Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Nel 1992 Di Matteo era proprietario di due appartamenti, uno nel paese di Altofonte, in Via del Fante, l’altro un po' fuori dall’abitato, in contrada Rebottone.

Proprio in quest’ultima abitazione, luogo di incontro e riunione degli appartenenti alla sua “famiglia”, i quali tutti sapevano dove era nascosta la chiave di ingresso (sotto un mattone), Di Matteo aveva appreso, verso la fine di aprile o gli inizi di maggio, che doveva essere fatto un attentato.

Le riunioni nella casa in in quel periodo si tenevano giornalmente, ma egli non sapeva ancora a quell’epoca che sarebbe stato personalmente coinvolto nell’esecuzione del progetto criminoso.

Le persone che frequentavano l’abitazione erano per lo più Giovanni Brusca, Antonino Gioè, Gioacchino La Barbera e Leoluca Bagarella (soldato della “famiglia” di Corleone). In quel periodo aveva visto che Brusca aveva fatto venire una persona non appartenente alle famiglie palermitane, Pietro Rampulla da Catania, e che era è Gioè ad accompagnarlo dato che non era della zona (successivamente lo aveva visto usare un’Alfetta scura 1800 o 2000) e quel giorno c’erano anche Salvatore Biondo e Biondino, che erano venuti insieme su una Fiat Uno verde, ma egli non aveva assistito alla conversazione che Brusca e Bagarella avevano avuto con il personaggio catanese, aveva notato però che quest’ultimo era tornato due giorni dopo con due telecomandi in una scatola di polistirolo: «Per me erano due macchine... due cose di questi che fanno partire le macchine... di modellismo,.. un telecomando lungo che so un trenta centimetri metallizzato, con due levette una a sinistra e una a destra, tanto è vero che mi pare che quella di destra l'aveva... c'era messo il... nastro- isolante come si chiama quello... comunque uno la fermata... uno l'ho neutralizzato, e una ci funzionava, e ho visto che so... c'è un'antenna un venticinque trenta centimetri».

L’ordine di Brusca

Dopo quest’episodio, in una data che l’imputato ha collocato più o meno a circa dieci giorni prima della strage (quindi intorno al 10-13 maggio), mentre si trovava nella sua abitazione in paese, in via Del Fante, aveva ricevuto incarico da Giovanni Brusca di recarsi nella casa di contrada Rebottone perché lì doveva arrivare Giovanni Agrigento, uomo che lui sapeva essere molto vicino a Brusca nonché “capo famiglia” di San Cipirello, per portargli delle cose.

Nella sostanza l’Agrigento in quell’occasione - era di mattina intorno alle 10.30 11 e lui si era allontanato di nascosto dal suo posto di lavoro, il mattatoio di Altofonte - aveva portato con la sua Fiat Tipo bianca quattro sacchi da 50 kg di un materiale che a prima vista il Di Matteo aveva creduto fosse fertilizzante: «La sera mi pare GIOVANNI BRUSCA o la mattina, abbia detto dice: "domani mattina alle dieci devi andare in campagna che deve venire GIUSEPPE AGRIGENTO che ti deve portare delle cose", "va bene", l'indomani mi reco in campagna e viene AGRIGENTO con la TIPO BIANCA, e dentro la macchina sia dentro il cofano che dietro il sedile, c'aveva quattro sacchi di esplosivo, diciamo che erano quattro sacchi che per me era sale... dei sacchi verdi dove vendono il sale, questi sacchi da cinquanta chili... e allora li abbiamo presi e li abbiamo travasati in due bidoni di plastica, tanto è vero che quando lo abbiamo travasato mi faceva... mi bruciava il naso, dico: "ma che cosa è questa..." ci siamo messi fuori la casa, davanti dice...Siamo al magazzino...i sacchi erano legati con i lacci».

Il travaso era stato fatto dai sacchi a due bidoni da cento kg, senza usare guanti di gomma.

A giudizio dell’imputato quel travaso aveva un senso perché inizialmente si era pensato di collocare quei bidoni in una galleria, perché altrimenti , per il trasporto fino a Capaci, non ci sarebbe stato alcun bisogno di trasbordare l’esplosivo dai sacchi ai bidoni, anzi, nei sacchi del fertilizzante, in caso di fermo delle forze dell’ordine durante il tragitto, si sarebbero potuti meglio giustificare.

In effetti successivamente Di Matteo ha confermato il valore di tale intuizione, perché ha rilevato di aver appreso che l’attentato doveva avere luogo in una galleria subito dopo Capaci, ma che tale progetto era sfumato perché non era possibile vedere la posizione delle macchine per premere il telecomando. Di Matteo aveva notato che l’operazione di travaso, in esito alla quale si erano riempiti a pieno i due bidoni, faceva alzare della polvere: […]. I bidoni erano stati procurati entrambe da Gino La Barbera, che, sempre su incarico di Giovanni Brusca, li aveva portati in contrada Rebottone due giorni prima della venuta di Agrigento: trattavasi di bidoni di plastica appena comprati, di colore bianco con tappo a vite nero e manici bianchi.

Dopo il travaso i bidoni erano rimasti per uno o due giorni nel magazzino della casa di campagna, dopodichè erano stati caricati sul fuoristrada di La Barbera da lui, La Barbera e Gioè, che li avevano portati in via Del Fante, dove si trovavano ad aspettare Bagarella, Brusca e Rampulla.

Era seguito quindi un nuovo spostamento, nel pomeriggio, verso le 16-17, a Capaci, dove i presenti erano arrivati dopo 3/4 d’ora, a bordo di tre macchine: in particolare Bagarella e Gioè si erano mossi con la Renault Clio della sorella di Gioè; Di Matteo e La Barbera con la Jeep di quest’ultimo; Brusca e Rampulla sulla Y10.

E’ in quest’occasione che l’imputato aveva appreso che l’esplosivo doveva essere trasportato a Capaci.

Il percorso effettuato si snodava da via del Fante e, attraverso lo scorrimento veloce fino a Sciacca, il gruppo si era diretto verso Palermo, ove aveva percorso il viale delle Scienze in direzione Punta Raisi fino allo svincolo di Capaci.

Lì era già arrivato Brusca, che era partito un po' prima per fare da battistrada, che aveva guidato il corteo ad un casolare dove l’imputato non era mai stato e che aveva appreso essere di Troia: si trattava di un casolare tipo capanna, circondato sia a destra che a sinistra da ville, sia pur non limitrofe, e c’era, secondo il ricordo del Di Matteo, una giumenta rinchiusa in un recinto, distante circa 300 metri dal luogo della strage.

Avevano parcheggiato le auto non vicino alla casa, ma dal lato del recinto, per evitare che potessero essere notate, solo la Jeep Patrol era entrata nel cortile per agevolare l’operazione di scarico.

In occasione dello scaricamento dei bidoni Di Matteo aveva avuto modo di conoscere Troia, che ha descritto con una persona alta, di carnagione scura, con il viso grosso; aveva notato

altresì un altro uomo che non conosceva, “bassino magro e bruttino“, che però era in confidenza con Troia, e a loro volta con Brusca e Bagarella.

Durante le operazioni di scarico, aveva notato che Gioè e Bagarella portavano dentro casa dei detonatori, che avevano in macchina, avvolti in un foglio di giornale: «Io questi detonatori li ho visti quando siamo arrivati là sul casolare... che li avevano nella macchina GIOE' e BAGARELLA, avvolti in un foglio di giornale. e poi li hanno appoggiati sul tavolo. i fili sono... ce n'è gialli, rossi, verdi. sono met... specie di metallo. placati in argento, così. Per... come un bossolo, che le posso dire... di un Kalshinikov, così, però metallizzato, di un bossolo parliamo lungo venti, venticinque centimetri, non lo so. , i fili partivano da una sola parte ..ed erano collegati al detonatore. ..li abbiamo appoggiati sopra il tavolo. GIOE' l'aveva appoggiati. Tanto è vero che gli ha detto che c'erano due signori là che io ho conosciuto, questa era la prima volta che li vedevo, ha detto: "state attenti perché se qualcuno ne casca salta tutto per aria". .. sono di metallo, sono come bossoletti, come quelli su per giù del Kalashinicov, più grandetti, non lo so. E ogni bossoletto di questi ci ha messo un filo».

Finito di scaricare i bidoni Di Matteo era tornato ad Altofonte.

A questo punto, per quanto riguarda Di Matteo, può dirsi esaurita quella parte della narrazione relativa a quanto era accaduto in Altofonte.

Testi tratti dalla sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta (Presidente Carmelo Zuccaro)

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