Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questo mese tocca al racconto dei Casamonica.

Alle quattro del mattino parcheggio l’auto, e quando parcheggi a quell’ora attorno è solo nero, un lampione irradia luce, ma è distante, arriva appena un anelito, un soffio, ma la notte non arretra, piomba nel silenzio di un quartiere dormitorio. Ho passato il pomeriggio a pochi isolati da qui. Sono tornato in via Rocca Bernarda, un vicolo senza uscita e per lo Stato senza entrata.

Al civico 15 mi fermo. C’è un muro a destra e a sinistra, il cancello non c’è piu, neanche il citofono. Appena varchi l’ingresso di questo enorme giardino, c’è un ulivo, pianta secolare, simbolo di pace, di saggezza, che dietro i suoi rami, la sua ombra nasconde una villa stile Scarface, copia sbiadita – come tutte le copie – di quella di Tony Montana, il gangster cubano che nel film ne aveva una a Miami, tirata su con i soldi del traffico di droga.

L’avevo già vista questa villa, anni fa. Salgo i gradini, la porta non c’è più. L’ingresso è incorniciato da due rampe di scale a gomito e subito mi torna in mente la scena finale con Al Pacino che imbraccia un fucile m16 mentre crivella di colpi i sicari.

Salgo le scale, niente scorrimano, niente marmi, solo qualche lastra sopravvissuta ai ripetuti saccheggi. In una stanza ci sono panni stesi e un materasso. Qualcuno sembra la abiti, all’esterno calcinacci come se ci fossero lavori in corso. Sono i continui e ininterrotti vandalismi alla quale è stata sottoposta.

È dello Stato questa reggia, confiscata nel 2012. La prima volta che ci andai, nel 2015, era ancora occupata. Oggi resta poco, tra materassi, indumenti e detriti. Qui doveva sorgere un villaggio sociale, centro di prima accoglienza per persone in difficoltà socio-ambientali, sarebbe stata la risposta dello Stato. Ma in mezzo a una selva di atti, pareri, delibere, prese di posizione, al momento la reggia resta in imbarazzante stato di abbandono.

L’ultimo atto dei vigili urbani recita: «Viene paventata l’occupazione abusiva di tale immobile da discutere in una riunione indetta per il 14 dicembre 2016 presso la Prefettura». Intanto che decidono, della villa resterà, forse, solo l’ulivo.

Abusi edilizi continui

La storia di questa villa ricalca quella dell’intero quartiere. Niente, qui, ha fermato l’edilizia creativa e abusiva. Nel 2000 era solo una casa con tre vani e un terreno di 2500 metri quadrati. Poi arrivano i nostri. Di abuso in abuso cresce la reggia.

Un anno dopo: «Realizzazione di numero 2 piani con struttura in cemento armato mediante posa in opera di numero 16 pilastri in cemento armato alti 3 metri». Nel 2003 si materializza Scarface: «Realizzazione scala in cemento armato dal seminterrato al solaio di calpestio del piano terra e altre 2 scale semicircolari parallele dal solaio del piano terra al solaio del primo piano a mansarda, applicazione intonaci esterni, posa controtelai, porte e finestre, opere di impermeabilizzazione alla copertura a tetto con tegole e gronde».

A pochi metri da me c’è la fermata del bus, il notturno qui non passa e per vederne uno bisogna aspettare le 5.20. Troppo, tutto succederà prima. Mi hanno detto che il pestaggio del barista e della disabile al Roxy bar ha fatto troppo rumore e arriverà una risposta dello Stato.

Accendo il faretto del cellulare, opzione torcia, attraverso la strada e davanti a me c’è un negozio con la serranda abbassata, una bottiglia di birra rotta a terra, una vecchia insegna con su scritto bar e il cartello vendesi. Mentre conto i minuti, penso al pomeriggio trascorso e ripenso al mio tour nel vicolo senza Stato, da lontano lievita un rumore. Sono le 4.30 e le sirene sfidano il buio.

Sfreccia la prima auto, rallenta e gira a sinistra su via Barzilai. Poi la seconda segue poco dietro, e la terza e poi la quarta con i lampeggianti accesi. È luce, adesso. È frastuono, adesso. È giorno, adesso. A piedi corro dietro le auto, imbocco il vicolo a sinistra. Ho l’affanno. I poliziotti sono una quarantina. Partono piano. Citofonano. Cercano Alfredo Di Silvio. Una signora si affaccia: «Ma che è successo, e morto qualcuno?». I poliziotti aspettano, pazientano, poi un gruppo scavalca il balcone e sfonda una persiana di ferro. Dentro lampadari, una consolle, tappeti, assaggi della casata. Dei ricercati nemmeno l’ombra. In lontananza sento rumori. Poco sotto abita Antonio Casamonica, classe 1992. Tocca correre, di nuovo. Arrivo all’incrocio con via Devers. Qui è sempre stato fortino del clan, spaccio di droga, piazza aperta ventiquattr’ore al giorno. Quando “le guardie” mettevano le telecamere duravano quattro giorni, poi il segnale si interrompeva. Ogni villa è videosorvegliata, recintata e monitorata da vedette. Spesso i parenti con disabilità o problemi fisici vengono messi a presidio, sentinelle nel caso di arrivo delle forze dell’ordine.

Vietato riprendere

I poliziotti, però, ora devono catturare Casamonica. Le donne, quando vedono la mia telecamera, urlano, strepitano, si inferociscono. «Faccia di merda ti levi», il fratello dell’arrestato precisa i termini della contesa: «Ti do una mazzata ti faccio andare per terra».

Volano cellulari, perfino una ciabatta, una donna colpisce la telecamera, i poliziotti ci fanno indietreggiare. «Qui e casa nostra» mettono in chiaro i Casamonica. Pochi minuti e arriva una Mercedes, dalla macchina scende Guerino Casamonica, padre di Antonio, quello dell’intervista alle Iene. “Le guardie” non le vede proprio, punta diritto a noi che vogliamo raccontare, fare il nostro mestiere, viene bloccato dagli agenti. «Ancora con ’sta cazzo di telecamera» urla.

La polizia ci dice che non ci sono più le condizioni. Lo stabiliscono i Casamonica quando e se ci sono le condizioni. Smetto di documentare quanto accade; poco distante da me c’è un uomo che sta riprendendo il blitz, ma le donne lo dissuadono. «Ma io sono un poliziotto» dice mostrando la placca distintiva. Però loro non vogliono. E la telecamera viene abbassata.

Neanche allo Stato e concesso illuminare a giorno questo posto diventato fortino, fortino inespugnabile. Due dei quattro ricercati non saranno trovati, si consegneranno l’indomani ai carabinieri lasciando la polizia a bocca asciutta. Antonio Casamonica quando esce dalla Questura e tronfio. Gli chiedo, urlando, perché hanno picchiato una donna. Mentre due agenti lo accompagnano all’auto che lo condurrà in carcere, lui gonfia il petto, alza la testa, guarda in camera e urla: «Pezzi di merda, maledetti, a ’nfami». È la boria della casata, mai doma, mai stanca.

La ruspa

Passano solo pochi mesi e la villa abbandonata di via Rocca Bernarda 15 diventa il set di un’operazione antimafia congiunta tra Regione e Ministero dell’interno. Succede a fine novembre 2018.

Il ministro Salvini sale sulla ruspa e abbatte la villa. Mentre i fotografi immortalano l’evento e il presidente della Regione Zingaretti promette che ora toccherà alle ville di fronte, mi fermo a parlare con una signora. «Avremmo vinto se avessimo realizzato attività dentro la villa in piedi, è un costo gigantesco l’abbattimento, certo è un segnale, ma distruggere non è mai una vittoria piena.» A fianco a lei c’è un signore anziano con la camicia: «Questi non hanno capito chi sono i Casamonica.

I giovani sono ancora più agguerriti, hanno un mare di soldi. Mica vanno a vivere in baracca: quello a cui hanno confiscato e ora, dopo dieci anni, abbattuto questa villa vive in un’altra che è il doppio».

Testi tratti dal libro di Nello Trocchia "Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma". Testi, nomi e processi sono riportati nella serie del blog Mafie così come presentati nel libro, aggiornati dunque al 2019.

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