Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Le considerazioni sopra esposte in ordine all’attività svolta da Giovanni FALCONE prima nell’ambito delle funzioni giudiziarie e poi come Direttore Generale degli Affari Penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia evidenziano in modo certo quale è stato l’oggetto principale e costante della sua attività professionale. Anche quando ebbe ad interessarsi da Magistrato ad indagini riguardanti altre attività illecite o allorché, essendosi ampliato per la nuova carica ricoperta il suo raggio di azione, si occupò sotto il profilo amministrativo delle questioni collegate alle inchieste che altri Uffici Giudiziari di diverse parti di Italia stavano conducendo - si pensi, per fare un esempio, alle indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Milano sul fenomeno criminale che i mass media hanno reso noto come Tangentopoli - il baricentro dei suoi interessi, cui tendeva per la specificità delle conoscenze acquisite e per la lucida consapevolezza degli urgenti e gravi problemi che poneva, era sempre costituito dal fenomeno mafioso e, d’altra parte, il ministro MARTELLI, come si è già ricordato, lo aveva chiamato a quell’incarico proprio per avviare a soluzione quella che riteneva la principale emergenza nazionale.

Ma se il contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso fu l’obiettivo al quale Giovanni FALCONE consacrò l’intera sua attività professionale sino all’estremo sacrificio, nel campo opposto l’eliminazione di un avversario così tecnicamente agguerrito e tenace costituì un obiettivo costantemente perseguito da COSA NOSTRA sino al conseguimento dello scopo.

Si è già parlato nel primo paragrafo di questo capitolo delle indicazioni fornite da vari collaboratori di giustizia in ordine ai precedenti attentati progettati da COSA NOSTRA contro Giovanni FALCONE, nel presente paragrafo si intende, invece, fare riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboranti sui moventi della strage per cui è processo, limitando la nostra attenzione a quelli che, essendo affiliati alla predetta organizzazione, avevano una conoscenza diretta, o comunque appresa all’interno del gruppo di militanza, dei fatti riferiti. In proposito lo ANZELMO, dopo aver rappresentato che la morte del dottore FALCONE era stata decretata da vari anni per l’attività investigativa svolta nei confronti di COSA NOSTRA, riferendo anche di alcuni precedenti progetti, ha aggiunto che uno dei principali obiettivi di questo sodalizio criminale era stato quello di condizionare l’esito del maxiprocesso ed in particolare di ottenere una pronuncia giurisdizionale che dichiarasse l’infondatezza del c.d. teorema BUSCETTA, e cioè del principio per cui le decisioni in ordine alle questioni strategiche per l’organizzazione, ivi compresi gli omicidi degli uomini delle istituzioni, che potevano determinare la reazione dello Stato contro l’intera compagine criminale, dovevano essere adottate dagli organi posti al vertice di questa struttura unitaria, e cioè in primo luogo dai componenti della commissione provinciale di Palermo. Attraverso una siffatta pronuncia l’organizzazione intendeva conseguire due essenziali vantaggi, l’assoluzione degli imputati che detenevano il potere nell’ambito di COSA NOSTRA e la definitiva delegittimazione del dottor FALCONE, la cui attività professionale sarebbe stata irrimediabilmente screditata.

Gli omicidi di Salvo Lima e Ignazio Salvo

Per conseguire tali scopi l’organizzazione si era attivata durante i vari gradi del giudizio ed in Cassazione aveva riposto le maggiori speranze di un esito favorevole per l’intervento di SALVO Ignazio e dell’onorevole LIMA, speranze che erano poi andate deluse a seguito della sentenza n. 80 del 30 gennaio 1992. E proprio a causa di tale esito, secondo lo ANZELMO, erano stati assassinati il LIMA ed il SALVO, rispettivamente nel marzo e nel settembre del 1992, per non aver saputo assolvere all’impegno preso.

Il BUSCETTA, data l’epoca non recente della rottura dei suoi rapporti con COSA NOSTRA, è stato in grado di riferire sul punto solo che questa organizzazione considerava il dottor FALCONE il pericolo numero uno per l’attività giudiziaria svolta.

BRUSCA Giovanni, dopo aver dichiarato di non essere a conoscenza di un concorso di ambienti esterni a COSA NOSTRA nella deliberazione della strage di Capaci, ha evidenziato che essa costituiva l’attuazione di una volontà di eliminare il Magistrato per l’attività giudiziaria svolta che risaliva ad un’epoca immediatamente successiva all’uccisione del dottor CHINNICI e che da allora non era mai più stata abbandonata. Aggiungeva che su tale volontà non aveva esercitato alcun peso di rilievo la preoccupazione che il dottor FALCONE potesse ricoprire l’incarico di Procuratore Nazionale e che piuttosto essi erano ben consapevoli del fatto che il Magistrato, pur ricoprendo un incarico ministeriale, non aveva mai smesso di interessarsi a COSA NOSTRA e seguiva a Roma le sorti del maxiprocesso. Ha, altresì, dichiarato il BRUSCA che dopo la sentenza della Corte di Cassazione summenzionata, ritenuta da COSA NOSTRA particolarmente sfavorevole, essa aveva deciso “di chiudere tutti i conti con gli appartenenti dello Stato, o per lo meno quelli che contrastavano COSA NOSTRA” e che in prima fila tra questi obiettivi vi era il dottor FALCONE. Aggiungeva ancora che l’uccisione del Magistrato in quel maggio del 1992 era particolarmente auspicata dal RIINA, che voleva così assestare anche un colpo decisivo alle speranze che allora il Sen. ANDREOTTI coltivava di essere eletto Presidente della Repubblica. Ha spiegato, infatti, il BRUSCA che COSA NOSTRA riteneva che il Sen. ANDREOTTI li avesse traditi, consentendo che il maxiprocesso venisse sottratto al dottor CARNEVALE e che una delle punizioni sarebbe stata quella di ostacolarne la corsa alle elezioni presidenziali allora in corso commettendo un omicidio che per la sua rilevanza avrebbe nuociuto alle aspirazioni di quel candidato, essendo egli discusso per la sua vicinanza ad ambienti mafiosi. Nella stessa ottica di punizione per l’impegno tradito ed il cattivo esito del maxiprocesso si poneva, secondo le dichiarazioni del BRUSCA, l’omicidio dell’On. LIMA, consumato proprio nel periodo in cui erano prossime le elezioni nazionali per cancellarne la corrente politica, vicina in Sicilia al Sen. ANDREOTTI, nonché l’omicidio di Ignazio SALVO, ritenuto al pari di LIMA colpevole di non essersi adeguatamente impegnato per un esito favorevole del maxiprocesso.

Il CANCEMI, oltre a confermare che il dottor FALCONE era considerato dai vertici di COSA NOSTRA il principale nemico, ha dichiarato che l’organizzazione sapeva che il Magistrato era intervenuto per impedire che il maxiprocesso in Cassazione venisse presieduto dal dottor CARNEVALE e che quando il RIINA era stato messo al corrente di ciò aveva mandato a Roma MESSINA DENARO Francesco, capomandamento di Mazara, per parlare con un avvocato e chiedergli di interessarsi affinché il processo venisse assegnato alle Sezioni Unite, per consentire al dottor CARNEVALE di far parte almeno del Collegio giudicante. Ha confermato il CANCEMI che la maggiore preoccupazione del RIINA era di evitare che la Cassazione confermasse la responsabilità della commissione provinciale di Palermo per gli “omicidi eccellenti” e che sia gli omicidi LIMA e SALVO sia la strage di Capaci erano stati determinati dall’esito sfavorevole del maxiprocesso in Cassazione, essendo stati uccisi i primi due per non aver saputo portare a termine il compito loro affidato e il dottor FALCONE perché aveva impedito l’assegnazione del processo al Collegio presieduto dal dottor CARNEVALE, da COSA NOSTRA ritenuto sicura garanzia di un esito favorevole.

Il DE FILIPPO, dopo aver dichiarato che COSA NOSTRA era convinta che il dottor FALCONE avesse seguito il maxiprocesso in tutti i gradi del giudizio, onde evitare che esso potesse avere un esito propizio per l’organizzazione mafiosa, e che ciò acuiva i motivi di rancore nei confronti del Magistrato, ha aggiunto che il suocero SPADARO Tommaso, esponente di spicco della “famiglia” di COSA NOSTRA di Porta Nuova, in ordine all’uccisione del dottor FALCONE aveva commentato dal carcere, ove si trovava da tempo detenuto «finailmenti nni putiemu fari anticchiedda i galera assistimata. Cioè lui mi voleva dire che adesso che avevano ucciso il dottor FALCONE anche se loro stavano in carcere per tutta la vita, erano soddisfatti».

L’esito del “Maxiprocesso”

Il DI MATTEO ha confermato che il dottor FALCONE era stato ucciso per i duri colpi assestati a COSA NOSTRA con la sua attività giudiziaria e che esisteva anche un legame con gli omicidi LIMA e SALVO, poiché essi erano stati uccisi per non “avere avuto la forza” di aiutare l’organizzazione in relazione al maxiprocesso.

Il FERRANTE, oltre a rendere dichiarazioni conformi a quelle summenzionate in ordine ai tentativi di COSA NOSTRA di condizionare l’esito del maxiprocesso in senso alla stessa favorevole ed al desiderio di vendetta che si nutriva nei confronti del dottor FALCONE per la predetta sentenza della Corte di Cassazione, ha aggiunto che con l’uccisione del Magistrato si intendeva anche dare ai detenuti affiliati un segnale di forza ed al tempo stesso mostrare che l’organizzazione non si era disinteressata di loro.

Il GALLIANO ha confermato sia che il dottor FALCONE era ritenuto da COSA NOSTRA il nemico numero uno, sia che, essendo risultati vani i tentativi dell’organizzazione di “aggiustare” il maxiprocesso, si era deciso da una parte “di decapitare tutte le persone che non avevano potuto mantenere gli impegni presi” in quel senso, e ciò con riferimento agli omicidi LIMA e SALVO, e dall’altra di uccidere le persone che “avevano messo in ginocchio la mafia” e dare così un segnale di potenza, e ciò con riferimento tra l’altro alla strage di Capaci.

Dichiarazioni convergenti in tal senso ha reso anche il LA BARBERA, che ha evidenziato un collegamento con l’esito sfavorevole del maxiprocesso sia per gli omicidi di coloro che, come LIMA e SALVO, “avevano girato le spalle a COSA NOSTRA” sia per gli omicidi di coloro che, come il dottor FALCONE, avevano “colpito sul serio” questa organizzazione.

Il MARCHESE, in grado di riferire in ordine alle aspettative che nutrivano gli affiliati a COSA NOSTRA detenuti circa l’esito del maxiprocesso, ha dichiarato che il dottor FALCONE era da loro ritenuto un avversario irriducibile e si temeva che potesse essere nominato Procuratore Nazionale Antimafia e che, inoltre, si sperava di ottenere dalla sentenza del predetto maxiprocesso soprattutto una smentita del “teorema BUSCETTA” ma si vociferava tra loro che il summenzionato Magistrato si stesse “interessando” al processo. Dopo la sentenza della Cassazione del 30.1.1992 ha aggiunto il collaborante di aver ricevuto , mentre si trovava nel carcere di Voghera insieme al fratello, un bigliettino passato durante un colloquio, a firma del RIINA, nel quale questi esprimeva rammarico per l’esito del processo, diceva che vi erano state delle “pressioni” contrarie ed affermava “che si stava provvedendo” e che essi erano sempre nel suo cuore. Dal tenore della comunicazione essi avevano compreso che da parte di COSA NOSTRA si stava preparando “qualcosa di grosso”, opinione questa che venne confermata anche dalla spontanea costituzione di alcuni affiliati, che sembrava finalizzata a precostituirsi un alibi per ciò che doveva accadere.

Il MESSINA ha dichiarato che la strage di Capaci costituiva la risposta di COSA NOSTRA all’esito sfavorevole del maxiprocesso ed aveva al tempo stesso la finalità di dare un segnale ai detenuti, essendo andate deluse le aspettative che essi nutrivano sulla persona del dottor CARNEVALE, che a loro risultava essere “raggiungibile” dal Sen. ANDREOTTI. Aggiungeva il collaborante che la notizia della strage era stata accolta tra i detenuti con un boato di esultanza a cui avevano fatto seguito dei brindisi.

Il MUTOLO, infine, ha confermato che le aspettative di COSA NOSTRA erano riposte in una sentenza della Cassazione che smentisse l’impalcatura accusatoria del dottor FALCONE e che lo distruggesse sotto il profilo professionale e che, pertanto, la delusione era stata piuttosto cocente e la colpa era stata ancora una volta addebitata al predetto Magistrato. Allo stesso si rimproverava, inoltre, che i provvedimenti a firma del ministro Martelli e del ministro SCOTTI fossero “tutta scuola che dava il dottor FALCONE”.

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