Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

[...] Di Matteo ha narrato dunque di avere saputo che erano state effettuate delle ispezioni su incarico di Salvatore Riina, di cui era emissario Giovanni Brusca, a cui avrebbero partecipato lo stesso Brusca, e poi Gioè, Ganci Raffaele, Salvatore Cancemi e Salvatore Biondino, e che in un primo momento si era pensato ad una galleria lungo l’autostrada, situata subito dopo lo svincolo per Capaci, idea poi abbandonata - perché non garantiva la piena visibilità per chi doveva premere il telecomando - a favore della soluzione proposta da Biondino e Troia, “uomo d’onore” del mandamento di San Lorenzo, appartenente alla famiglia di Capaci, che proprio perché del luogo era stato scelto per la fornitura di basi d’appoggio agli operatori.

Questo nuovo posto garantiva maggiore visibilità per chi doveva azionare il telecomando a distanza, ed è stato indicato con sufficiente precisione dall’imputato: «...Sì, il posto lo so, è sopra il casolare, c'è... a distanza c'è una cabina elettrica, mi pare, però si sposta sulla destra, salendo, non so, a due/trecento metri da questa cabina... così. c'è... la visibilità l'avevano in piena, l'autostrada ci veniva proprio di rimpetto». Di Matteo ha ammesso di non esserci mai stato di persona, precisando altresì che gli era stato indicato in occasione delle prove di velocità perché lì si trovavano Brusca e Gioè: «...Quando passava la macchina, loro schiacciavano il pulsante e faceva come se fosse una fotografia con il flash».

Chiarita dunque la posizione dell’imputato per le parti relative agli eventi che precedettero e seguirono le prove di velocità, può passarsi all’esposizione di quanto da lui dichiarato in merito a tale accadimento.

E’ nuovamente Giovanni Brusca, come era accaduto quando Agrigento aveva portato l’esplosivo in c.da Rebottone, che aveva sollecitato Di Matteo a raggiungerlo con la sua macchina al casolare di Capaci per fare le prove: «...E allora quando sono arrivato là al casolare, dove c’era Rampulla che stava preparando con loro (Brusca Gioè La Barbera, Bagarella, Troia e Battaglia) questo marchingegno, mi hanno detto di andarmene al bivio di CARINI, con la macchina, e quando loro mi telefonavano di partire con la macchina, e tenere la velocità di cento sessanta, cento settanta. ...io avevo il telefonino e loro ce l'avevano pure e, ...un cellulare l'aveva GIOE' e BRUSCA, un cellulare l'aveva LA BARBERA e un cellulare me lo avevano dato a me. Allora quando sono arrivato là mi dava il via Gioè che era appostato lassù e io partivo, a cento sessanta, quando passavo dove era LA BARBERA messo... accanto al guardrail, era al di là del guardrail era visibile dall'autostrada e doveva accertare se la lampadina funzionava e quando io passavo... loro si sono messi in montagna, quando io passavo loro azionavano questo telecomando per vedere se la lampadina funzionava oppure no. ... avevano installato una lampadina in quella scatoletta. Era una lampadina flash, questa a quattro facce...penso che l'hanno comprata in un negozio che vendono queste lampadine per foto, in un fotografo. La prova fu fatta di mattina verso le undici, undici e mezza, non mi ricordo di preciso, comunque in mattinata poi, quando ho finito me lo ha detto LA BARBERA: "tutto a posto! E' l'ora." Poi sono ritornato al casolare, mi hanno detto: "te ne puoi andare, tutto a posto!" E me ne sono andato. Era...la prova l'ho fatta due o tre volte... poi mi ha detto che andava benissimo.... passavano dieci minuti, un quarto d'ora di distanza...il via me lo dava GIOE' mentre ero allo svincolo di CARINI...loro mi hanno fatto camminare a questa velocità perché...a quanto ho potuto capire... ..si parlava così, perché le macchine delle scorte camminano in questa... a questa velocità..... sul tratto che va da CARINI a CAPACI. GIOE' mi ha detto avevano tagliato dei rami, però non so dove, per vedere meglio la visibilità. nella collinetta, perché volevano vedere... la visibilità la volevano più...».

Le lampadine flash

Il meccanismo escogitato era dunque mirato a registrare e a fissare, attraverso parametri di riferimento certi, l’istante in cui la macchina passava sopra il cunicolo, perché quello sarebbe stato il momento per azionare il circuito elettrico che doveva dare il via all’esplosione. A tale proposito gli operatori avevano deliberato di collegare al filo che fuoriusciva dalla ricevente, delle lampadine flash, che bruciavano se raggiunte dall’impulso elettrico provocato dal segnale lanciato dalla trasmittente.

Il meccanismo, una volta azionato, mostrava la sua utilità perché consentiva di verificare in quale punto era opportuno azionare la levetta: infatti, posto che era necessario far si che l’autovettura si trovasse sulla carica al momento dell’arrivo del segnale, il momento giusto per l’invio del segnale medesimo doveva precedere di qualche istante quello in cui si raggiungeva tale coincidenza, tenuto conto della velocità di trasmissione dello stesso e dei tempi di reazione di chi doveva azionare il telecomando.

Per calcolare allora quali fossero gli spazi entro i quali si doveva muovere colui che poi all’atto pratico avrebbe spostato la levetta, si era deliberato di identificare il punto di coincidenza, e il momento adatto, attraverso l’osservazione empirica che fondava la simulazione dell’evento reale sull’uso di un auto di potenza simile a quelle usate dalle scorte, e l’impiego dei flash al posto dell’esplosivo per far realizzare all’osservatore se il segnale era stato inviato tempestivamente: solo quando si era individuato visivamente tale punto, si sarebbe potuto ricorrere ad altri artifici per fissare sui luoghi segnali che potessero essere di riferimento per l’operatore che doveva agire.

Naturalmente il sistema escogitato in questi termini richiedeva, al minimo, l’impiego di una persona che si occupasse della guida dell’autovettura, di altra che verificasse quando avveniva l’accensione del flash rispetto al passaggio della macchina, e di altra ancora che azionasse la trasmittente: quindi un numero minimo di tre soggetti impiegati nell’operazione, i quali, dovendo agire in tempo reale, necessitavano di tenersi in stretta comunicazione fra loro, donde il ricorso al telefono cellulare.

L’apparecchio era infatti necessario a chi si trovava vicino alla cabina elettrica per dare il segnale di partenza al guidatore, e a ricevere notizie da colui che era sulla scarpata, che doveva riferire a sua volta se l’arrivo del segnale, e quindi l’accensione della lampadina, coincidesse o meno con il passaggio dell’autovettura e doveva dare indicazioni se attivarsi prima o dopo quanto si era già fatto nel precedente tentativo.

Per quanto riguarda Di Matteo, si segnala che il telefono usato nel corso delle prove di velocità era un Nek P 300 Sip, descritto dal possessore come apparecchio abbastanza grosso con una antenna estraibile.

Sul punto occorre precisare che l’imputato, sempre su incarico di Giovanni Brusca, aveva acquistato nel corso dei preparativi per la strage un altro cellulare, un Nokia, che però, secondo Di Matteo, era stato usato solo il giorno dell’attentato e restituitogli dopo due o tre giorni dal verificarsi dello stesso: deve ritenersi allora che in occasione delle prove su strada Brusca si sia avvalso di altro cellulare, che Di Matteo ha identificato in quello di Troia.

Va altresì registrato che l’apparente contraddizione sul tipo di cellulare consegnato a Giovanni Brusca è chiaramente frutto di marginale distrazione, che rientra in esito ad ulteriore approfondimento istruttorio sul punto.

Di Matteo ha riferito anche di avere assistito alla preparazione del congegno che doveva essere adattato per effettuare le prove, cioè per rilevare il passaggio dell’autovettura attraverso l’accensione del flash.

L’operazione di collegamento della ricevente al flash era stato realizzata da Pietro Rampulla che, nell’occasione, si trovava dentro al casolare insieme a Brusca, Bagarella, Gioè, La Barbera e i due del casolare, che si è appurato essere Troia e Battaglia. E’ utile fare menzione di questa circostanza perché solo in quel momento Di Matteo aveva acquisito informazioni, poi riferite all’A. G. sull’apparecchio, atteso che egli non aveva assistito alla fase relativa alla costruzione del congegno: «...Ha messo un sei batterie, mi pare che le ho viste, le ha messe tutte legate, più due batterie per... piatti, dentro il marchingegno, e poi c'era una levetta che funziona... che girava, quando lui azionava questo telecomando.... era una cassetta piccolina, che so, trenta centimetri per venticinque, è una cosa piccolina...erano delle batterie, che so, lunghi... so, tondi, così erano, mi pare che ce n'erano sei, legate e, poi ne ho viste due piattini, con i bottoncini, che si attaccavano... sempre dentro questa scatoletta con dei bottoncini da incasso. Io di questi piatti ne ho visti due, di quelli, mi pare che erano tutte legate con un nastro adesivo... di quelle altre, invece, ce n'erano mi pare che sei».

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