Ha l’aria mite l’arcivescovo di Chicago, il cardinale Blase Cupich, 76 anni, alla guida di una delle diocesi più grandi del mondo con i suoi oltre due milioni di battezzati, 221 parrocchie e la sua provincia ecclesiastica che comprende tutto il territorio dello stato dell’Illinois e ben cinque diocesi suffraganee. Lo sguardo mite e la parola pacata del cardinale non deve trarre in inganno però: Cupich è stato un fermo sostenitore di Jorge Mario Bergoglio, anche rispetto a quelle posizioni che più colpivano la destra cattolica statunitense, dalla benedizione delle unioni fra persone dello stesso sesso alle limitazioni della messa in latino secondo il rito preconciliare.

Per questo è particolarmente inviso ai tradizionalisti: il suo stile tranquillo, al contempo chiaro nel progredire sulla strada delle riforme e sicuro nel difendere la dottrina cattolica, ne fanno un avversario temibile.

Senza dimenticare che oltre a una evidente attitudine antitrumpiana, Cupich governa una diocesi particolarmente ricca della chiesa americana. La Catholic charities di Chicago (una sorta di mega Caritas locale), tanto per dire, ha un bilancio di circa 350 milioni di dollari ha fornito servizio di sostengo a circa 374 mila persone nel 2024, e vanta una capacità di raccolta fondi di 42 milioni di dollari, un’organizzazione guidata, neanche a dirlo, da una ceo donna.

La formazione 

Nato il 19 marzo 1949 a Omaha, nel Nebraska. L’attuale arcivescovo di Chicago, dopo aver compiuto gli studi primari, ha frequentato la University of Saint Thomas and Saint Paul, in Minnesota, conseguendo il baccalaureato in filosofia nel 1971. Ha proseguito la formazione a Roma, dove ha studiato nel Pontificio Collegio americano del nord, ottenendo il baccalaureato in teologia nel 1974 e il master in teologia nel 1975 alla Pontificia università Gregoriana. Durante questo periodo ha avuto anche modo di vivere un’esperienza pastorale a Sarajevo (la sua famiglia ha origini croate).

Rientrato negli Stati Uniti, è stato ordinato sacerdote il 16 agosto 1975 nella sua Omaha. Intanto ha continuato gli studi a livello universitario a Washington, alla Catholic University of America, ottenendo nel 1979 la laurea in teologia sacramentale e, otto anni dopo, anche il dottorato in teologia sacramentale con una tesi sull’Avvento nella tradizione romana, scritta con una metodologia di lavoro basata sull’analisi e la comparazione delle letture del lezionario.

Tra il 1981 e il 1987 ha ricoperto il ruolo di segretario della nunziatura apostolica negli Stati Uniti. Poi, fino al 1989, è stato parroco di Saint Mary di Bellevue. Dal 1989 al 1996 ha svolto l’incarico di presidente e rettore del Pontifical College Josephinum a Columbus in Ohio. Quindi, per un anno, ha guidato come parroco la comunità di San Roberto Bellarmino a Omaha. Il 7 luglio 1998 Giovanni Paolo II lo ha nominato settimo vescovo di Rapid City.

Dopo dodici anni di episcopato nella diocesi del Sud Dakota, il 30 giugno 2010 Benedetto XVI gli ha affidato il governo pastorale della sede residenziale di Spokane, nello stato di Washington. Qui ha rilanciato la pastorale dopo lo scandalo degli abusi sessuali, puntando molto sulla valorizzazione e la salvaguardia delle scuole cattoliche. Il 20 settembre 2014 papa Francesco lo ha promosso arcivescovo metropolita di Chicago, dove ha fatto ingresso il successivo 18 novembre. Attento alle questioni di giustizia e alle emergenze sociali, è anche presidente della National Catholic Educational Association. Nel novembre del 2016 il papa lo ha nominato cardinale.

Ascolto e pastorale 

Per comprendere la sua idea di chiesa non bisogna andare molto lontano: infatti, lo scorso 23 aprile, celebrando una messa in memoria di papa Francesco, ha detto fra le altre cose: «La chiesa è fedele alla sua missione quando è sia una chiesa che insegna che una chiesa che ascolta. Questo approccio pastorale inizia con la comprensione che le realtà sono più grandi delle idee e, come pastori, dobbiamo essere in contatto con l'esperienza vissuta della vita quotidiana delle persone».

«Ciò significa», ha aggiunto, «che la teologia pastorale è sullo stesso piano di tutte le altre branche della teologia: dogma, studi scritturali, teologia morale, ecclesiologia, teologia liturgica e teologia spirituale. La teologia pastorale non è derivativa, ma deve chiamare tutte queste altre branche a prestare attenzione alla realtà concreta della vita umana e della sofferenza umana in modo molto più sostanziale se vogliamo essere autenticamente fedeli agli insegnamenti di Cristo».

E poche settimane prima, il 19 gennaio, intervenendo sul fenomeno migratorio nel corso di un incontro presso la basilica di Guadalupe a Città del Messico, si espresse in questi termini: «Per i membri delle comunità religiose, le minacciate deportazioni di massa ci lasciano anche con la bruciante domanda: “Cosa ci sta dicendo Dio in questo momento?”. Le persone di fede sono chiamate a parlare in nome dei diritti altrui e a ricordare alla società il suo dovere di prendersi cura di chi è nel bisogno. Se le deportazioni di massa indiscriminate di cui si parla dovessero effettivamente essere attuate, ciò costituirebbe un affronto alla dignità di tutte le persone e di tutte le comunità, e negherebbe l'eredità di ciò che significa essere americani». 


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