboli per evitare le crisi, scommettendo sul fatto che due debolezze facessero una forza. Non sempre, come è noto, è andata bene. E anche oggi, in tempi di crisi Covid, nonostante il governatore Ignazio Visco abbia riconosciuto che le fusioni non siano l’unica soluzione, la ricetta viene riproposta. Ma il meccanismo sembra essersi inceppato.

A gennaio la vicedirettrice di Banca d’Italia, Alessandra Perrazzelli, di fronte alla Commissione finanze della Camera che discuteva della creazione di una banca pubblica per lo sviluppo del Mezzogiorno aveva spiegato chiaramente la posizione della autorità di vigilanza.

Il salvataggio della popolare di Bari era l’occasione per ripensare il sistema del credito a Sud: un’area con troppe banche, troppe filiali, costi troppo alti e un totale di attività per sportello inferiore del 60 per cento rispetto agli istituti del Centro Nord.

«Come già sottolineato dal governatore, la crisi degli intermediari più fragili – per le ridotte dimensioni o per l’incapacità di adeguare il modello di business – è un rischio concreto. Occorre evitare che l’uscita dal mercato di queste banche avvenga in modo traumatico.

Non è una sfida semplice. Intermediari con queste caratteristiche si trovano su tutto il territorio nazionale ma il Mezzogiorno risente di situazioni, anche di contesto, particolarmente critiche», aveva detto, parlando di sedici istituti minori del meridione.

Il salvataggio pubblico della Popolare di Bari, era il ragionamento, era una occasione da non sprecare per mettere in sicurezza il sistema del Sud. Eppure nove mesi più tardi la situazione è sempre la stessa. Troppe banche, troppi sportelli e troppi rischi.

Si discute sempre di banca pubblica per lo sviluppo e le aggregazioni auspicate dalla Banca d’Italia non ci sono state. Gli incentivi fiscali introdotti nel decreto rilancio per favorirle non sono mai stati usati.

I rischi invece, con la crisi causata dalla pandemia, sono aumentati e di nuovo il governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, intervenuto al consiglio direttivo dell’Abi,l’associazione bancaria italiana, è tornato a ricordare che le banche devono unirsi per rafforzare il loro patrimonio.

Negli ultimi mesi la voce della Banca d’Italia è stata poco ascoltata, nel migliore dei casi o quantomeno non ha avuto fortuna.

Banca d’Italia scommetteva sul fatto che Ubi Banca potesse essere protagonista delle fusioni creando un polo alternativo a quello di Intesa San Paolo, invece è stata acquisita dalla banca guidata da Carlo Messina, nella più importante operazione del settore degli ultimi dieci anni. Nel 2019 Banca d’Italia aveva anche sostenuto la proposta di salvataggio di Carige da parte di Blackrock, il fondo di investimento americano che poi si è ritirato.

Con la nascita del meccanismo di vigilanza unica europea che dal dicembre 2014 ha i poteri di controllo sulle banche considerate significative per un paese particolare dell’Unione europea o per l’economia dell’Ue nel suo insieme, il ridimensionamento dell’influenza della Banca d’Italia era atteso, naturale e fisiologico.  non se si tratta di banche «di piccole dimensioni» e «fortemente esposte al rischio», come quelle di cui Perrazzelli aveva esortato le aggregazioni.

L’elenco delle banche che corrispondono all’identikit e che negli auspici della vigilanza potrebbero essere protagonisti di una nuova stagione di aggregazioni circola da mesi e comprende banche popolari di almeno cinque regioni, Puglia, Basilicata, Molise, Lazio e Campania.

Così come è conosciuta la lista delle situazioni più critiche tra cui la la Banca regionale del Lazio che a fine dicembre aveva un tasso di sofferenze lorde al 14,34% rispetto a una media Ue del 2,7 per cento e una media italiana del 7,2 per cento, secondo gli ultimi dati dell’Eba, l’autorità bancaria europea.

Si vedrà nei prossimi mesi quale sarà la risposta all’ultimo appello del governatore. E se la capacità di pressione della Banca d’Italia sui dirigenti delle banche ha smesso di funzionare proprio nel mezzo di una crisi, di fronte a piccoli potentati locali.

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