Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto del mondo dei cantanti neomelodici legati a boss e malavita.

Una cosa è certa: a Palermo come a Milano, a Napoli come a Roma, appena un neomelodico sale sul palco della festa di quartiere e intona le sue note per esaltare le gesta dei “guaglioni ‘e miezz’a via” o quelle dei latitanti, per manifestare solidarietà ai "poveri carceratieddi" o per insultare pentiti e confidenti, è quello il momento in cui la piazza esplode in un tripudio di cori acclamanti.

Un entusiasmo da brivido che, proprio per le tematiche in gioco, non può essere liquidato come una forma qualsiasi di "delirio di piazza"; anche perché - comunque la si voglia rigirare - non siamo di fronte a chissà quali star dell'universo musicale e l'acclamazione delle folle appare francamente sovradimensionato rispetto allo spettacolo e al repertorio solitamente offerto alla piazza. Eppure, non ci vuol molto a capire che ci stiamo confrontando con un fenomeno strutturato, ben radicato nel “mondo di sotto”, molto più inquietante e complesso di quello che appare, che muove interessi economici cospicui, su cui finora è mancata la necessaria attenzione da parte dei poteri dello Stato. Un fenomeno che – come la palma sale verso nord – ora comincia a manifestarsi con diffusione infestante anche nelle periferie e nei quartieri-dormitorio delle città del Nord.

Studiosi di varie discipline si sono confrontati per trovare un approccio interpretativo comune a questo fenomeno in ascesa, convenendo tutti sul fatto che il canone neomelodico ha portato in musica la metafora di tutte le grandi città socialmente devastate dalla disoccupazione e immiserite dalla crisi economica, dando voce alle tante realtà metropolitane in cerca di identità, sottoposte al rischio quotidiano di un forte condizionamento dei poteri criminali e mafiosi: le storie – recitate più che cantate – sono la descrizione cruda, talvolta sgradevole, delle fasce sociali più marginali e di tutte le periferie e le borgate che vivono nel degrado; sono testi che ritraggono la vita quotidiana degli ultimi, lo stato d’animo e i sentimenti di chi poco ha ricevuto e poco si aspetta di ricevere dalla sorte e dallo Stato, e molto confida sulla benevolenza del padrino e del capobastone; parlano di onore e vendetta, di malavita e carcerati, di droga e violenza, di amori e tradimenti, di sesso e passioni, di famiglie allo sbando e di mille altre esperienze di marginalità suburbana. Su tutto e su tutti, un tema è dominante e comprensivo: tra Stato e anti-Stato, questa musica neomelodica sta dalla parte dell’anti-Stato. Un po’ come il gangsta-rap degli slums americani (una derivazione del rap) o come il narcocorrido, una filiazione spuria del corrido messicano. Possiamo trarne conferma da una veloce ricognizione su Youtube, su cui rintracciamo una massiccia produzione di video più o meno artigianali che accompagnano le prodezze canore di molti autori neomelodici e che si contraddistinguono per la loro capacità di diffondere messaggi di superomismo e malandrineria attraverso la celebrazione di simulati maltrattamenti, rapine e omicidi o attraverso il disinvolto brandire pistole e altre armi da sparo. Non mancano neanche la simulazione di un assalto a un furgone portavalori o le scorribande in motorino, senza casco, mentre i centauri impennano pericolosamente lungo strade affollate.

Insomma, se qualcuno dovesse nutrire ancora dubbi sul senso e sul significato delle parole in musica dei neomelodici, saranno le immagini delle clip a fugare ogni residua perplessità.

Testi tratti dal libro “La mafia che canta. I neomelodici, il loro popolo, le loro piazze”, di Calogero "Gery" Ferrara e Francesco Petruzzella.

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