Una nuova inchiesta giudiziaria per corruzione sta mettendo in subbuglio da giovedì le istituzioni europee. A quasi due anni e mezzo dallo scoppio del cosiddetto Qatargate, all’alba del 13 marzo la polizia belga ha perquisito, su mandato della procura federale, l’ufficio di Huawei a Bruxelles e le abitazioni dei suoi lobbisti europei.

È stata inoltre arrestata una persona in Francia e sono stati messi sotto sequestro gli uffici degli assistenti di due parlamentari: uno di questi locali è da agosto scorso in uso ai collaboratori di Marco Falcone, eurodeputato di Forza Italia. Lo stesso ufficio prima era utilizzato dall’entourage di Fulvio Martusciello, capo delegazione dei berlusconiani in Europa.

A rivelare i primi dettagli dell’indagine sono state le testate Le Soir, Knack, Follow The Money e Reporters United. Secondo le autorità belghe, i lobbisti di Huawei hanno pagato tangenti ad eurodeputati in cambio del supporto a favore della compagna cinese: sarebbero circa 15 i politici, parlamentari europei attuali ed ex, ad essere finiti sotto il faro dei magistrati.

A mezzogiorno la Procura federale ha confermato l’esistenza dell’indagine spiegando di aver eseguito 21 perquisizioni tra Belgio e Portogallo, di aver arrestato «diversi individui» con le accuse di corruzione, falso, falsificazione di documenti e organizzazione criminale.

Secondo la procura, le tangenti sarebbero state pagate dal 2021 a oggi, spesso attraverso intermediari, e avrebbero assunto la forma concreta di regali e biglietti per partite di calcio. Il tutto «a vantaggio di Huawei». Secondo Le Soir, in alcuni casi le mazzette sarebbero state pagate in contanti, attraverso telefoni e lussuosi viaggi in Cina. In altre situazioni i parlamentari avrebbero ricevuto il denaro attraverso una società portoghese.

Il lobbista

Uno dei principali sospettati, ha scritto la testata Follow The Money, è Valerio Ottati: lobbista belga-italiano, dal giugno del 2019 in Huawei come direttore delle relazioni istituzionali in Ue. Laureato a Bruxelles, specializzazione a Maastricht in European Studies, Ottati è anche presidente di Acli Belgio, filiale locale dell’associazione cristiana italiana. Prima di lavorare per Huawei, è stato assistente di due europarlamentari italiani, uno del Ppe e l’altro di S&D, entrambi campani e membri di un gruppo parlamentare che si occupa di Cina.

Dal 2014 al 2018 Ottati ha lavorato per Enzo Rivellini, oggi coordinatore della Lega a Napoli, all’epoca in Forza Italia, poi passato per le fila di Fratelli d’Italia. Rivellini è stato presidente della delegazione Ue-Cina e si è fatto notare per le parole al miele rivolte a Huawei: «Vero colosso della telecomunicazione mondiale, si sta sforzando con un forte impatto sociale a migliorare il pianeta e io sono disponibile ad aiutarli», dichiarò nel 2012.

Dopo Rivellini, non eletto, Ottati è diventato assistente di Nicola Caputo, dal 2014 al 2019 rappresentante dei socialisti, in quota Pd, al parlamento europeo. Commercialista, imprenditore del settore vinicolo con interessi anche in Cina, Caputo oggi fa parte di Italia Viva ed è assessore all’Agricoltura della Regione Campania. Anche lui faceva parte della delegazione europea per le relazioni con la Repubblica popolare cinese. Né Rivellini né Caputo sono indagati.

La cena con i meloniani

Nel 2019, quando Ottati è entrato in Huawei, l’azienda stava intensificando l’attività di lobbying nel Vecchio Continente, con l’obiettivo di contrastare le pressioni degli Stati Uniti verso i Paesi europei affinché questi ultimi non acquistassero le apparecchiature 5G cinesi. Lo sforzo è dimostrato dai numeri.

Huawei fa regolare attività di lobbying presso le istituzioni Ue fin dal 2013, spendendo all’incirca 2 milioni di euro all’anno, ma nel 2019 la cifra è salita a oltre 3 milioni di euro per poi ritornare ai livelli medi. Gli ultimi dati ufficiali dicono che Huawei non ha comunque smesso di investire sulle relazioni con i politici dell’Ue: ha infatti 9 lobbisti impiegati a tempo pieno, tra i quali proprio Ottati.

Decine gli incontri ufficiali registrati negli anni con commissari ed europarlamentari. Le cronache raccontano però anche di qualche attività informale. Come una cena, svoltasi il 12 novembre del 2019 a Bruxelles, in una sala riservata delll’Hotel Renaissance, alla presenza di cinque europarlamentari di Fratelli d’Italia tra cui il capogruppo Carlo Fidanza.

L’Espresso rivelò che a quell’evento organizzato dall’Ecr, il gruppo parlamentare di cui fa parte ancora oggi il partito di Giorgia Meloni, tra gli invitati c’era anche Ottati in qualità di lobbista di Huawei. Alle domande del settimanale, il colosso cinese assicurò di non aveva fatto donazioni per partecipare a quell’evento e che l’interesse era solo quello di «capire in che modo Huawei potesse facilitare l’agenda digitale europea attraverso le sue tecnologie».

Al momento la multinazionale cinese non ha rilasciato commenti sull’indagine della procura federale belga. Di sicuro le perquisizioni e gli arresti potrebbero peggiorare le relazioni dell’Ue con la Cina, secondo partner commerciale dopo gli Usa, soprattutto se le autorità belghe decidessero di mettere sotto indagine Huawei. I dazi contro le merci europee voluti da Donald Trump sono stati letti da molti come un’opportunità per un rafforzamento delle relazioni tra l’Ue e Pechino. «Potremmo persino espandere i nostri legami commerciali e di investimento (con la Cina)», ha esplicitato lo scorso gennaio la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

La conferma arriva da una fonte qualificata di Huawei: «La tempistica di questa inchiesta è sospetta, perché arriva proprio quando la nostra società aveva iniziato una campagna di pubbliche relazioni per riavvicinarsi alle istituzioni dell’Ue e ai singoli Paesi membri, pensando che l’elezione di Trump potesse rappresentare un’occasione per riavvicinarci. Nelle scorse settimane, ad esempio, abbiamo avuto anche un incontro con il ministro italiano Urso, prospettandogli una serie di investimenti da realizzare. Certo adesso diventa tutto più complicato».

L’inchiesta per corruzione, di cui Huawei avrebbe beneficiato, rischia quindi di avere importanti ripercussioni in un momento geopolitico di massima tensione. E poco importa, forse, se l’indagine è iniziata circa due anni fa dopo una soffiata dei servizi segreti belgi, come ha scritto Le Soir. Perché ciò che conta per Pechino, c’è da scommetterci, è il segnale politico che arriva da Bruxelles. Un segnale che fa sicuramente contento Trump.

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