Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, la grande caccia ai mafiosi dopo la cattura di Totò Riina. Uno dei magistrati è Alfonso Sabella. Le indagini sono diventate poi un libro, “Cacciatore di mafiosi”.

Non appena il piccolo jet si ferma sulla pista, cinque o sei macchine con i lampeggianti circondano l'aereo. Sembra la scena di un film americano con Bruce Willis. Ma il comandante Mazzacchi, un dirigente della polizia cantonale che ci viene incontro, non porta occhiali scuri, non mastica chewing gum e non ha certo l'aria da duro. È un ticinese gioviale e rubicondo, con un bel paio di baffi biondi, sottili e curatissimi. Ci offre il caffè al bar dell'aeroporto e invita me e Obinu ad andare con lui sulla sua macchina, mentre alcuni dei suoi uomini prendono in consegna Cancemi e lo fanno salire su un furgone. Guardo perplesso il colonnello dei carabinieri che, evidentemente, deve aver fatto il mio stesso pensiero. Un'occhiata dell'ufficiale e tre carabinieri del Ros salgono sul furgone con Cancemi. Anche se hanno lasciato le armi a bordo dell'aereo dove, con i piloti e la hostess, è rimasto un loro collega, hanno l'ordine di non abbandonare un solo attimo il pentito; e la polizia cantonale non ha nulla in contrario.

Il comandante Mazzacchi ci intrattiene piacevolmente nel suo ufficio per un'oretta. Ci parla del suo lavoro quotidiano. A me e a Obinu viene spesso da sorridere quando ci illustra le sue tecniche per incastrare gli automobilisti che superano i limiti di velocità o gli italiani che fanno incetta di sigarette e liquori. Mi chiedo se quell'uomo sia in grado di gestire un'operazione così delicata. Ma mi sbaglio; e di grosso. La polizia cantonale svizzera ci darà una straordinaria dimostrazione di efficienza, preparazione, competenza tecnica.

Intorno alle otto arriviamo in tribunale. Abbiamo un appuntamento con il procuratore del Canton Ticino, Carla Del Ponte, il magistrato elvetico che da tempo forniva la sua preziosa collaborazione agli inquirenti palermitani e che, poco più di quattro anni prima, aveva rischiato di saltare in aria proprio a Palermo insieme a Giovanni Falcone e a sua moglie nella villa dell'Addaura. Era il 1989 e Carla Del Ponte lavorava con il magistrato siciliano alle inchieste sul riciclaggio di denaro e sui grandi traffici di cocaina.

Chi ha messo la bomba sul bagnasciuga della villa al mare di Falcone, fortunatamente scoperta prima che esplodesse, forse voleva fare il colpo doppio. Voleva prendere, come usava dire Riina, i classici due piccioni con una fava.

Non avevo mai conosciuto personalmente la Del Ponte e avvertivo una sorta di timore reverenziale. Ma Carla è molto gentile e affabile. Ci diamo subito del tu e, prima di spostarci nella zona dove dovrebbe essere stato sepolto il denaro, mi fa portare l'ennesimo caffè della mia lunga mattinata: sarà stato il settimo o l'ottavo.

Si cerca il tesoro

Sulla base delle indicazioni di Cancemi, che aveva parlato di un fondo appartenente a un suo zio che aveva vissuto a Lugano, gli svizzeri avevano già trovato il posto: nelle campagne tra Pazzallo e Montagnola, a una quindicina di chilometri dal capoluogo ticinese.

Ci arriviamo con una splendida Lancia Thema Ferrari a disposizione del procuratore cantonale. La macchina, come quasi tutte le veloci berline che aveva la polizia svizzera, era stata sequestrata a qualche contrabbandiere o trafficante di droga. L'efficiente legge della Confederazione stabilisce che quei veicoli, a chiunque intestati, vengano confiscati e assegnati a magistrati e forze dell'ordine. Una normativa simile c'è anche in Italia, ma chissà perché, viene applicata raramente e solo per qualche motorino o vecchia carcassa.

Gli svizzeri hanno già portato Cancemi sul luogo, una collinetta della penisola che si inoltra per qualche chilometro nel lago di Lugano dividendolo praticamente in due. C'è una costruzione di blocchetti di cemento a un solo piano con un paio di stanze a destra e una stalla a sinistra. L'aia davanti la casa è parzialmente coperta da una tettoia in eternit appoggiata su pali di legno. No, non sembra proprio di trovarsi nella campagna svizzera. Nessuna graziosa casetta in legno e muratura con finestre e balconi intarsiati, nessun fienile colorato, nessuna corpulenta vacca pezzata che pascola nelle vicinanze. Potremmo essere a Partinico o a Bolognetta. Si vede che nella zona c'è stata la mano di qualche siciliano, anche se adesso quella casa è di proprietà di un contadino del luogo.

Cancemi è perplesso: «Dottore, il posto è certamente questo. Ma c'è qualcosa che non mi torna. E la tettoia, all'epoca, sicuramente non c'era». Si appoggia allo spigolo sinistro della casa e fa alcuni passi in avanti. «Unu, du', tri, quattru... Provate qui.»

Tre uomini con pale e picconi si avvicinano, ma Mazzacchi li blocca. Da una macchina scendono due tipi in tuta bianca. Uno di loro porta un pesante zaino sulle spalle. Sembra un ghostbuster. Appoggia lo zaino sul punto indicato da Cancemi e ci invita ad allontanarci. È un'apparecchiatura a raggi X. Prudenti gli svizzeri: prima di scavare vogliono vedere cosa c'è sottoterra. Ma nel punto indicato da Cancemi la macchina non dà nessun segnale.

«Qui sotto non c'è nulla» dice sicuro il tecnico «acchiappafantasmi».

«Forse è stato Rotolo. Sarà venuto a prendersi i soldi a mia insaputa. Ma quando lo ha fatto? È in carcere da tanti anni. E poi mi avrebbe lasciato almeno la mia parte. Solo lui e mio zio, oltre a me, conoscevano il posto esatto.»

Invito Cancemi a riflettere meglio. Magari si è sbagliato. Forse la tettoia lo ha confuso. Mi allontano un po' dal gruppo e temo che, nella migliore delle ipotesi, quel viaggio in Svizzera sia stato inutile. Vado verso il bosco a sinistra. Di fronte a noi, dall'altra parte del lago, c'è Campione d'Italia. Magari con il mio telefonino analogico riesco ad agganciare il segnale cellulare della Telecom e a chiamare Caselli. Nulla da fare, non c'è campo.

Prima di tornare alla casupola noto però un certo movimento nella boscaglia e vedo, nascosti tra le frasche, diversi uomini in tuta mimetica. Tutti armati di fucili di precisione con cannocchiali a infrarossi e visori notturni. Non mi aspettavo tanta attenzione ed efficienza da parte della polizia cantonale. Penso ai racconti di Mazzacchi sugli automobilisti indisciplinati e spero di non commettere mai infrazioni al codice della strada elvetico.

Cancemi adesso è appoggiato con le spalle al muro esterno della casa, in corrispondenza del divisorio tra la stalla e le due stanze destinate ad abitazione. Conta ancora quattro passi in avanti e si ferma proprio accanto a uno dei pali che sorreggono la tettoia. Altra Tac al terreno, ma stavolta la macchina emette dei bip e stampa una specie di radiografia. Il tecnico guarda la foto e ci rassicura: «C'è metallo ma non c'è esplosivo. Potete scavare».

Pochi colpi, a una ventina di centimetri dal palo, e uno dei picconi incontra qualcosa di solido. Si allarga il buco prima con le vanghe e poi, delicatamente, con le mani. Affiorano due bidoni di acciaio inossidabile, di quelli con il tappo a vite, normalmente utilizzati per trasportare il latte. Dentro ci sono i dollari, sigillati ermeticamente. In perfetto stato. Li appoggiamo su un asse di legno e li mettiamo in fila. Su tutte le banconote c'è il ritratto di Benjamin Franklin, sono tagli da cento dollari. Contiamo settantotto mazzette da duecentocinquanta banconote ciascuna: un milione e novecentocinquantamila dollari, tre miliardi e mezzo di lire al cambio dell'epoca.

Non avevo mai visto tanto denaro in vita mia.

Cancemi inizia letteralmente a ballare e si produce in una sorta di danza della pioggia sotto lo sguardo basito dei professionali poliziotti ticinesi. Alza più volte le mani in aria in segno di vittoria come in una specie di ola solitaria e ripetuta e si mette a girare in tondo. Come fosse in trance. E non la smette più: «Alè oh oh! Alè oh oh!». Una scena che non dimenticherò mai. È convinto di essersi finalmente guadagnato l'attendibilità, la patente di collaboratore affidabile, anche se gli è costata cara. «Mancano due milioni e cinquantamila dollari» gli dico io per frenare il suo entusiasmo. Cancemi allarga le braccia: «Rotolo sarà venuto a prendere la sua parte o forse l'avrà portata via quando li abbiamo seppelliti e io ricordavo male. E le due mazzette da venticinquemila dollari ciascuno che mancano dalla mia quota probabilmente saranno servite a mio zio, poveretto, per rientrare in Italia».

Mi faccio prestare il cellulare dalla Del Ponte e chiamo in procura a Palermo. Caselli è incredulo. Mi fa ripetere tre volte che avevamo trovato i soldi. Temeva che si trattasse di un bluff di Cancemi, dell'ennesima bufala che ci aveva «servito».

Torniamo al palazzo di Giustizia e chiedo a Carla Del Ponte di autorizzarci a proseguire nelle indagini in Svizzera. Una volta trovati i soldi dobbiamo seguire a ritroso il percorso che hanno fatto.

Cancemi aveva raccontato di essere andato con Rotolo a riscuotere il denaro proveniente dagli acquirenti americani dell'eroina in una banca di Ginevra, banca che sarebbe stato in grado di individuare.

Ma a Ginevra non possiamo andare in quei giorni. Il 16 gennaio nel palazzo delle Nazioni Unite è atteso il presidente americano Bill Clinton per un incontro con il suo omologo siriano Hafiz al-Assad e le misure di sicurezza predisposte dal governo federale sono rigidissime.

Giungeremo solo qualche settimana dopo a individuare la banca e la transazione, estero su estero, dei sei milioni di dollari provenienti da un istituto di credito di Montreal. Ma non riusciremo ad andare oltre perché in Canada i soldi erano arrivati da un anonimo conto acceso presso una sorta di finanziaria di Panama che adesso non esisteva più, come non esistevano più i relativi documenti contabili, sempre che ci fossero mai stati.

Il bilancio della missione è però certamente positivo. Penso alla possibilità di recuperare almeno in parte l'attendibilità di un collaboratore che poteva essere veramente prezioso come Cancemi, al fatto di aver tolto a Cosa nostra una piccola porzione dei suoi profitti conseguiti vendendo morte e, poi, a quei tre miliardi e mezzo di lire che entreranno nelle casse dello Stato e che, spero, serviranno a finanziare il contrasto a Cosa nostra.

I soldi restano in Svizzera

Sull'ultimo punto, però, mi sbaglio. Non ho fatto i conti con la competenza degli svizzeri in materia di soldi e con la furbizia di Carla Del Ponte. Forse non a caso, appena tre mesi dopo, verrà nominata procuratore federale. Si fa portare Cancemi in ufficio e, incurante del fatto che non sia assistito da un difensore, lo interroga ugualmente e si fa mettere per iscritto che si tratta di denaro proveniente dalla vendita di droga. Io non posso far niente per contrastarla. Siamo a casa sua e lì comanda lei. Sulla base della legge federale elvetica tutto ciò che è comunque riconducibile al traffico di stupefacenti e che si trova nel territorio svizzero deve essere confiscato. Le obietto che il ritrovamento del denaro è avvenuto a seguito di una rogatoria internazionale richiesta dal nostro Paese dove, peraltro, si è svolta gran parte dell'attività criminosa e cui, quindi, devono essere consegnati i soldi. Carla mi invita allora a consultare i documenti della rogatoria e mi fa notare che ci aveva autorizzato solo l'ispezione del terreno e non il sequestro del denaro che pure noi avevamo richiesto. Nulla da fare. I dollari restano in Svizzera. Inutili le mie proteste e rimostranze e, poi, tenuto conto dei buoni rapporti tra i nostri Paesi, non è il caso di andare oltre. Mazzacchi, forse per farsi perdonare della beffa, ci invita tutti a cena in un ottimo ristorante e l'indomani, quando andremo a pagare il conto in albergo prima di tornare in Italia, scopriremo di essere stati ospiti della polizia ticinese. Forse era destino che quel denaro rimanesse agli svizzeri. Mi viene spesso in mente il nuovo proprietario del terreno di Montagnola, quello che aveva costruito la tettoia e aveva piazzato i sostegni. Se avesse infisso i pali qualche centimetro più in là avrebbe certamente scoperto quel tesoro. Anche se, probabilmente, non sarebbe campato a lungo per goderselo.

copertina libro sabella cacciatore

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