Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Deve porsi come punto di partenza il tassello ormai svelato, (l’unico finora noto, non essendosi ancora trattato dell’attività posta in essere dal gruppo degli operatori concentratasi in città), avente ad oggetto l’arrivo nella casa di Troia, a Capaci, dell’esplosivo portato da Altofonte da Brusca, Gioè, Bagarella, La Barbera, Rampulla e Di Matteo.

Comincia quindi così la fase Capaci, in relazione alla quale si era concretizzato l’interscambio di cui si è fatto cenno poc’anzi, poiché, come si vedrà, vi erano confluiti, sia pure con ruoli meno preponderanti, anche imputati già occupati a Palermo nella realizzazione di altri preparativi dell’attentato.

Il primo impegno che aveva occupato nella sostanza tutti gli operatori, durante il soggiorno a Capaci, era stato quello relativo al travaso degli esplosivi negli alloggiamenti che avrebbero poi costituito e composto la carica.

Premesso che per quanto riguarda l’apporto di Di Matteo se ne deve segnalare l’irrilevanza, posto che egli aveva abbandonato il gruppo appena terminato il trasbordo dell’esplosivo dalla Nissan Patrol alla casa, per tornarsene indietro ad Altofonte, si esaminano ora le dichiarazioni di Brusca, La Barbera, Ferrante e Cancemi.

Il racconto di Brusca

L’attività di travaso secondo l’imputato si era snodata attraverso varie fasi, che erano andate dal primo tentativo di miscelare i due diversi tipi di esplosivo di cui gli operatori avevano la disponibilità, all’abbandono dell’originario disegno per proseguire poi con il riempimento dei bidoncini, ciascuno con un tipo di esplosivo diverso: «..Quando abbiamo fatto quella mini prova lo abbiamo riversato un pochettino sul telo, cioè per fare quella prova di miscuglio e poi abbiamo continuato sempre sul telo, cioè messo a terra che poi è stato bruciato ....». Quanto poi alle caratteristiche dell’altro tipo di esplosivo, quello cioè trovato da Brusca nella casa di Troia, oltre alle indicazioni già riferite in precedenza, l’imputato ha descritto anche il tipo di involucro nel quale era stata riposta l’altra polvere, che lui qualifica “sintiax”, riferendosi al sentex probabilmente, attribuendone la paternità a Salvatore Biondino: «E allora arrivando là, quelle persone che c’eravamo, che ho elencato poco fa’, là ho trovato, non so se 130, 140, 150 chili in quello famoso, non so se si chiama, non vorrei sbagliare per quello che poi vengono fuori dalle perizie, il famoso SINTIAX che sarebbe un materiale polveroso tipo farina di colore giallino, ...l’esplosivo, il famoso SENTEX che era sul posto era se non ricordo male in sacchetti di stoffa, non sacchi grandi, sacchetti, piccoli sacchetti e di colore nocciola... non mi ricordo se erano chiusi, cioè con il solito laccio, credo sempre con il solito laccio normale, cioè per chiudere un sacco, un laccio attaccato al collo e attaccato, cioè alla punta per sigillarlo… Chi li ha portati a CAPACI non glielo so dire, li ho trovati lì, so che la disponibilità era di BIONDO, però chi gliel’ha dati, chi non gliel’ha dato non glielo so dire anzi BIONDINO, cioè mi riferisco quello che è stato arrestato assieme a RIINA SALVATORE».

[...] Quanto ai componenti del suo gruppo di lavoro, Brusca ha indicato con certezza La Barbera, Cancemi e Gioè, mentre ha mostrato dubbi sulla presenza di Biondino. Per gli altri presenti, oltre quelli già riferiti in precedenza, ha precisato che «... Non potevo controllare tutti, GANCI MIMMO, GANCI RAFFAELE e forse o FERRANTE o BIONDINO uno dei due non ha partecipato perché già eravamo in tanti quindi credo questi qua non abbiano partecipato al travaso ma erano lì presenti, cioè ci guardavano, tutti gli altri lavoravamo per fare il travaso».

Con riferimento al tipo di materiale da lui travasato l’imputato ha mostrato una relativa sicurezza, identificandolo in quello che proveniva da Altofonte, riuscendo probabilmente ad esprimere tale valutazione tramite il ricordo della operazione meccanica effettuata per riempire i bidoncini, svolta attraverso l’ausilio di una brocca con la quale prelevava il materiale dal “fusto grosso” per metterlo in quello piccolo; tale ricostruzione sembra però essere in contraddizione con quanto riferito immediatamente prima dall’imputato, quando ha affermato che lui riempiva e gli altri tenevano i fustini, perchè ciò farebbe presupporre, salvo imprecisioni espressive, che i fustini che tenevano gli altri erano quelli di stoffa e non i bidoni che, in quanto costituiti da materiale rigido, non necessitavano di essere sostenuti.

In totale, secondo l’imputato erano stati riempiti 13 bidoncini da circa 25 chili ciascuno, uno dei quali era più capiente rispetto agli altri, che sarebbe stato collocato a metà della carica; anche per il recupero di tali recipienti Brusca fa riferimento al gruppo facente capo a Salvatore Biondino: «...L’esplosivo l’abbiamo travasato in dodici bidoncini da venticinque litri ciascuno, e uno credo che fosse o da trenta o da ventotto, comunque un pochettino più, di caratteristiche un pochettino più grande o perché era più stretto e più lungo, comunque uno un po’ diverso, stesso colore, tutti bianchi, tutti con i manici e tutti con i tappi a vite...Chi è andato a comprarli, è andato a comprare bidoncini di venticinque litri per essere manovrabili, cioè poterli manovrare con molta facilità anche nel trasporto… sono stati procurati sempre dalla parte della famiglia di SAN LORENZO, cioè dal BIONDINO, poi se l’ha comprato BIONDO, se l’ha comprato FERRANTE, noi allora gli abbiamo chiesto questo tipo di bidoncini e l’impegno di portare questi bidoncini se lo sono preso loro».

Gli operatori avevamo, a suo dire, dei guanti da chirurgo, delle brocche o palette per potere prendere materiale dal fustino e riversarlo a un altro o versavano i sacchetti direttamente nel fustino: «Poi c’è chi adoperava una cosa e c’è chi ne adoperava un’altra ma in particolar modo i guanti quasi li abbiamo adoperati tutti, i guanti da chirurgo». Il lavoro svolto impegnò gli operatori per circa un’ora o un’ora e mezza. Tutto quanto era stato adoperato per il travaso, la tenda, la scopa, e tutto il resto fu bruciato da Battaglia Giovanni. I tredici bidoncini, il telecomando e la ricevente erano rimasti in possesso delle persone del luogo, e Brusca era tornato quindi indietro ad Altofonte solo con le armi. Come collocazione temporale dell’episodio descritto, l’imputato indica approssimativamente il mese di aprile, anzi la metà aprile, identificando poi anche con quale tipo di successione temporale si susseguiranno i restanti accadimenti, e cioè, prima il travaso, poi le prove e in ultimo il collocamento della carica nel cunicolo. Tale caricamento era stato effettuato per ultimo secondo Brusca: «...per non avvicinare più al cunicolo, infatti lo abbiamo fatto appositamente di notte per non essere osservati da nessuno».

Il cunicolo aveva costituito oggetto di ispezione degli operatori appena ultimata l’operazione di travaso: trattavasi del condotto di cui Brusca aveva chiesto notizie al cugino Piediscalzi in ordine agli effetti di un’eventuale esplosione a seguito dell’imbottimento con sostanze esplosive: «... Avendo fatto tutta l’operazione di travaso, ci siamo dati appuntamento per l’indomani mattina. Arrivando all’indomani mattina per cominciare a fare le prove e cosa fare, la prima cosa che abbiamo fatto io, BIONDINO, TROIA e RAMPULLA e non so se GIOE’ o LA BARBERA o tutti e due o uno solo, siamo andati a verificare il cunicolo e appena lo abbiamo visto abbiamo detto perfetto, troppo bello, cioè dalla descrizione poi avendolo visto sul sopralluogo abbiamo detto che era perfetto».

I ricordi di La Barbera

Anche per quest’imputato il resoconto delle dichiarazioni in ordine alla fase del travaso dell’esplosivo comincia con i momenti immediatamente successivi all’arrivo del suo gruppo nella casa di Troia a Capaci.

Le operazioni avevano avuto inizio subito dopo il trasbordo ed era, secondo La Barbera, di mattina, avendo essi impiegato tutta la mattinata per completare l’operazione. Di tale circostanza egli ha riconosciuto però di non avere un ricordo preciso.

[…] E’ proprio sulla veranda che l’imputato aveva incontrato per la prima volta dall’inizio dei preparativi per la strage il gruppo dei palermitani, presenti nell’occasione quasi a sottolineare l’importanza del momento che doveva quindi necessariamente veder presenti tutte le persone più importanti coinvolte nell’esecuzione.

«Ci siamo recati dentro l’abitazione e sulla veranda ho trovato per la prima volta ho visto a CANCEMI SALVATORE, e c’era BATTAGLIA GIOVANNI, c’era BIONDINO SALVATORE, c’era GANCI RAFFAELE il padre, e uno dei figli che non so se è MIMMO o è l’altro. E poi della nostra squadra c’ero io, GIOE’, BRUSCA, DI MATTEO MARIO SANTO, e RAMPULLA PIETRO, e BAGARELLA che non l’ho detto. ...SALVATORE BIONDINO c’era pure.... Non avevo mai visto BATTAGLIA GIOVANNI e BIONDINO SALVATORE prima di allora. BIONDO SALVATORE era pure presente quella mattina, si, che io conoscevo come SALVATORE, l’ho conosciuto proprio quella mattina, non lo avevo visto mai, e anche FERRANTE GIOVANNI.... L’ho conosciuto lì la prima volta».

Al trasbordo dell’esplosivo, portato dalla Nissan Patrol sulla veranda, parteciparono un po' tutti i presenti; subito dopo si differenziano i movimenti degli operatori che si dividono in due gruppi e cominciano a travasare l’esplosivo di cui disponevano usando dei guanti di plastica, tipo quelli da chirurgo, color panna. L’imputato si è collocato insieme ai compagni di Altofonte sulla veranda e ha provveduto, insieme a loro, al travaso dell’esplosivo da loro trasportato che era stato adagiato su un telo prima di essere riposto nei bidoncini trovati sempre sul luogo.

E’ questo il momento che ha consentito all’imputato di vedere i due diversi tipi di esplosivo dei quali in quell’occasione si trovava a disporre, e di poter procedere quindi alla comparazione fra gli stessi sia per quanto riguardava le caratteristiche morfologiche che per la quantità: «L’esplosivo che abbiamo portato noi da ALTOFONTE lo abbiamo situato su un telo sulla veranda, mentre l’altro che già si trovava nel posto era all’interno della casa dove c’era una specie di cucina-salotto, e l’ho visto che anche là hanno fatto il travaso a terra. Sulla veranda abbiamo travasato quello che noi abbiamo trasportato da ALTOFONTE, il tipo di esplosivo era un pochettino granuloso, tipo concime, tipo sale quello che si usa per l’agricoltura. Mentre quell’altro che ho trovato all’interno dell’abitazione era diverso dal nostro; l’esplosivo che ho notato all’interno della casa era molto più farinoso rispetto a quello che abbiamo portato noi da ALTOFONTE.... perché mi ricordo che un momento che sono entrato dentro mentre stavamo mettendolo nel bidoncino, ho visto che rimaneva la forma della mano pressando sui bidoncini, era poi più scuro del nostro, era quasi color, che posso dire, era quasi bianco che da sul bianco sporco».

[...] Quanto alla questione della composizione dei due gruppi, vero è che l’imputato ha riferito la formazione di entrambi, ma a tale indicazione ha aggiunto anche una precisazione, che inerisce il fatto che vi erano appartenenti all’uno o all’altro gruppo, che durante le operazioni trasmigravano da un capannello all’altro, lasciando presupporre quindi una composizione non rigida ma fluida degli stessi.

«... Io sono rimasto accanto alle persone che siamo rimasti sulla veranda... Sulla veranda eravamo io, GIOE’, BRUSCA, BAGARELLA, e DI MATTEO MARIO SANTO. E dentro, invece, si interessavano il resto delle persone, qualcuno si alternava dentro e fuori...Cancemi faceva parte di quella squadra dentro che era, era in piena attività, nel senso che ho visto proprio lui che indossava anche lui i guanti da chirurgo e si premurava a fare il travaso... Comunque, quelli di Altofonte ci siamo dedicati al travaso all’esterno della casa sulla veranda, e le persone che già erano sul posto si sono dedicati al travaso all’interno della casa...».

I bidoncini usati avevano, a giudizio dell’imputato, la capacità di circa 25 chili ed erano in numero di tredici, fra i quali uno solo aveva dimensioni superiori rispetto agli altri. Li descrive come bidoni della stessa tipologia di quelli usati ad Altofonte, stesso tipo di plastica e tappo, che era anch’esso molto grande con chiusura ermetica, perchè all’interno c’era una guarnizione in gomma che chiudeva i bidoncini con chiusura a vite. Rispetto ai primi si differenziavano soltanto per la diversa capacità, essendo quelli utilizzati per il trasporto molto più grandi, intorno ai 50 litri, (o 50 chilogrammi) circa, mentre gli altri da mettere giù dentro il cunicolo erano sui 20-25 litri: […]. Quanto al numero di contenitori riempiti dal suo gruppo ha riferito che erano stati sei, mentre invece gli altri, nella stanza interna, ne avrebbero riempiti sette. [...].

Il detonatore nel bidone più grande

Uno degli aspetti più interessanti del racconto dell’imputato, in relazione alla descrizione dei contenitori, si incentra su quello che fra di essi era più grande, quello nella sostanza che doveva aver come capacità circa 30 litri, perchè fu proprio su tale bidone che verrà inserito il detonatore da collegare al filo che usciva dalla ricevente: per compiere tale operazione Pietro Rampulla durante la fase del travaso aveva bucato il bidone per far in modo che il filo del detonatore potesse uscire ed essere ricollegato a quello della ricevente.

Per assicurare un maggior effetto esplosivo, il Rampulla aveva provveduto a riporre nel contenitore due detonatori, di cui però solo uno era collegato, residuando pertanto sull’altro il compito di aumentare il potere deflagratorio della carica.

«Mi ricordo che è stato fatto un buco nel bidoncino quello che era rimasto l’unico, che era un pochettino più grande degli altri, è stato fatto un buco per fuoriuscire i due fili che erano attaccati al detonatore. Il detonatore era stato conficcato all’interno del bidoncino circa a metà del bidoncino, ed in più accanto al detonatore che fuoriuscivano i fili è stato messo un altro detonatore con i fili tagliati per avere una maggiore, non lo so, era, questo era un discorso che faceva RAMPULLA PIETRO, che così dava “una maggiore cosa” all’esplosivo. E da questo bidoncino più grande una maggiore sicurezza, insomma, che al posto di esploderne uno, ne esplodevano due, così era più sicuro l’effetto del detonatore. Il funzionamento del detonatore non collegato era che scoppiando il detonatore che era attaccato alla ricevente, essendo quell’altro che era vicinissimo, doveva dare un maggiore scoppio. Questo era quello che sentivo là: al momento in cui scoppiava il primo, faceva scoppiare il secondo, dopodiché scoppiava tutto l’esplosivo. Per cui due, almeno se risulta a verità, io non lo so, comunque ne sono stati messi due per dare una maggiore deflagrazione all’esplosivo.

Il foro serviva per fuoriuscire i fili del detonatore che poi andavano collegati alla ricevente. I fili che fuoriuscivano che erano attaccati al detonatore dell’interno del bidoncino tramite un filo molto più lungo andava collegato alla ricevente... alla fine c’erano questi due fili che andavano collegati in maniera così manuale, fatti a mano per collegare il detonatore alla scatola ricevente. Il filo che dico io, che abbiamo allungato era un filo a piattina. RAMPULLA PIETRO fece il foro sul bidone più grande, se non ricordo male. Era lui che doveva vedere il modo come doveva essere posizionato il detonatore».

Completata l’attività relativa al travaso, gli operatori avevano lasciato la casa dandosi appuntamento per gli ulteriori adempimenti.

Il compito di provvedere alla conservazione delle singole frazioni che poi comporranno la carica e del congegno costruito per attivarla era stato affidato da Salvatore Biondino ai residenti, cioè Giovanni Battaglia e Troia, che per la loro padronanza delle zone, potevano meglio assicurare al gruppo la sicurezza sulla integrità e la disponibilità dell’esplosivo che veniva pertanto a loro affidato.

Più in particolare i bidoncini furono stipati in sacchetti di plastica neri, simili a quelli usati per la raccolta dell’immondizia e alle stesse persone, sempre secondo La Barbera, venne affidato il compito di distruggere tutto quanto era avanzato dalle operazioni di travaso: «[...] ci siamo quindi dati appuntamento l’indomani mattina allo stesso posto, ci aveva accennato che ci dovevamo vedere in un altro casolare, non più in quella zona, è così è avvenuto».

Testi tratti dalla sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta (Presidente Carmelo Zuccaro)

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