Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto del mondo dei cantanti neomelodici legati a boss e malavita.

Ha spiegato il collaboratore di giustizia Giuseppe Tantillo, ex uomo d’onore del quartiere palermitano di Borgo Vecchio: «Allora… il comitato sono sempre persone che scelgono la famiglia mafiosa di solito. Come da sempre conosco io, diciamo, essendo che sono nato in quel quartiere. Conosco anche i comitati che ci sono stati prima e ci sono stati sempre dei personaggi... diciamo persone imparentate fra di loro e il comitato lo facevano loro. Per quanto riguardava l’incasso lo tenevano sempre loro».

Uomini d'onore, dunque, alla guida del "Comitato" che nelle ricorrenze di patroni e santi, organizzava la processione, la festa in piazza e le manifestazioni canore, per le quali venivano bell'apposta ingaggiati noti cantanti neomelodici. Il dettaglio non trascurabile è che, in genere, le spese per le feste sono tante. Luminarie e addobbi richiedono grosse somme di denaro; e soprattutto il concerto in piazza richiede un forte impegno finanziario, la ricerca di sponsor, di finanziamenti e di contributi pubblici e privati. E dove circola gran quantità di denaro, si materializzano anche gli interessi di Cosa Nostra.

Così, con largo anticipo rispetto alla celebrazione della festa, le famiglie mafiose competenti per territorio avviano la raccolta delle somme di denaro necessarie, organizzando la “riffa”, una sorta di “lotto” clandestino utilizzato per estorcere denaro che, in parte, viene impiegato per l’organizzazione della festa e per l’ingaggio dei neomelodici e, in parte, confluisce nelle casse mafiose, destinato al sostentamento delle famiglie dei detenuti e al finanziamento di ulteriori traffici illeciti.

Ancora Tantillo racconta: «Allora, tutti questi soldi che noi prendevamo ogni settimana li gestivamo noi, io e mio fratello Domenico, quindi avevamo diciamo una cassa. Questi soldi, essendo che li avevamo a disposizione e durante l’anno non ci servivano, ma ci servivano solamente quando avveniva il giorno della festa che i cantanti venivano a cantare e li dovevamo pagare, fino a quell’ora noi quei soldi diciamo li riciclavamo, nel senso che prendevamo questi soldi e li utilizzava anche per fare spaccio di droga e cose illecite».

Torna a fare capolino questo tormentone dei cantanti neomelodici, protagonisti di un appuntamento quasi rituale che si presenta ad ogni festa in piazza; giovani e giovanissimi talenti che, in stretto dialetto napoletano, indipendentemente dalla loro origine più o meno partenopea, cantano di passioni e tradimenti, amori perduti e amori ritrovati, che traducono in parole e musica la vita quotidiana dei quartieri popolari, delle periferie, delle marginalità sociali.

Abbiamo tentato di capire meglio chi sono e cosa rappresentano questi neomelodici di terza generazione e la loro musica. E, soprattutto, perché a Palermo come a Napoli, a Torino come a Milano, nelle borgate e nei quartieri popolari, riscuotono un successo intergenerazionale senza precedenti. Le conclusioni cui siamo giunti non sono affatto incoraggianti.

Testi tratti dal libro “La mafia che canta. I neomelodici, il loro popolo, le loro piazze”, di Calogero "Gery" Ferrara e Francesco Petruzzella.

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