Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

[…] Al momento della telefonata, che era arrivata da Palermo, sia sul cellulare di La Barbera che su quello di Ferrante, si trovavano nel villino TROIA, GIOE’ e LA BARBERA, che dopo la telefonata erano andati via subito, perchè dovevano accompagnare La Barbera alla sua macchina, per poi andare ad azionare la ricevente. Brusca aveva appreso che o Gioè o La Barbera ne avevano verificato il funzionamento. Lui, insieme a Biondino e Battaglia, si era invece avviato alla postazione, dove poi era stato raggiunto da Gioè ed erano passati prima dal casolare dove era stata nascosta da Battaglia la trasmittente.

Ferrante invece si era avviato verso l’aeroporto: «Dunque, per come già ho raccontato nelle disposizioni che già avevamo prestabilito, cioè il gruppo di PALERMO di GANCI, CANCEMI e GANCI DOMENICO, poi non so se c’erano altre persone per come poi ho saputo, che dovevano controllare PALERMO per verificare quando la macchina del corteo partiva per andare a PUNTA RAISI, e doveva chiamare sia al FERRANTE che a noi, a noi riguardava il telefonino di LA BARBERA, in modo che il FERRANTE si doveva mettere all’uscita dell’autostrada di CARINI in modo che quando vedeva passare le macchine per andare all’aeroporto potesse seguirle, in modo che arrivando all’aeroporto si fermasse in un punto dove vedeva uscire il Dottore FALCONE mettersi in posizione molto chiara per vedere in faccia proprio, doveva vedere visivamente il Dottore FALCONE per dire 100 per 100 è sulla macchina; dopo avere preso questa conferma al 100 per 100 il FERRANTE doveva chiamare a LA BARBERA, però già noi avevamo avuto la stessa telefonata che il FERRANTE aveva avuto perché mentre lui faceva questa opera di andare all’aeroporto noi dovevamo andare ad azionare la ricevente nel cunicolo, dunque, nel mentre che FERRANTE va all’aeroporto in attesa che il giudice FALCONE scende dall’aereo e si metta in macchina, il gruppo quello che siamo nel casolare, siamo io, FERRANTE, io, LA BARBERA, GIOE’, TROIA, BATTAGLIA e BIONDINO. E allora, BATTAGLIA, TROIA, GIOE’ e LA BARBERA se ne vanno, perché dovevano andare ad azionare il, la ricevente.. eravamo nel villino adiacente. Dunque, e subito ci, no, ci spostiamo poi nel casolare per 5 minuti, 10 minuti perché il BATTAGLIA è andato a prendere subito, no è andato a prendere l’avevamo già a disposizione nel casolare, dal casolare parto io, BIONDINO, io e BIONDINO partiamo per la collina e BATTAGLIA GIOVANNI, GIOE’, LA BARBERA e TROIA scendono verso giù, uno perché devono andare ad azionare il, la ricevente, due perché dovevano accompagnare il LA BARBERA nella macchina in quanto non l’aveva posteggiata nelle vicinanze del villino per non credere troppa confusione. Il GIOE’ dopo avere azionato il telecomando avendo contastato 100 per 100 che tutto era al posto veniva...GIOE’, non so io, da lì sono partiti GIOE’, LA BARBERA e TROIA che dovevano azionare la ricevente ed accompagnare il LA BARBERA per mettersi in macchina per andarsi al punto dove stabilito nella strada parallela all’autostrada, quindi poi se l’ha azionato LA BARBERA o l’ha azionato GIOE’ questo non glielo so dire perché io non ero presente, però a me mi interessava che GIOE’ quando tornava aveva la conferma 100 per 100 che tutto era al posto».

Sul punto ritorna in esito a contestazione del Pm tratta dal verbale del 4 settembre 96 e spiega così il senso delle dichiarazioni rese: «Signor Presidente, come ho detto questa mattina io non posso ricordare con precisione quello che hanno potuto fare gli altri, io mi ricordo precisamente quello che ho fatto io. Quindi, sugli altri ci può essere sempre un momento di confusione, non di confusione, penso una cosa e possibilmente ne può aver fatto un’altra, però quello che ricordo che quelli che hanno avuto l’incarico di andare ad azionare il telecomando è stato: LA BARBERA, GIOE’ e il TROIA. Il TROIA perchè doveva accompagnare al LA BARBERA nella macchina in quanto la macchina non l’aveva posteggiata vicino al casolare, ma bensì l’aveva posteggiata in un posteggio nella periferia, vicino la statale 113. Quindi, il TROIA necessariamente doveva andare ad accompagnare il LA BARBERA. Il GIOE’ ci doveva essere ugualmente perchè venendo poi a trovare me, confermandomi che tutto era andato a posto, cioè era stato azionato il telecomando, era stata levata la custodia del chiodo, del chiodo per fare la massa alla ricevente. E tutto era stato appeso l’antennino, perchè nell’antenna abbiamo messo una bacchettina, cioè per stare all’impiedi, per avere una efficienza molto più proficua. Quindi, in linea di massima credo che non ci sia un grosso spostamento di quello che ho detto allora e quello che sto dicendo oggi. Io ricordo precisamente che questi tre hanno avuto questi compiti, se poi fra di loro li hanno cambiati non glielo so dire».

Espletati questi adempimenti preliminari, era tutto pronto per passare all’azione: il commando operativo che si trovava sul luogo scelto per azionare la carica, era formato da Brusca, Gioè, Battaglia, ( quest’ultimo doveva poi distruggere tutto quanto era servito per l’esplosione), e Biondino, che era rimasto di guardia all’inizio della stradella.

Squillano i cellulari

Di lì a poco era arrivata la telefonata di La Barbera, preavvisato a sua volta da Ferrante, che aveva preannunciato l’arrivo del corteo delle macchine, ed aveva fatto intendere all’interlocutore, Gioè, che la velocità delle auto era inferiore rispetto a quella che loro avevano preventivato: «Dopodiché il LA BARBERA se ne va per il suo compito, per andare al punto specifico per andarsi a posizionare nella strada parallela all’autostrada, il GIOE’ mi viene a trovare e si mette alla posizione del cannocchiale, io mi metto con il telecomando in mano, il BATTAGLIA in attesa che tutta l’operazione per prendersi il telecomando, lo sgabello e il cannocchiale; il BIONDINO mi aspetta all’entrata della stradella perché era ostruita da un recinto dal terriccio e noi dovevamo fare circa 100-120 metri, 150 metri a piedi e il BIONDINO ci aspettava all’inizio della stradella. Quindi, dopo tutto questo preparativo ognuno al suo posto, dopodiché arriva la telefonata, cioè il FERRANTE doveva telefonare al LA BARBERA, LA BARBERA doveva telefonare a noi, e così è successo. Il LA BARBERA telefona e telefona, la telefonata la prende GIOE’, perché GIOE’ era con il telefonino e con il cannocchiale per vedere il, cioè l’andamento delle macchine, però anche io ad occhio nudo vedevo il corteo, dalla velocità che ci avevano, cioè il LA BARBERA ci dice 120-130 già questo, la differenza di velocità già LA BARBERA ce l’aveva detto, cioè facendoci dire, non mi ricordo con quale parola convenzionata, comunque dalla parola convenzionata noi capivamo il tipo di velocità che il corteo aveva, dopodiché il LA BARBERA stacca la telefonata e noi aspettiamo che noi arriva il corteo di macchina al punto stabilito. Ad un certo punto GIOE’ mi dice vai, ma io non lo so per quale motivo cioè ero bloccato ad azionare quel telecomando, anche perché vedevo che il corteo la velocità che mi avevano detto non era, era molto, molto più lenta e d’istinto io non aziono il telecomando quando il GIOE’ mi dice via, infatti il GIOE’ mi dice via, via, cioè me lo dice 3 volte, alla terza volta io aziono il telecomando, dopodiché vedo non vedo niente vedo solo una fumata, un rumore e non vedo più niente, dopodiché abbiamo consegnato tutto al BATTAGLIA il binocolo, cioè il cannocchiale, il piedistallo che avevamo fatto costruire e il telecomando, io e GIOE’ ce ne siamo andati con la sua CLIO e il BIONDINO con la sua CLIO».

Brusca era riuscito anche a distinguere, pur se sommariamente, la dinamica dell’effetto deflagratorio: «Ho visto una grande fumata, una vampa di fuoco e non tutta in una volta ma bensì a ripetizione, secondo me erano i fustini che man mano, cioè fra di loro si andavano, per forza, non so come viene descritta...ho visto questo tipo di fiammantazione, cioè partendo al centro poi tutto evade e si andava facendo questo tipo di esplosione, però non ho visto più niente, cioè ho visto solo queste due cose...ho provato, non lo so la fine del modo, cioè ho visto una cosa molto, molto terribile. Cioè effettivamente un momento di esitazione l’ho avuto, anche in quel momento, non perché oggi lo sto dicendo, perché non è molto facile».

I mafiosi scappano

All’esplosione era seguita immediatamente la fase di allontanamento dalla collinetta alla volta di Palermo, che era stato operato attraverso strade secondarie per l’ovvia impossibilità di prendere l’autostrada; con Biondino si erano separati appena arrivati sulla circonvallazione, mentre essi avevano proseguito fino all’abitazione di Guddo, dove erano attesi da Raffaele Ganci e Cancemi.

Una volta giuntivi, Gioè era andato via subito, per tornare ad Altofonte e vedere se era possibile farvi rientrare Brusca, che gli aveva chiesto espressamente di avvisare telefonicamente La Barbera, che poi sarebbe passato a prenderlo, se ci fossero stati movimenti delle forze dell’ordine: «...Abbiamo passato il paese di CAPACI, siamo pasti per TORRETTA, siamo saliti alla strada che porta a BOCCADIFALCO, MOTELEPRE, e siamo andati per BOCADIFALCO, arrivati a BOCCADIFALCO precisamente dove c’è l’ENEL scendendo più sotto, prima di arrivare alla CINCONVALLAZIONE della VIA LAZIO con BIONDINO ci siamo fermati, ci siamo salutati lui se ne è andato per i fatti suoi e noi per i fatti nostri, siccome in previsione che il GIOE’ poteva essere controllato visto quello che era successo, siccome avevo già con GANCI RAFFAELE e con CANCEMI avevamo stabilito di vederci nella casa di GUDDO GIROLAMO dietro VILLA SERENA, e la prima tappa, io e GIOE’ l’abbiamo fatta in quella casa, arrivando in quella casa io scendo e mi metto assieme a loro due ad aspettare la notizia in televisione, GIOE’ se ne va al ALTOFONTE sia per vedere il movimento se era controllato cosa succedeva per poi chiamarmi e farmi rientrare..lui chiamava al LA BARBERA e poi io mi sentivo con LA BARBERA perché GIOE’ non aveva più telefonino, perché io avevo quello del DI MATTEO e LA BARBERA aveva il suo, e con GIOE’ siamo rimasti che lui chiamava dal telefonino dalla pompa, cioè dal telefono credo quello pubblico, non so, credo che chiamasse dalla pompa, dal distributore di benzina, chiamasse al LA BARBERA e poi il con LA BARBERA ci siamo messi d’accordo per venirmi a prendere per portarmi poi ad ALTOFONTE».

Si aspetta la notizia della morte di Falcone

La riunione era stata organizzata per attendere che la notizia venisse data dalla televisione ed avere la conferma che l’obiettivo era stato raggiunto: «A casa si commentò io, LA BARBERA, io, GANCI e CANCEMI commentavamo, non sapevamo se era, se il Dottore FALCONE era morto, era vivo, nel frattempo si accende la televisione e già la televisione parlava di questo fatto, e dava la notizia che il Dottore FALCONE era vivo, nessuno dei tre parlava però ad un certo il CANCEMI comincia a fare apprezzamenti molto, ma molto negativi che anche io stesso solo a sentirli mi veniva da, non lo so ma chistu è pazzo, non so cosa, cosa stia dicendo, questo di qua, questo là, se questo rimane vivo ci distrugge, se questo, cioè non ho il coraggio neanche di ripetere quello che diceva...questo cornuto, questo, tutte queste cose...cioè questo cornuto ci fa il dietro così, ce lo fa grosso, ci distrugge, ci, cioè queste erano tutte parole solo ed esclusivamente di CANCEMI infatti io e GANCI RAFFAELE ci guardavamo in faccia per dire ma chistu che cosa sta dicendo, nel frattempo dopo un mezz’oretta, 20 minuti, dopo tutti questi apprezzamenti, sulla televisione esce una striscetta che il Dottore FALCONE era morto, e un’altra volta il CANCEMI si alza dalla sedia e va verso il televisore e comincia a sputare, cornuto, finalmente, meno male, di qua, di là, si alza mette mani in tasca, c’era un ragazzo che era anche lui un certo GIOVANNI, GIOVANNI U SICCU chiamato che poi so che ad un certo, non mi ricordo come si chiama, è stato individuato e poi è stato arrestato, esce i soldi dalla tasca vai a comprare una bottiglia si CHAMPAGNE, e si prepara a guardare il CANCEMI, sia io e GANCI RAFFAELE, dice anche se io non bevo perché forse il CANCEMI non beve o è astemio, non lo che cosa è, brindiamo, facciamo, diciamo, e così è avvenuto. Abbiamo preso questa bottiglia, abbiamo stappato, preso 3 bicchieri, c’era questo GIOVANNI pure, il padrone della casa pure, però quelli non capivano a che cosa, hanno intuito poi dalla televisione cosa stavamo brindando, e questo è avvenuto quando è successo dentro la casa di GUDDO GIROLAMO, dopodiché, nel frattempo io mi sentivo con LA BARBERA che lui non so come mai si era andato a recare nella casa di VIA IGNAZIO GIOE’ e poi dalle telefonate gli ho detto di recarsi a VILLA SERENA, di aspettarmi a VILLA SERENA che io mi sarei fatto accompagnare. Credo dalla casa di GUDDO GIROLAMO a VILLA SERENA se non ricordo male o GIOVANNI U SICCU, o GANCI RAFFAELE mi accompagnò nel, a VILLA SERENA, nel parcheggio, nel posteggio, dopodiché ci siamo messi in macchina...lì c’era il LA BARBERA ad aspettarmi, mi sono messo in macchina con LA BARBERA e mi sono recato ad ALTOFONTE. Il LA BARBERA mi raccontò che quando, dopo averci dato il segnale non so dove, a CAPACI, a CANINI, non mi ricordo dove, che essendo che c’era traffico, traffico perché si era creato un ingorgo con molta confusione, il LA BARBERA aveva il finestrino aperto e sentiva il commento della gente, dicendo, non sapeva se c’era FALCONE o meno: “lo hanno ucciso, che peccato - dice - mi raccomando” il LA BARBERA diceva c’era chi piangeva e tutti questi commenti...credo che nel tragitto ci sia stata una telefonata da parte di GIOE’ a LA BARBERA per dirci: tutto a posto, cioè, vi siete visti, non vi siete visti? Credo che questo sia avvenuto. Questo contatto è perché ci dava il via libera che a ALTOFONTE era tutto a posto e che potevamo proseguire tranquillamente».

Una volta giunti ad ALTOFONTE, i due si erano recati nell’abitazione di Di Matteo, quella adiacente alla sua casa in paese e vi erano restati solo per poco, una mezzora circa, perchè Di Matteo aveva un impegno con un certo MATTIA GIUSEPPE per festeggiare l’acquisto di un attrezzo agricolo.

Erano andati allora a cenare a casa di Gioè, e con loro c’era anche un tale BENTIVEGNA SALVATORE, che era all’ oscuro di ogni cosa, e nell’occasione aveva commentato l’accaduto, ma solo in termini generici a causa della presenza di Bentivegna: «In quell’occasione il GIOE’ diceva che era successo un fatto storico perché in SPAGNA era successo non so, un re che gli avevano fatto quasi un attentato simile, e che questo aveva superato quell’azione, però parlando così genericamente senza riferimento siamo stati noi, non siamo stati noi perché c’era la presenza del BENTIVEGNA che ascoltava e non potevamo dire niente,... nel senso che la televisione parlava di servizi segreti, parlava di questo cioè commentavamo quello che diceva la televisione, perché c’era il BENTIVEGNA e non potevamo parlare apertamente davanti al BENTIVEGNA per dire che eravamo stati noi, ma il fatto generico che parlavamo, guardi non mi ricordo cosa dice, però genericamente ne parlavamo, l’unico fatto che mi è rimasto impresso è stato questo fatto, cioè il fatto che in SPAGNA era subito questo attentato e che, e chi aveva fatto, GIOE’ diceva così, chi aveva fatto questo aveva superato gli spagnoli».

Finita la cena, Brusca aveva appreso da Di Matteo della presenza dei carabinieri nei pressi del luogo ove si rifugiava, (una casa che era intestata alla moglie di DI MATTEO MARIO SANTO, VERSELLESE FRANCA), dove fra l’altro abitava un altro latitante, tale Capizzi Benedetto, ed allora, per precauzione, si era fatto accompagnare a Piana degli Albanesi, dove aveva trovato rifugio nell’abitazione di un altro uomo d’onore, Matranga Giovanni: «Dopo avere abbandonato questa abitazione siccome il DI MATTEO aveva avuto segnali che nella casa dove io abitavo c’era stato un movimento da parte dei Carabinieri, quindi non sapevamo se era per me o per CAPIZZI BENEDETTO in quanto là ci abitava la cognata, quindi siccome io latitante, CAPIZZI BENEDETTO latitante, non sapevamo se i Carabinieri, cioè in borghese a bordo di una FIAT UNO perché cosa, cioè cosa andavano a controllare, perché questo sospetto, perché il punto dove io abitavo si ci doveva andare appositamente, non era un posto di passaggio, siccome chi ha visto questo movimento ha avvisato il DI MATTEO, dice senti ho visto del movimento strano, quando io sono rientrato il DI MATTEO mi avverte di questo fatto al che io non ho voluto andare più in quella casa, infatti, mi vado prendere tutta la biancheria, mi vado a prendere tutta la biancheria e la moglie del DI MATTEO mi aveva lavato un paio di tennis e si era premunita subito di andarmi a prendermi questo paio...scarpe di tennis dicendo tutto a posto, hai bisogno, non hai bisogno, già la televisione tutti avevano detto quanto era successo, naturalmente lei aveva visto, si premuniva se io avevo di bisogno di qualcosa, no, ho detto FRANCA non ho bisogno di niente, dopodiché mi sono preso le scarpe da tennis, mi sono preso la biancheria che avevo in quella casa, mi sono messo a bordo della mia Y10 che io avevo e LA BARBERA E GIOE’ mi hanno accompagnato a PIANA DEGLI ALBANESI, strada facendo quando abbiamo passato, abbiamo visto il DI MATTEO, la moglie e LO PETTO che si trovavano a passare, ci hanno salutato e noi ce ne siamo andati a PIANA, io arrivando a casa di MATRANGA GIOVANNI, uomo d’onore della famiglia di PIANA DEGLI ALBANESI, mi sono fermato, mi sono fermato lì. Dopodiché loro se ne sono tornati, mi ricordo che piovigginava quella sera, dopodiché loro se ne sono tornati e ci siamo rivisti non so se dopo 2-3-4 giorni. Poi ho saputo che in quella abitazione di Capizzi è stata effettuata effettivamente una perquisizione, credo la mattina, la mattina dopo il 24 sia sta effettuata la perquisizione, me lo ha detto LA BARBERA e GIOE’, loro, sempre loro mi informavano chi sapeva, cioè mi hanno detto sai quel movimento ci iro a fari perquisizione dal cognato di CAPIZZI BENEDETTO, cioè io non so loro me lo hanno detto».

L’imputato ha ricordato, oltre agli avvenimenti legati alla realizzazione materiale della strage, anche un episodio successivo, verificatosi nel mese di luglio, relativo ad interventi tesi alla sistemazione del terreno dove erano state effettuate le prove dell’esplosivo, di cui però non si è trovato alcun riscontro: «Dunque, nel mese di luglio, nel mese di luglio, giugno, comunque estate, arriva DI CARLO CALOGERO, uomo d’onore della famiglia di ALTOFONTE, cognato di LA BARBERA GIOACCHINO, avendo effettuato un colloquio con lo stesso, cioè con il collaborante LA BARBERA GIOACCHINO, gli dice di andare a levare cioè togliere il pezzo di risulta, cioè il pezzo di cemento quello che avevamo fatto la prova, quello che avevamo fatto la prova in contrada REBOTTONE che questo materiale lo avevamo spostato vicino alla casa cioè quando abbiamo fatto l’esplosivo il LA BARBERA GIOACCHINO l’aveva spostato con il suo mezzo vicino la casa del DI MATTEO al ché il LA BARBERA, non so, perché aveva intuito che c’era qualcosa che non andava o ha saputo dell’omicidio di GIOE’, non sapendo cosa avesse detto, comunque manda il cognato, o perché già c’era DI MATTEO che collaborava, non mi ricordo qual era il motivo, comunque manda il cognato per togliere questo, questa prova. Io non è che mi vedo direttamente per la prima volta con il cognato? A me mi arriva tramite ROMEO, ROMEO lo fa sapere a VASSALLO GIUSEPPE, per dire: CALOGERO venendo dal colloquio dice di andare a togliere questo, questo materiale, siccome l’unico che sapeva di questo fatto ero io allora cosa ho fatto? Per non creare equivoci, problemi e cose varie, mi do appuntamento con DI CARLO CALOGERO direttamente in contrada REBOTTONE nella casa del DI MATTEO, io non prendo la strada quella normale ma bensì ci vado di sopra che c’è un’altra entrata e arrivo un pochettino prima perché mi spavento che il DI CARLO può essere seguito e CALOGERO arriva dalla strada normale; quando arriviamo sul luogo vediamo che il materiale, cioè quello che avevamo, l’esplosivo e dal materiale di risulta, non c’era più al ché dico: CALO’, CALOGERO, non c’è più, non c’è nessun motivo da preoccuparsi. Cosa pensiamo lì per lì? Siccome il DI MATTEO aveva costruito una stalla nuova e credo che abbia utilizzato questo e altro materiale per riempire i fondamenti, solo così ci potevamo spiegare perché quel pezzo di cemento assieme al tubo non c’era più».

Ha riferito altresì l’imputato delle macchinazioni ordite per approfittare dell’alibi che si era precostituito Antonino Gioè, grazie al coinvolgimento del geometra Di Carlo, che era stato invitato a trasporre al giorno della strage quanto invece si era effettivamente verificato giorni prima: «Non so se lo stesso giorno, ma credo l’indomani, il GIOE’ viene chiamato dai Carabinieri, viene invitato ad andare in caserma per degli accertamenti allora il GIOE’ intuendo, cioè capendo che poteva essere per la strage di CAPACI, prima di andare in caserma, passa da un suo amico e gli dice: “senti, quello che abbiamo fatto ieri trasportalo a oggi, paro, paro”. Cioè, siccome il giorno prima erano andati a fare dei sopralluoghi, avevano andati a misurare del terreno assieme ad altre persone e l’orario era precisamente quando è avvenuta l’esplosione quindi non c’è voluto niente, bastava che quello, il DI CARLO dichiarava, cioè quello che doveva dire prima lo dicesse, per dire, non è successo oggi ma bensì il giorno della strage e tutto era, tutto era risolto e così è successo. Il GIOE’ va in caserma, viene interrogato, chiama a testimoniare il DI CARLO, il DI CARLO, il geometra DI CARLO..l’amico di GIOE’. Arriva in caserma, conferma quanto gli aveva detto il GIOE’ e il GIOE’, avevano chiamato pure il CASTELLESE, il sindaco, cioè il cognato del DI MATTEO, ma il maresciallo gli ha detto: no, non c’è di bisogno, già è sufficiente quanto ci ha detto. E hanno liberato a tutti e due e questo era quello che io volevo sfruttare come prova a mio discapito, perché se non c’era GIOE’ non ci potevo essere anche io».

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