Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questo mese tocca al racconto dei Casamonica.

Nella loro ostentata affermazione di potere, la televisione è un veicolo affascinante ma anche un problema. Ne parla al telefono Luciano Casamonica, classe 1968, che finirà coinvolto nella maxi retata del luglio 2018. Al telefono con un confidente Luciano spiega i suoi dubbi su una possibile partecipazione a un programma televisivo. Il “nullafacente” teme che in tv lo faranno nero. È il 18 settembre 2015, appena un mese dopo il funerale show di “zio” Vittorio.

Ma anche l’altro Luciano, la comparsa, è andato in tv quando la sindaca Virginia Raggi ha dato ordine al comando dei vigili urbani, guidati dal comandante Antonio Di Maggio, di abbattere otto ville abusive in località Quadraro. Tra queste, anche la villa in zona vincolata costruita da Luciano sull’acquedotto Felice. Il Casamonica in tv ha urlato: «Hanno mandato via i bambini, e un’ingiustizia. Adesso i bambini non vanno più a scuola. Io sono italiano, non sono straniero. Se noi eravamo criminali facevamo guerra oggi».

Gli abbattimenti dovrebbero essere a spese degli abusivi, ma con i “nullafacenti” c’è poco da chiedere.

I piagnistei televisivi

La tv viene usata come veicolo della loro lagnazione: «Siamo solo zingari», «Tutti sbagliano», «Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio», «Abbiamo bambini». Di rado si fanno intervistare e aprono le porte delle loro dimore. In tv finisce, per esempio, Guerino Casamonica, detto Jonny, immancabilmente presente alla festa con l’accompagnamento sonoro di Mauro Nardi. Si fa intervistare dalle Iene e racconta la sua verità: «Noi abbiamo una casata che si occupa di cavalli. Io ho cose vecchie nella fedina, abbiamo qualcosina. Io ho pagato per il cognome. Ho pagato per il cognome. Io non ho i rubinetti d’oro. Dove esce questa parola clan, noi non abbiamo requisito per il clan. In tutte le famiglie, le razze c’è il buono, brutto e cattivo. Anche nei Savoia c’erano i cattivi. Siamo persone normali, figli di Dio. Abbiamo le Ferrari, le compriamo risparmiando. Mio padre ha fatto i soldi con i cavalli. Questo qui è il matrimonio a piazza Venezia con i vigili urbani a fare il picchetto d’onore a pagamento. E Mario Merola cantava».

Il servizio, hanno precisato, è stato realizzato qualche mese prima. E, infatti, Guerino finisce in carcere, nel luglio 2018, per scontare una condanna definitiva per una storia di estorsione. E il padre di Antonio, protagonista del pestaggio in un bar della Romanina, quando i Casamonica sono tornati di nuovo sul piccolo schermo. In televisione ci tornano, infatti, nel maggio del 2018 inquadrati dalle camere di sicurezza di un bar di via Barzilai, il centro del loro feudo. Una di quelle storie di violenza che trapelano dalle maglie della cronaca minore della Citta eterna. Antonio Casamonica e suo cugino Antonio Di Silvio entrano nel Roxy bar per comprare le sigarette, ma non vogliono aspettare la fila.

«Qui è tutto nostro, noi siamo i padroni», dicono. Poi si scatena la violenza: una donna disabile viene presa a cinghiate, il bar devastato. I due se ne vanno, ma poi tornano per vendicarsi col barista. Lo raggiungono dietro il bancone e cominciano a picchiarlo.

Il barista che li sfida

Il barista è un ragazzo rumeno di nome Marian Roman. Lui e la sua compagna Roxana, anche lei rumena, decidono di denunciare. Quando gli offrono soldi per riparare i danni, non cedono. «Abbiamo paura perché non lo sai cosa può succedere, io resto fino a tardi, passano i parenti con le macchine», raccontano.

Quando lo incontro alla Romanina, Marian indossa una maglietta verde militare, sguardo fiero, capelli cortissimi. Parla poco, ma affonda il colpo: «Io lo Stato non l’ho visto, ma non vado via. Io rifarei la denuncia senza problemi».

Mentre un via vai di giornalisti e politici entra ed esce dal bar, cammino lungo la strada dove un’anziana signora si ferma a parlarmi: «Si faccia un giro e mi dica se trova un negozio, alimentari, qualcosa, noi non abbiamo niente. Siamo dimenticati da Dio, da tutti. Ho ancora un sogno: andare via, ma chi se la compra casa mia?». Incrocio chi in questo quartiere viene solo a lavorare, è dipendente di una multiservizi: «Io ho paura anche di venirci in questo posto. È tutto loro e quando non è loro non pagano o sfasciano ogni cosa. Qui è la loro grande piazza di spaccio, ovunque e a tutte le ore. Offrono droga e soldi a strozzo, il loro eterno affare».

Poi ci sono quelli che tutto questo sfracello non lo vedono e pensano che le regole siano orpello da eliminare. In un parco dove bambini giocano tra cartacce e bidoni stracolmi, incontro un ex rapinatore, affiliato a una delle tante batterie che a Roma si dividevano bottini e rapine. «Io magari sto a casa, mi servono mille euro. E pure una cosa comoda averceli vicino, offrono un servizio. Loro, rispetto ad altre criminalità, si sono sempre fatti i cazzi loro, abbiamo avuto un rapporto di buon vicinato. Comunque, se ci sono è perché c’è una domanda: soldi e droga.»

Le parole che risuonano in questa landa sono poche, il silenzio è regola d’oro.

Testi tratti dal libro di Nello Trocchia "Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma". Testi, nomi e processi sono riportati nella serie del blog Mafie così come presentati nel libro, aggiornati dunque al 2019.

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