Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Il ruolo rivestito dall’imputato all’interno di Cosa Nostra fa si che lo stesso sia stato coinvolto sia nella fase esecutiva che in quella “ideativa” della strage, per cui l’analisi che qui si compie prescinderà naturalmente da quest’ultimo momento tranne che per l’input iniziale, che si era concretizzato nell’incarico ricevuto dall’imputato da parte di Salvatore Riina, che lo aveva interpellato per il reperimento dell’esplosivo e di quant’altro potesse servire per la realizzazione dell’attentato: «Ci trovavamo a casa di GUDDO GIROLAMO dietro la casa del sole, VILLA SERENA, (la casa di via Margi Faraci 40 in Palermo di cui si è trattato nel corso della deposizione del teste DI Caprio)...A mia conoscenza in quell’occasione c’era GANCI RAFFAELE, CANCEMI SALVATORE, RIINA SALVATORE, BIONDINO SALVATORE e io, per la prima occasione. Era Marzo, fine febbraio, marzo. Io ero andato là per altri fatti, in quella occasione mi disse che loro già stavano progettando, lavorando per l’attentato al giudice FALCONE GIOVANNI, infatti mi hanno dato la velocità che, il giudice FALCONE me lo hanno dato loro RIINA SALVATORE mi chiese se c’era la possibilità di potere trovare tritolo e se c’era la possibilità di potere trovare il telecomando e se ero disposto a dargli una mano d’aiuto. A questa richiesta io sono subito, mi sono messo a disposizione e ho cominciato a partecipare attivamente all’attentato...Cioè che mi hanno spiegato cosa loro avevano già fatto. Cioè quel gruppo, GANCI RAFFAELE, CANCEMI SALVATORE, BIONDINO e RIINA già avevano stabilito il luogo, avevano individuato la velocità del dottor FALCONE che faceva, io lo apprendo da loro... Ma non so se fu GANCI RAFFAELE o BIONDINO SALVATORE, non è che l’ho controllata io, già l’ho trovata controllata, cioè stabilita...il luogo che avevano individuato per commettere l’attentato era quello dove è avvenuto da PUNTA RAISI venendo verso PALERMO, 400, 500, 600 metri prima e precisamente sotto sottopassaggio pedonale che poi dall’autostrada era ricoperto da una rete di, rete metallica, cioè rete di protezione...».

Giovanni Brusca in azione

Successivamente l’imputato ha fatto riferimento ad un altro luogo ancora ove si sarebbe dovuta collocare la carica esplosiva, di cui egli aveva appreso notizia sempre nel corso di queste riunioni preliminari svoltesi in presenza di Salvatore Riina, ma questo primo luogo non era stato preso in considerazione neanche per un eventuale sopralluogo di verifica della sua conformità rispetto al piano da realizzare: «Quando c’è stata la riunione dove io sono stato convocato nel mese di marzo, così vagamente si parlava, per dire, in base a quello che mi aveva detto BIONDINO, GANCI o CANCEMI o RIINA, credo fu nell’occasione credo che c’era pure RAMPULLA però non sono sicuro, si parlava di tante ipotesi e si era pensato pure di metterlo pure all’entrata, cioè, all’uscita dell’aeroporto, cioè nella curva quando lui si immetteva per l’autostrada e troviamo un cassonetto, ma era solo così discorsi, ipotesi, non cento per cento. Quelli concreti sono quelli che ha individuato il BIONDINO e poi quello dove è stato utilizzato».

A livello operativo, la prima cosa che Brusca aveva fatto era stato è di proporre al Riina la figura di Pietro Rampulla, che già conosceva per i suoi contatti con le “famiglie” mafiose catanesi e che infatti era riuscito a rintracciare tramite Aiello e Galea, (“GALEA EUGENIO e AIELLO ENZO venivano settimanalmente, ogni quindici giorni, settimanalmente, ogni otto giorni a Palermo per portare messaggi da Catania per problemi di “cosa nostra” e poi perché anche noi avevamo un’amicizia vecchia e tramite costui ho mandato a chiamare RAMPULLA PIETRO..»), avendo appreso da costoro che si trattava di persona esperta nel campo degli esplosivi e dei telecomandi: «...RAMPULLA PIETRO è persona esperta in materia e vediamo se lui ci può dare una mano” dissi a Riina, anche se io già qualcosa la sapevo per l’esperienza avuta della strage del dottor CHINNICI però per essere più sicuro mi prendo la collaborazione di RAMPULLA PIETRO, uomo d’onore della famiglia delle MADONIE, non mi ricordo il suo paese di origine. Al che Riina mi disse: “Va bene”, siccome lui credo che lo conosceva mi dà l’okay. Cerco RAMPULLA PIETRO, gli chiedo la cortesia dei telecomandi, RAMPULLA PIETRO è quello che trova i telecomandi, li porta ad ALTOFONTE e ad ALTOFONTE poi là cominciamo tutta una serie di attività per portare a termine il fatto».

Ricevuto quindi il benestare da Salvatore Riina in ordine all’impiego del Rampulla, che Brusca aveva condotto dal capo («...l’ho portato da RIINA SALVATORE,.. ci siamo incontrati a casa di GUDDO GIROLAMO dietro VILLA SERENA ...saranno passati otto, quindici, venti giorni dal primo incontro non è che, comunque nei primi di aprile, fine marzo, a questo periodo...nel corso di questo ulteriore incontro, diciamo avvenne di metterci in atto per cominciare a lavorare per portare a termine il lavoro dell’attentato al giudice FALCONE...E c’era BIONDINO, GANCI RAFFAELE, CANCEMI, io e credo che non c’era più nessuno oltre RIINA e RAMPULLA...»), ecco che Rampulla era comparso ad Altofonte portando con sè dei telecomandi, che secondo l’imputato, avrebbe trasportato nascosti sotto la paglia riposta in un camioncino, usato per il trasporto di un cavallo di cui gli aveva fatto grazioso dono. A tale consegna avrebbe assistito anche Di Matteo.

Ha confermato quindi Brusca il verificarsi degli incontri nella casa di campagna di quest’ultimo, in contrada Rebottone, nei quali si era discusso della progettazione dell’attentato, incontri ai quali aveva partecipato con assiduità.

Brusca ha ammesso di aver dato incarico a Giuseppe Agrigento di portare l’esplosivo a casa di Di Matteo, e che ciò si era verificato nel mese di marzo, dopo l’incontro di presentazione fra Rampulla e Riina, precisando che lo aveva mandato a prelevarlo da un suo parente, tale Piedescalzi che lavorava in una cava, la “Inco”, da cui la sua “famiglia” mafiosa si era in passato rifornita per approvvigionarsi di esplosivo per altri attentati.

[…] Quanto al congegno, Brusca ha confermato che la trasmittente era già pronta e che la sola cosa che fecero fu bloccare del tutto una leva e assicurarsi che l’altra potesse andare solo verso destra; quanto alla ricevente ha ammesso che fu costruita da loro, descrivendola come una scatoletta di legno larga 10 cm, alta 7,8, 10 cm, da cui fuoriusciva un filo di plastica che fungeva da antenna, in cui avevano montato le batterie con un chiodo che aveva determinato il contatto fra polo positivo e negativo: «La ricevente l’abbiamo completata dai pezzi per completare, cioè per, quelli che vanno usati per l’aereo modellismo... era una scatoletta di legno larga quindici, venti centimetri, lunga quindici venti centimetri, larga 10 centimetri, comunque non mi ricordo... alta 7, 8, 10 centimetri e dentro questa scatoletta abbiamo montato il motorino, le batterie, il servo e poi l’abbiamo modificata con, mettendo un chiodo il contatto che avveniva tra negativo e positivo. Nella ricevente c’era un’antenna di plastica, cioè un filo, un piccolo filo».

Prove per l’esplosione

Per quanto riguarda i detonatori, Brusca li ha descritti come oggetti lunghi 7 o 8 cm, con due fili che fuoriuscivano da un’estremità e che poi andavano collegati alla ricevente: ha raccontato che avevano provato a lanciarne uno fuori dalla casa nel giardino e avevano accertato che esplodeva: [...] Prima di spostarsi da C.da Rebottone avevano fatto diverse altre prove: innanzitutto tramite Gioè o La Barbera, si era fatto dare da Salvatore Biondino 5 kg di esplosivo, che La Barbera avrebbe collocato in un tubo che era stato sotterrato nel giardino della casa, e che era stato collegato al telecomando.

In effetti l’esplosione si era verificata all’invio del segnale, costringendo i presenti (La Barbera, Bagarella, Gioè e Rampulla che azionò il telecomando) a ripararsi a circa un centinaio di metri di distanza: [...]. Inoltre l’imputato ha collocato anche in questa fase prove di velocità che gli altri collaboratori invece hanno inserito esclusivamente durante il soggiorno a Capaci: quelle di cui ha parlato Brusca si sarebbero svolte lungo la strada che collega la casa di C.da Rebottone alla strada provinciale, utilizzando la Lancia Delta bianca di Di Matteo.

L’espediente usato per saggiare l’efficacia del congegno era stato anche in questo caso costituito dal ricorso all’uso delle lampadine flash, che erano state collegate al filo della ricevente e che si bruciavano ogni qualvolta veniva inviato il segnale con la trasmittente.

La dislocazione dei soggetti interessati da queste prove, che si erano ripetute per 3-4-5 volte, prevedeva Rampulla al telecomando, Gioè addetto al controllo della lampadina, La Barbera posizionato sulla sommità del monte, lui e Di Matteo si alternavano alla guida della macchina: “...Al posto dell’esplosivo noi adoperavamo del flash, quelli veri, cioè la prima serie, quelli che si infilavano di sopra alla vecchia macchina fotografica, che si poteva sfilare dove uscivano due filini per poterli ricollocare al detonatore elettrico, quindi in maniera quando noi facevamo il contatto con il telecomando alla ricevente, cioè non esplodesse ma bensì bruciasse la lampadina. Quindi, RAMPULLA, io messo, RAMPULLA al telecomando quando passava la macchina per vedere quando esplodeva, GIOE’ nella lampadina, LA BARBERA messo a monte, non mi ricordo per quale motivo, e ci alternavamo io e DI MATTEO nel guidare la macchina perchè abbiamo fatto tre, quattro, cinque prove”.

L’imputato ha collocato altresì nella fase Rebottone altro tipo di prova, quella relativa alla verifica dei luoghi ove la carica andava posizionata: […] L’abbandono del primo luogo trova spiegazione nel fatto che secondo BIONDINO SALVATORE ...”c’era la possibilità di non una buona riuscita se si doveva fare dove era stato prestabilito perché ci voleva molto materiale...” quindi - ha aggiunto Brusca - la ricerca si era indirizzata verso altri luoghi.

Dopo alcuni giorni Biondino gli aveva fatto sapere di aver trovato un altro posto perfetto e gli aveva descritto le caratteristiche di un cunicolo che evidentemente era stato localizzato lungo l’autostrada nel tragitto che il giudice avrebbe percorso dall’aeroporto alla città.

Per verificare la rispondenza del luogo prescelto alle esigenze del progetto deliberato dagli agenti Brusca aveva deciso, durante la permanenza in C. da Rebottone, di chiedere consiglio ad un suo parente, che, per l’attività svolta, poteva fornirgli un parere qualificato in ordine alle modalità con cui procedere e alla efficacia della soluzione trovata, che nella sostanza si incentrava nell’imbottimento di esplosivo di un condotto autostradale: […]. Nel corso di tale opere di verifica della funzionalità del congegno era andata perduto un telecomando: […].

Esauriti tutti questi adempimenti si era passati, secondo Brusca, al trasporto dell’esplosivo a Capaci, dove erano stati portati anche la trasmittente, la ricevente e i detonatori: l’esplosivo, come già detto, si trovava a casa di Pietro Romeo, e lì erano andati a prenderlo La Barbera e Di Matteo, per riportarlo ad Altofonte da dove nel primo pomeriggio erano partiti alla volta di Isola delle Femmine:

«L’esplosivo si trovava a casa di ROMEO PIERO, da ROMEO PIERO ci è andato LA BARBERA GIOACCHINO e DI MATTEO SANTINO, prendendo per una strada secondaria dal paese sono andati a finire nella casa del DI MATTEO, arrivando a casa del DI MATTEO, c’ero io, c’era GIOE’, c’era LA BARBERA, c’era DI MATTEO, c’era BAGARELLA e Rampulla eravamo ad ALTOFONTE a CONTRADA PIANO MAGLIO».

[…] Oltre alle persone menzionate erano presenti Antonino Gioè e Leoluca Bagarella: i fustini erano stari collocati sulla Patrol Jeep di La Barbera, sulla quale aveva preso posto anche lui; Di Matteo era con la sua Lancia Delta con Rampulla o Bagarella, Gioè era invece a bordo della sua auto. Allo svincolo di Isola delle Femmine erano ad aspettarli Biondino e Biondo, che li avevano portati in un villino nella disponibilità di Troia, ( «...Era un abitazione, un casa estiva, cioè casa di campagna non glielo so dire, comunque una casa villino nella disponibilità di TROIA MARIO, cioè del TROIA»...) dove avevano trovato Salvatore Cancemi, Ganci Raffaele e suo figlio Domenico, Battaglia, Ferrante.

[…] Brusca aveva avuto modo di notare che nella casa c’era già dell’altro esplosivo: «...Là abbiamo trovato altro esplosivo, 130, 140, 150 chili, sarebbe un materiale polveroso tipo farina di colore giallino...l’esplosivo, il famoso SENTEX che era sul posto era se non ricordo male in sacchetti di stoffa che poi abbiamo travasato...quello che abbiamo portato noi è materiale da cava, non so se è esplosivo, come si chiama o come non si chiama, è materiale proveniente da cava, quello che è non lo so, il colore è bianco».

Ha rilevato infine, sia ad Altofonte che a Capaci, che durante il maneggio dell’esplosivo da loro procurato si sollevava polvere e che aveva avvertito, in tale frangente, un odore particolare: «... Semplicemente faceva un po’ di polvere, ma a me non mi ha creato nessun particolare, però un odore un po’ particolare e un po’ di polvere c’era...».

Testi tratti dalla sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta (Presidente Carmelo Zuccaro)

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