La Corte suprema di Cassazione ha condannato dieci affiliati al clan di Cosola di Bari, a pene per oltre 60 anni di reclusione, a seguito dell’operazione convenzionalmente denominata “Attila 2”. I dieci sono stati riconosciuti colpevoli, a vario titolo, dei delitti di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, coercizione elettorale in concorso. Quattro imputati, che allo stato si trovavano liberi, sono stati arrestati dai carabinieri a seguito di un’operazione che ha visto impegnate decine di militari, tra i comuni di Bari, Noicattaro e Giovinazzo, mentre, per gli altri sei, i provvedimenti restrittivi sono stati notificati presso le case circondariali ove si trovavano già detenuti.

La nascita dell’operazione

Il provvedimento della Cassazione costituisce l’epilogo dei processi avviati a seguito delle indagini condotte, negli anni 2015-2016 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, nei confronti del clan Di Cosola, consorteria mafiosa tuttora attiva in Bari e provincia, che aveva mostrato in quegli anni, nonostante gli importanti interventi repressivi subiti ad opera della Magistratura e dell’Arma dei Carabinieri e la conseguente scelta collaborativa intrapresa da alcuni dei suoi esponenti di maggior spessore, di avere mantenuto e sviluppato la sua concreta e pericolosa capacità criminale nell’area d’influenza.

L’inchiesta aveva messo in luce come il clan Di Cosola avesse, nel suo vasto territorio d’interesse, condizionato le consultazioni regionali del maggio 2015, tramite un patto clientelare che prevedeva la corresponsione di una somma pari a 50 euro per ogni preferenza procurata dalla consorteria in favore del candidato. Gli elementi raccolti avevano anche dimostrato il ricorso alla forza di intimidazione esercitata dagli associati nei confronti degli elettori che venivano minacciati, a fronte della promessa di venti euro per ogni voto accordato al politico, di ritorsione in caso di non adempienza.

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