Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni, a cura dell’associazione Cosa vostra. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Trame, festival dei libri sulle mafie di Lamezia Terme, con 15 articoli sui temi al centro degli incontri del Festival.

In Calabria, e in particolar modo a Reggio Calabria, la mia generazione è cresciuta dentro una mistificazione: l’idea dell’ineluttabilità della ‘ndrangheta e della rassegnazione, e quindi dell’inevitabile sconfitta di un popolo nei confronti dei suoi carnefici. D’altra parte erano i tempi della seconda guerra di ‘ndrangheta: 800 omicidi in poco più di cinque anni (1985 – 1991) e una città piegata dal dolore e dall’odio sono macigni sul sentire e il destino di una comunità.

Era però, appunto, un inganno: non era stato sempre così, non sarebbe stato sempre così e lo abbiamo presto scoperto. Infatti mentre cresceva una ‘ndrangheta forte, in Calabria nasceva e prendeva vigore anche un movimento di donne e di uomini che al potere dei clan si opponeva con coraggio e determinazione.

È stato il movimento per l’occupazione delle terre e per i diritti sul lavoro, delle lotte politiche e delle vertenze ambientaliste, delle denunce della Chiesa e dei conflitti sociali, dei cortei studenteschi e del pacifismo. Decine di migliaia di calabresi sono stati protagonisti di un movimento antindrangheta imponente e popolare che – pur tra ovvie contraddizioni e fragilità – ha saputo interpretare i processi sociali ed economici della propria terra, ha colto le connessioni tra antimafia, diritti e libertà, ha (a volte e persino) cambiato il corso degli eventi, ha capito l’essenza della ’ndrangheta ben prima (come dovrebbe, sempre, un movimento antimafia) della magistratura. Certo, è stato sovente tradito, spesso è stato costretto a piegarsi alla sconfitta, ma non s’è mai dato per vinto. Nonostante la solitudine. Infatti questo movimento – come sempre per le cose calabresi (come è accaduto anche alla ‘ndrangheta, che del silenzio ha approfittato per diventare la più potente delle mafie) – è stato ignorato o oscurato dal resto del Paese. Ma, soprattutto, è stato dimenticato anche in Calabria, a causa di classi dirigenti indecenti e perché le cittadine e i cittadini si sono spesso ripiegati su se stessi introiettando un pericoloso sentimento di impossibilità del cambiamento. Un doppio furto al futuro di un popolo.

La Calabria è invece teatro di una storia lunga e gloriosa (presente, seppur zoppicante, fino ai giorni nostri) che merita di essere raccontata anche oltre il Pollino.

Far uscire dall’oblio le vicende del movimento antindrangheta (dalle battaglie delle donne e dei comunisti del secolo scorso alla grande marcia nazionale Reggio Calabria-Archi del 1991, dalle rivoluzioni nella chiesa ai fermenti giovanili, solo per fare qualche esempio) non è solo il giusto riconoscimento per chi s’è battuto con coraggio, pagando a volte un prezzo pesante. Significa anche restituire un tratto di dignità e identità negata al popolo calabrese e colmare un vuoto di conoscenza sulle lotte per la democrazia nel nostro Paese. Tanto basterebbe. C’è però anche un’opportunità: la storia della migliore antindrangheta – con le sue innovazioni, evoluzioni e scelte irrituali – contiene idee, pratiche e punti di vista straordinariamente contemporanei, che andrebbero analizzati e attualizzati.

Strumenti assai utili per leggere con efficacia le dinamiche nazionali del potere (non solo criminale) e avviare una non più rinviabile discussione pubblica – rigorosa e sincera – sulla necessaria rigenerazione del movimento antimafia italiano e sul futuro della Calabria e dell’Italia.

Storia dell’antindrangheta”, Rubbettino, 2021.

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