Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Ancora una volta è dato registrare che l’evento, a cui avevano partecipato Raffaele, Domenico, Calogero Ganci, Salvatore Cancemi e Antonino Galliano, è stato descritto per conoscenza diretta da ben tre imputati, per cui, la ricostruzione che ne deriva può definirsi, sotto l’aspetto descrittivo, completa ed esauriente.

Nella sostanza, […] si rileva accordo generale sul fatto che erano i tre giovani del gruppo ad occuparsi materialmente del pedinamento della Fiat Croma, e analoga convergenza si riscontra anche sui mezzi usati per lo scopo, cioè il “vespone 150” guidato da Calogero Ganci, il ciclomotore Peugeot in uso a Domenico Ganci e lo Sfera Piaggio guidato da Galliano, a nulla rilevando la discordanza sui colori dei singoli ciclomotori, costituendo questa circostanza di secondo rilievo, in ordine alla quale ben può giustificarsi il ricordo impreciso dei narratori. […] Anche la suddivisione del percorso fra i singoli pedinatori relativamente al tragitto che la Fiat Croma di solito percorreva, costituisce dato su cui si è registrata concordanza fra le dichiarazioni di Ganci e Galliano: […]. E’ altresì condivisa dai due anche la circostanza che le operazioni di pedinamento fossero concentrate nella mattinata, e che nel pomeriggio gli eventuali spostamenti della Croma erano comunque controllati dalla macelleria dei Ganci.

Tale ultima affermazione non trova alcuna smentita dal tenore della deposizione del teste Aristide Galliano, che lavorava in quel negozio come inserviente, perché risulta chiaramente sia dall’esame di Ganci che da quello di Galliano, che il controllo dell’autovettura nel pomeriggio era, per così dire, “dinamico”, nel senso che gli operatori non rimanevano fermi alla macelleria, ma usavano spesso recarsi al bar Ciro’s per assicurarsi con maggiore sicurezza di quella che poteva scaturire dalla visione che si aveva dal negozio, che la macchina fosse ferma nel parcheggio.

Continuando nella rassegna degli accadimenti sui quali vi è convergenza secondo il racconto degli imputati, va rilevato che essi concordano sul fatto che spesso accadeva che Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi nel corso degli appostamenti mattutini seguissero i pedinamenti in macchina, e che erano soliti raggiungerli sotto i portici che si trovavano di fronte al Palazzo di Giustizia, da dove insieme controllovano la posizione della macchina e i successivi spostamenti.

A tal proposito è opportuno segnalare che i predetti si spostavano a bordo della Fiat Uno grigia nella disponibilità di Salvatore Cancemi. […] Sia Ganci che Galliano hanno concordato poi sul fatto che per ognuno di loro il conferimento dell’incarico era avvenuto ad opera di Raffaele Ganci nella macelleria, e che nell’occasione era presente Salvatore Cancemi.

La famiglia Ganci a disposizione

Quanto all’inizio delle operazioni di pedinamento, Galliano lo ha collocato verso la metà di aprile, mentre invece Calogero Ganci ha ancorato il suo primo intervento a due o tre giorni prima rispetto alla mancata partenza per Bologna (fissata per il 14 maggio), che è facilmente individuabile grazie al fatto che è presente in atti il biglietto che l’imputato aveva acquistato per l’occasione.

[…] Quel che importa sottolineare è che sia Ganci che Galliano hanno concordato sul fatto che l’attività svolta da aprile fino a metà maggio circa aveva già consentito al gruppo di conoscere non solo gli orari dei movimenti nel corso della mattinata della Croma, che si muoveva dal parcheggio intorno alle nove per farvi poi ritorno per le 13.30, ma anche un ulteriore informazione, di rilievo eccezionale, costituita dall’accertamento della frequenza dei rientri del giudice in città, che si concentravano nei giorni ricompresi dal venerdì al sabato.

L’acquisizione di tale dato avrebbe consentito poi di fissare i termini dell’attività di appostamento del commando esecutivo che, come si sarebbe appreso successivamente, aveva costituito informazione che il gruppo operativo a Capaci aveva ben chiara ormai da tempo, posto che subito dopo il caricamento del condotto si era tecnicamente già in grado di procedere se il dott. Falcone fosse arrivato a Palermo.

Se tutto quanto precede costituisce ricostruzione altamente verosimile dei fatti accaduti, deve allora dirsi che la decisione presa da Raffaele Ganci in ordine al coinvolgimento del figlio Calogero nell’attività di pedinamento era stata presa in quel frangente temporale, perché egli aveva realizzato che, una volta effettuato il caricamento del condotto, l’attentato avrebbe potuto svolgersi in qualsiasi momento, per cui era essenziale non perdere i movimenti della macchina.

Si spiega così, il motivo, a cose ormai fatte, dell’intervento di Calogero Ganci, che assume un senso pregnante proprio se posto in questi termini.

Ma c’è anche un’altra considerazione che spinge a concludere nel senso appena indicato.

Raffaele Ganci, a detta del figlio, gli aveva già comunicato di non passare da quel tratto di autostrada verso i primi di maggio, senza però dare ulteriori spiegazioni del divieto al figlio, che aveva comunque recepito che in quel posto si stava preparando qualcosa di importante, che avrebbe potuto mettere in pericolo la sua incolumità se avesse attraversato la zona.

Orbene, se l’esigenza di coinvolgere il figlio fosse stata diversa da quella indicata in precedenza, Raffaele Ganci avrebbe richiesto l’intervento del figlio già in quel frangente, e cioè agli inizi di maggio: poiché così non era stato, deve ritenersi che la richiesta era giunta tardivamente solo perché il Ganci voleva essere sicuro che, una volta che si entrava nella fase in cui poteva realizzarsi l’attentato, venisse completamente azzerato il rischio di perdere le traccie della Croma all’atto in cui si sarebbe diretta verso Punta Raisi a prelevare il giudice. Va altresì sottolineato che Raffaele Ganci avvertì la necessità di coinvolgere anche il figlio Calogero oltre Domenico, anche in virtù del fatto che il nipote Galliano non poteva assicurargli una presenza costante, poiché aveva il problema delle assenze dal lavoro, che se possibili per i fine settimana, dato il tipo di impiego svolto (bancario), non consentivano grossi margini di movimento al di fuori dei permessi o dei recuperi, che loro stessa natura non potevano che essere saltuari.

Il falso allarme

[…] Occorre a questo punto soffermarsi sul significato di due episodi, sulla cui esistenza hanno concordato sia Ganci Calogero che Galliano: il primo attiene alla volta in cui i pedinatori avevano perso di vista l’auto, il secondo al giorno in cui invece solo Calogero Ganci era riuscito a starle dietro, fino a seguirla in un capannone sito nei pressi dell’autostrada.

Galliano, che è a conoscenza di entrambi gli episodi, ha collocato questo secondo fatto nella settimana precedente la strage, ed il il primo due settimane prima della stessa. Ganci invece non è così preciso e si è limitato solo a porre come intervallo fra i due eventi un paio di giorni circa.

E’ possibile, allora, che quando che gli operatori avevano perso di vista la Fiat Croma e che solo Calogero Ganci era riuscito a starle dietro, si fosse verificato quel famoso “falso allarme” di cui hanno riferito poi anche Brusca e La Barbera per averlo appreso da Salvatore Biondino.

E’ verosimile cioè che Ganci, unico a non aver perso le traccie della macchina grazie alla maggiore potenza del mezzo di cui disponeva (di cilindrata 150), avendo visto che la macchina andava verso la circonvallazione e poi in direzione dell’autostrada, aveva pensato giustamente che l’auto stesse per recarsi all’aeroporto, e dunque aveva messo in moto il meccanismo che doveva condurre ad allertare gli operatori che stanziavano a Capaci.

Deve altresì ipotizzarsi che una volta accortosi che invece la macchina si fermava al capannone industriale, sito in una strada che lambiva a carreggiata dell’autostrada, nei pressi di Villabate, l’imputato avesse fatto in modo di fermare l’ingranaggio.

A conforto di tale ricostruzione è emerso dall’esame del traffico cellulare acquisito in atti, che nella giornata del 14 maggio vi erano stati dei contatti telefonici particolari fra il cellulare in uso a Domenico Ganci (quello intestato cioè a Ruisi, lo 0336/890387) che aveva chiamato quello di Ferrante alle 7.32, alle 7.58, alle 9.06 e alle 9.09, e successivamente fra Ferrante e La Barbera alle 9.11.

Potrebbe dunque essersi verificato quella mattina che gli operatori avessero visto la Fiat Croma allontanarsi dal parcheggio, l’avessero seguita, poi l’avessero persa di vista ad eccezione di Calogero Ganci, che avendo visto che imboccava la circonvallazione avvertì il fratello, che a sua volta chiamò Ferrante, probabilmente in più riprese, per confermargli che la direzione imboccata era quella giusta. Le successive chiamate, quelle delle 9.06 e delle 9.09, potrebbero essere quelle con cui Domenico Ganci aveva avvisato del falso allarme Ferrante, che a sua volta, aveva chiamato La Barbera per disattivare i preparativi.

Altro dato che va segnalato è che sempre nella stessa giornata risulta, da attestazione della Corte d’Appello, che la Fiat Croma era stata sottoposta a lavori di manutenzione presso la ditta “Centrogomme s. n. c.” , per cui è ben possibile che la direzione segnalata da Ganci preludesse all’imbocco della strada che doveva condurre all’officina autorizzata.

L’uso di tale espressione è imposto da una dovuta prudenza, frutto della circostanza che Costanza Giuseppe, l’autista della Croma, non ha ricordato di essersi recato nella zona di Villabate con la macchina di servizio nei giorni precedenti l’attentato: vero che emerge dall’attività di riscontro svolta dal personale della Dia che esistono diversi capannoni che costeggiano l’autostrada prima dello svincolo per Villabate, ma nessuno di essi ha a che fare con un officina di riparazione, trattandosi in un caso di un deposito di prodotti chimici, e nell’altro di una fabbrica di ghiaccio. E’ possibile allora che il teste vi si sia recato per motivi personali prima di andare all’officina, e che obiettivamente non sia stato in grado, in dibattimento, di ricordare il motivo della sosta a causa delle amnesie che lo hanno afflitto in esito allo shock derivato dall’attentato.

D’altro canto, va anche sottolineato che Ganci Calogero, una volta accertato che la macchina si fermava presso uno dei capannoni, era andato via, per cui è ben possibile che l’autista, dopo tale sosta, si fosse diretto verso l’officina di riparazione.

Del resto non è possibile ritenere che il falso allarme di cui hanno parlato concordemente anche Brusca e La Barbera, sia identificabile con l’altro episodio, quello relativo alla perdita delle tracce della macchina da parte di tutti i pedinatori.

In tale caso infatti non avrebbe avuto senso, se si era persa la Fiat Croma, allertare il gruppo di Capaci perché a quel punto non c’era più nessuna sicurezza sulla direzione che avrebbe preso la macchina: non era ragionevole cioè che, a fronte della meticolosità, precisione e puntualità con cui era stata elaborata la strategia esecutiva, che un particolare così vitale, quale il lancio del segnale, potesse essere rimesso al mero caso.

Se la ricostruzione indicata è verosimile, può farsi allora un ulteriore passo avanti per ricollegare quest’ultimo episodio al rientro in Palermo del dott. Falcone il 18 maggio: come si è già visto in precedenza, in occasione dell’esame delle deposizioni dell’addetta alla segreteria della Direzione Affari Penali del Ministero dell’impiegata dell’agenzia di viaggi di Palermo ove il magistrato era solito servirsi quando si spostava con i voli di linea e dello stesso autista, Costanza Giuseppe, il dott. Falcone era tornato in Sicilia in quella data, che cadeva di lunedì della stessa settimana nella quale è ricompreso il giorno della strage, cioè sabato 23 maggio.

Tale ipotesi troverebbe conforto nell’indicazione della consequenzialità temporale che secondo Ganci Calogero lega questo episodio al primo già descritto, essendo i due fatti intervallati secondo i suoi ricordi da un paio di giorni, perché come si è già visto, quest’ultimo risulta fissato per il 14 maggio, che dunque dista quattro giorni dall’altro, ben compatibile quindi con la ricostruzione dell’imputato.

Altro dato che coincide è quello relativo al momento in cui la macchina era rientrata al posteggio, che Ganci ha indicato nel pomeriggio, dato che risulta anch’esso compatibile sia con la previsione dell’andata all’aeroporto per consentire al giudice il rientro nella capitale nella stessa giornata, che con le dichiarazioni del Costanza.

Uccidere il giudice una settimana prima

[…] Gli imputati [...] ammettono di essere venuti a conoscenza del fatto che il dott. Falcone era stato a Palermo prima del 23 maggio, e addirittura in compagnia del dott. Borsellino: tale circostanza, riferita concordemente, secondo gli imputati, al gruppo operativo da Salvatore Biondino, aveva costituito fonte di rammarico per gli operatori, perché era andata persa la possibilità di eliminare in un sol colpo due dei magistrati più pericolosi per la sopravvivenza di Cosa Nostra.

Se è possibile quindi rilevare dalle dichiarazioni dei collaboratori il disappunto per l’occasione persa, può anche sostenersi che chi aveva riferito loro l’episodio aveva ben contezza del fatto che in quel frangente doveva essere già tutto pronto per far saltare l’autostrada, quindi orientativamente l’accadimento è collocabile dopo l’8 maggio.

I dati acquisiti in virtù delle dichiarazioni degli imputati consentono di calibrare meglio la collocazione temporale dell’evento: se infatti l’intervento di Calogero Ganci nel gruppo dei pedinatori è stato fissato in precedenza due o tre giorni prima il 14 maggio, poiché l’imputato ha riferito dell’episodio per averlo vissuto in prima persona, allora è possibile restringere ulteriormente l’arco temporale per affermare che il fatto si realizzato fra il 12 e il 23 maggio.

[…] Come ben si comprenderà allora, se è dato incontestabile che il 18 maggio il dott. Falcone fosse in Palermo, e se l’episodio del mancato avvistamento della Fiat Croma tende, secondo le dichiarazioni degli imputati, ad avvicinarsi a tale data, la tesi secondo cui il giorno in cui essi avevano perso di vista la Croma era proprio il 18 maggio non appare destituita di fondamento.

Vero che Giovanni Brusca ha ricostruito il fatto in modo diverso, sostenendo che l’occasione era andata persa perché trattandosi di un lunedì, e quindi di un giorno al di fuori di quelli ricompresi nel fine settimana, gli operatori non erano pronti nelle loro postazioni, non facendo pertanto alcun collegamento fra l’episodio e il fatto che i pedinatori avevano perso di vista la macchina.

Le considerazioni espresse dall’imputato non devono però fuorviare, perché quella riportata è l’opinione di Brusca, cioè di un imputato che ha avuto la responsabilità della direzione delle operazioni per quanto atteneva al settore relativo al gruppo che doveva operare in Capaci e nei pressi dell’aeroporto. […].

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